10 Ottobre 2024
Cinema Cultura Politicamente corretto

Origini del politicamente corretto antirivoluzionario hollywoodiano (1933-1970)

Alle estreme periferie della società, silenziati e pressoché invisibili, ci sono bensì dei Dissidenti del Politicamente Corretto, puniti con l’irrilevanza pubblica, ma essi non sono organizzati in tendenza culturale omogenea, e ci sono poche speranze che una simile organizzazione possa avvenire presto. È anche normale che sia così. Un giovane che volesse prendere parte a questa organizzazione verrebbe immediatamente colpito con l’interdetto all’accesso al ceto politico, al circo mediatico ed al clero universitario. 

Costanzo Preve

 

La citazione in testa a questa mia disamina, assolutamente incompleta rispetto all’argomento che mi accingo a eviscerare nelle sue linee generali, è tratta da un saggio breve sul Politicamente Corretto (PC) del compianto filosofo Costanzo Preve.

In realtà, come l’autore sosteneva, si trattava di un’ introduzione a una vera analisi che poi egli non riuscì a sviluppare, anche se le sue intuizioni sono poi risultate profetiche.

Mi soffermerò sulla questione non secondaria della produzione cinematografica americana che ha fatto del PC la sua tendenza culturale omogenea, imponendola e spalmandola in tutto il mondo.

Preve asserisce, non a torto, che il PC nasce in USA, ed è evidente che la sua propaganda doveva passare e continua a passare attraverso il circo mediatico del quale Hollywood è la chiave di volta per potenza economica e capillarità socio-territoriale.

Il PC descritto sommariamente da Preve, a mio modesto avviso, nasce subito dopo il maccartismo, movimento conservatore, anti-comunista, anti-sindacale, anti-ebraico che si proponeva di stanare ogni tipo di associativismo o cooperativismo di stampo socialista, all’interno della produzione filmica degli anni ’50 (e non solo), considerato sovversivo e antiamericano.

Non indagherò sul maccartismo perché se n’è parlato a dismisura, voglio focalizzare l’attenzione sul PC quale reazione disuguale e contraria dell’industria cinematografica, teatrale, musicale, giornalistica e letteraria made in USA al clima antiliberale governativo degli anni ‘30-50, che fondò le basi per la liberazione dei costumi sociali americani e occidentali nel ventennio ‘50-70 e che, una mia ipotesi, colloca tra due eventi ben precisi:

1) La fine della Repubblica di Weimar nel 1933.

2) L’ultimo festival musicale avvenuto nell’Isola di Wight in UK tra il 26 e il 30 agosto 1970. (Le riedizioni 2002 e post non sono assolutamente da prendere in considerazione perché facenti parti di fenomeni di revival nostalgici e de-contestualizzati)

Iniziamo con la disneyzzazione della cultura giovanile, un dato di fatto che ci accompagna da 80 anni.

L’infantilismo progressivo delle società sviluppate o liberal-democratiche, post Seconda Guerra Mondiale, ha ricevuto un contributo sostanziale dalla diffusione di massa del fumetto.

Oggi il fumetto occupa l’olimpo dell’arte con la A maiuscola e si è rafforzato attraverso la tecnologia informatica (videogioco), occupando sia la realtà che la virtualità sociale.

L’attuale produzione filmica hollywoodiana, si affida, per i grandi incassi, a software di disegn avanzato e a una trasposizione nel cyberspazio e quindi nel cybertempo, di una narrazione disincarnata dal mondo materiale.

Come già il fumetto, l’immaginazione, l’evasione dal reale, la ripetizione ossessiva di cliché fantastici, operano una trance sofisticata, dalla più tenera età del fruitore di spettacoli cinematografici o video-interattivi, fino a un’età avanzata.

Walt Disney era consapevole di questa sua influenza?

Il suo lavoro è tuttora manipolato da poteri occulti?

Difficile dirlo, ma è pur vero che la sua creatività ha risentito di ogni periodo storico nella quale si è esercitata, non solo da lui ma dai suoi posteri.

Egli fu accusato da certi circoli ebraici di essere stato razzista e di aver ricoperto incarichi di informatore segreto per l’FBI contro di loro.

Ci saranno sempre conferme e smentite, ma non va scordata la sua deposizione quale indagato dalla Commissione per le attività antiamericane del 26 ottobre 1947 che lo pose allo stesso livello di quei produttori, registi e attori ebrei che su di lui nutrivano sospetti di antisemitismo.

Dal canto mio, mi dissocio dalle farneticazioni che convogliano la frustrazione sociale su ogni ebreo che si muove sulla terra.

La questione ebraica, per quanto attiene Hollywood, ha enormemente risentito della Paura Rossa che, in USA, confederazione giustamente giudicata da Preve a orientamento messianico, non poteva non essere marcatamente esplosiva.

Gli ebrei nel territorio americano erano quasi sempre migranti in fuga da scenari esteri anti-liberali e anti-semiti e la generazione più creativa dal punto di vista cinematografico si trovava in California già prima dell’ottobre russo targato 1917.

Ad ogni modo, erano rifugiati politici, scampati dal bolscevismo, dal fascismo e in ultimo dal nazismo.

Ora, imputare agli ebrei la volontà di fare schiavi tutti i goym (i non ebrei), attraverso la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre e il finanziamento occulto del Terzo Reich, sfocia nell’irrazionalità più estrema, in quel “complottismo” che non ha origine sulle imbecilli pagine 2.0 ad opera dei creativi dell’ignoranza postpostmoderna, ma proprio in quei circoli di sedicenti intellettuali europei (avvizziti volteriani) e americani (protestanti veterotestamentari) che si lasciarono traviare da quell’Affaire Dreyfuss, risultato di una fobia senza senso di purificazione nazionale, che investì e infierì sull’Opinione Pubblica francese, italiana, tedesca del primo XX° secolo e che innescò la miccia delle famigerate Leggi Razziali.

Gli ebrei di Hollywood, in California, fondarono evidentemente un tipo di miscellanea sociale che voleva riesumare, da quella che fu la dissoluzione berlinese, la Repubblica di Weimar (1919-1933): quel cosmopolitismo, multiculturalismo, pansessualismo, inserito in un contesto multietnico, reso possibile dall’ alta finanza ebraica tedesca, dal ceto artistico-intellettuale e da un respiro libertario, quasi anarchico, molto simile all’idea odierna dei diritti per tutti. (Cabaret di Bob Fosse (1966-72), ispirato ai racconti di Isherwood, rende l’idea del clima weimariano, ma ancor meglio lo fa la trasposizione cinematografica non hollywoodiana del regista tedesco Fassbinder, del romanzo Berlin Alexanderplatz di Alfred Doblin).

Infatti, mentre oggi il PC si divide equamente tra le due sponde Est-Ovest USA, collocandosi nel quadrilatero Los Angeles/San Francisco e NYC/Seattle, all’epoca della prima ondata hollywoodiana, l’avanguardia liberal era quasi esclusivamente californiana, mentre NYC voleva mantenere certi legami con Parigi, simbolo della Vecchia Europa e i suoi intellettuali assimilati ad una certa versione illusoria e bohémien della vita d’artista, vissuta ai bordi della Senna tra Montmartre e Montparnasse. (interessante conferma di questa infatuazione per Parigi da parte degli artisti newyorkesi, si legge nel romanzo autobiografico di Henry Miller, Tropico del Cancro).

Rispetto a Preve, quindi, io pongo l’origine del PC proprio nella Repubblica di Weimar che, bruscamente interrotto e non veramente propagandato come stile di pensiero e vita universale, rifiorirà attraverso la società dello spettacolo (Debord) americana dopo la fine del maccartismo (1954), in aperto contrasto con la visione disneyniana della vita e dello stile americano alla Zio Sam.

Visione disneyana che sarà combattuta dai fumettisti ebrei (Basti ricordare Superman, apparso nel 1938 e ideato da Joe Shuster e Jerry Siegel, il Batman di Bob Kane del 1939, per continuare con Spiderman di Stan Lee o con Spirit di Will Eisner) con la fondazione del super-eroismo giustizialista a compensazione dei limitati poteri umani nel combattere il crimine e le aberrazioni politiche, come i totalitarismi di cui gli ebrei, come popolo, si erano sentiti e ancora si sentono inconsolabili vittime.(si rimanda alla storia della National Allie Publications fondata nel 1934).

Si può affermare con relativa certezza che, tra il 1933 e il 1954, Hollywood coverà quello che io intendo come Politicamente Corretto Antirivoluzionario, prodromo di tutte le future contestazioni giovanili come già l’Antonioni regista aveva evidenziato nel suo Zabriskie Point, non a caso datato, 1970.

Se la tesi di fondo è che la Repubblica di Weimar rappresentava l’aspirazione liberal-democratica più perfetta mai raggiunta nel cuore dell’Europa dei nazionalismi, è altresì verosimile che, il desiderio di ricostruirla, ri-adattata alla situazione sociale americana degli anni ‘50-70, poteva essere lo scopo di quegli ebrei che decisero di creare un’alternativa al nazionalismo yankee che faceva capo alla Motion Picture, impresa cinematografica che in Walt Disney si riconosceva, considerandosi unica portatrice dei sani principi dell’America dei Padri Fondatori, della Conquista del West e della Grande Frontiera tra le vaste praterie costellate di riserve indiane.

Non è casuale che produttori e registi ebrei, dopo il maccartismo, abbiano tirato fuori i denti e le unghie per abbattere ciò che li aveva minacciati e per promuovere un pensiero liberal che, facendosi promotore delle istanze sociali delle minoranze etniche, afroamericane, indiane, ispaniche; delle donne, degli omosessuali, dei lavoratori sfruttati, etc…, cambiò le percezioni e il pensiero dell’Opinione Pubblica americana ed europea nei confronti della vecchia società conservatrice, identitaria e dei suoi valori percepiti come antidemocratici, attraversata, com’era, da scosse elettriche in ogni campo della cultura. (Come eravamo di Pollack, resta a tal proposito un buon manifesto di quel travagliato periodo).

Affiancati ai titoli western – che ancora attraevano la classe media americana ricondotta verso una certa prosperità dal secondo New Deal (1933-37) e dall’avanzare del taylorismo-fordismo – iniziano a esercitare una certa influenza nel pubblico, quei film antitetici a quelli del pluripremiato regista John Ford.

Lungometraggi che proromperanno dal grande schermo, iniziando a erodere le relazioni geometriche, tranquille e solide della brava famiglia americana, nonché le dinamiche sociali della vita nelle grandi metropoli.

I bassifondi di San Francisco (Raymond Nicholas Kienzle 1949), il Selvaggio (Laszlo Benedek 1953), Fronte del Porto (Elia Kazan 1954), Gioventù bruciata (Raymond Nicholas Kienzle 1955), West Side Story (Arthur Laurents 1957) sono solo alcuni titoli di una galassia cinematografica in rotta di collisione con il perbenismo e l’autocelebrazione della Grande Nazione Americana. (Nascita di una nazione di David Llewelyn Wark Griffith è proprio quel tipo di celebrazione che nella nuova Hollywood ebraica si vorrà completamente rifondare, anche a causa del Ku Klux Klan che in quella nazione e in quel film trovava giustificazione al suo antisemitismo)

Ci fu certamente una sorta di lotta intestina tra le major hollywoodiane per far passare messaggi di diversa impronta politica, e in parte qualche contrasto è ancora presente, ma solo pochi registi, oggi, si oppongono a una visione PC ormai divenuta unilaterale e indiscutibile.

Questo PC, rispetto a quello delle origini, è certamente una deriva autoritaria e autoreferenziale che non trova una giustificazione evidente nella società americana di oggi e nella nostra, largamente americanizzata, ormai perfettamente integrate negli usi e nei costumi imposti dal capitalismo ultraliberale brandizzato.

Questo PC, ripeto, è un residuato bellico di quei giusti contrasti in seno alla società civile americana del ventennio ‘50-70 che, di contro, hanno sviato gli americani dalla Rivoluzione vera contro lo stesso capitalismo che si è impadronito della produzione culturale per depotenziare le spinte anticapitaliste molto forti nei distretti industrializzati e sindacalizzati, poi smantellati nel ventennio ‘70-90. (Reagan, attore Presidente degli Stati Uniti (1981-1989) è un evidente tentativo ridicolo, infantile, completamente errato, oltre che anacronistico, di restaurazione di un’epoca d’oro della vita del Cow-boy, non attraverso la politica, ma attraverso il cinema di Ford, rappresentazione nostalgica di quella fetta di elettori repubblicani che non si erano mai veramente ritrovati nelle idee PC della Hollywood a matrice ebraica-democratica)

E in questo senso, la parte ebraica di quel capitalismo dell’intrattenimento, non poteva non essere contro l’anticapitalismo e i film successivi alla crisi industriale hanno soltanto proposto, insistentemente, un nichilismo ghettizzante, iper-narcisista, variegato punk, drogato, non presentando mai il rovesciamento del fondamento capitalista come la soluzione alla distruzione del Sogno Americano. (Sulla diffusione degli stupefacenti in California, dall’America Latina, ci sono ottimi studi che ne tracciano il percorso in tutti gli States e l’influsso sulle generazioni del caldissimo periodo 1960-70, straziate dal Vietnam e dal pacifismo, costrette ad aprire gli occhi per un decennio, inesorabilmente chiusi sulla possibilità di emancipazione dal brutale capitalismo ultraliberista (Un altro mondo possibile), fino al movimento no-global nel 1999).

È evidente che il PC antirivoluzionario hollywoodiano abbia trionfato – divenendo anche portavoce della propaganda elettorale democratica degli ultimi mandati presidenziali – seppur in maniera distorta.

Ulteriori complici, inoltre, di questa vittoria, sono state la rivoluzione cibernetica della Silicon Valley, quella sessuale della Porno Valley e l’inizio della liberalizzazione delle droghe leggere per uso ricreativo: atto governativo che si ricollega in maniera perfetta alla data del 30 agosto del 1970. (Festival dell’Isola di Wight)

Da sottolineare che, la California fu anche testa di ponte per la trasmissione di etiche e valori trascendentali di stampo induista, buddhista, ecologista, igienista che impressero una spinta ulteriore verso la diffusione e la suffragazione del PC ad opera della corrente sincretica-settarica del New Age: vettore anticattolico, anticristiano (La fondazione della Chiesa di Satana ad opera di Anton LaVey 1966 a San Francisco) in aperto contrasto con la storia americana imbevuta di messianesimo-protestante-evangelico.

Nella propagazione dirompente, il New Age ha utilizzato un modus operandi affine al proselitismo che ha sempre apertamente combattuto, finendo, in taluni casi, ad abbracciare tecniche di persuasione simili al multilevelmarketing.

Infiltrandosi negli Studios Hollywoodiani, ci ha consegnato film come Hair (1967) e Jesus Christ Superstar (1973).

IL POLISCRIBA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *