“Senza una politica forte non c’è mai stata in alcun luogo, un’economia sana”
O. Spengler
L’idea di tramonto dell’Occidente fa pensare all’esaurimento delle energie vitali di una civiltà ma anche all’insorgere di altre: declino di un mondo e alba di un altro.
Oswald Spengler si è occupato del problema negli anni Venti, in piena euforia progressista, con una straordinaria capacità di anticipo sui tempi. Nelle sue pagine complesse e laboriose, si colgono i primi segni di quello che nei decenni successivi diventerà il progetto cosmopolita dell’Occidente.
Pessimista, Spengler ritiene fatale il declino e invita a tener duro rifiutando un atteggiamento passivo. Mentre altri vedevano nelle contaminazioni tra vecchio e nuovo, un fattore di arricchimento, Spengler evidenziava l’impossibilità di aggregare ciò che è non assimilabile. Il rifiuto del cosmopolitismo è inevitabile per cui considera strutturale l’unità di una civiltà, che può dirsi tale se possiede un radicamento in una precisa realtà spazio-temporale e, quindi, una forte identità.
“Una civiltà – scrive – fiorisce su una terra esattamente delimitabile, alla quale resta radicata come una pianta”.
La multiculturalità che parte dal rifiuto di ogni elemento spaziale si fonda sulla convinzione che ogni tradizione può e deve convivere con altre, anche se tra di esse ci sono differenze incompatibili, talvolta manifestate con ostilità e ferocia. Spengler quando lo scrisse non avvertiva il problema con la stessa intensità di oggi, dove più forti sono i contrasti tra gruppi etnici in Europa e Stati Uniti. Il progetto multiculturale viene utilizzato ideologicamente per affrontare la questione dell’integrazione dei flussi migratori che portano in Occidente masse di popolazioni sempre più numerose ed estranee. Non si tratta di impedire ai gruppi etnici di rispettare le loro usanze, bensì di rifiutare la protezione legale, comprensione e indulgenza culturale a quei gruppi le cui usanze risultino incompatibili, ostili e in conflitto con i nostri principi di libertà.
Culture diverse radicate in tradizioni differenti non si possono mescolare, è l’avvertimento impietoso di Spengler verso chi difende ancora l’ideologia multiculturalista, mostrando come la sua effettiva conseguenza sia l’accelerazione del declino dell’Occidente per opera di popoli che credono nella loro tradizione e identità culturale. Popoli, direbbe Spengler, ricchi di simbolicità, non disposti a farsi “contaminare” da altre civiltà e che in questa loro determinazione esprimono la forza aggressiva di una civiltà in ascesa rispetto a quella occidentale del tramonto.
In questo senso si spiega come il globalismo economico dell’Occidente, sia l’atto finale della sua avventura e non un processo espansionistico della propria civiltà. Il globalismo cancella differenze storiche, identitarie, tradizionali delle popolazioni, imponendo un analogo modello di sviluppo economico che esige una cultura omogenea, necessaria per uniformare i popoli sulla base della stessa idea di benessere e di felicità. Questa omologazione trova la sua ragion d’essere in un contesto il più possibile “de-simbolizzato”.
Spengler non indica i motivi per i quali la cultura si sarebbe esaurita nel passaggio verso la civilizzazione; egli si esprime solo in termini biologico-organici.
“Una volta che lo scopo è raggiunto e che l’idea è esteriormente realizzata nella pienezza di una tutte le sua interne possibilità, la civiltà d’un tratto s’irrigidisce, muore, il suo sangue scorre via, le sue forze sono spezzate, essa diviene civilizzazione”.
Obiettivo del globalismo è la perdita di riferimenti simbolici. Spengler ha cercato in migliaia di pagine di mostrare come sia la cultura simbolica a dare forza e energia vitale a una civiltà, consentendone la crescita. La sua desimbolizzazione non è che il segno evidente del tramonto. Quindi, la globalizzazione non può rappresentare l’apogeo di una civiltà, bensì il segno di un irreversibile declino.
Con la cortese collaborazione delle Edizioni di Ar (www.edizionidiar.it), sezione segnalazioni librarie periodiche.