21 Luglio 2024
Federico II Palermo Punte di Freccia

Palermo, oh cara…

Fiori rossi alla base del sarcofago di Federico II, l’imperatore svevo, nella cattedrale di Palermo. Fiori rossi deposti da mani anonime. La prima volta, credo fosse alla fine degli anni ’80, sceso nel capoluogo siciliano per una conferenza su Robert Brasillach, pensai vi fosse una specifica associazione che se ne prendesse cura. Tipo la guardia d’onore alle tombe dei Savoia al Pantheon di Roma, ambito farne parte con coreografia di lunghi mantelli e lo stemma sabaudo ricamato (sebbene provenga da famiglia torinese e di sentimenti monarchico-risorgimentali, io mi sento ‘repubblichino’ e me lo posso permettere, essendo nato…due giorni prima dell’entrata degli alleati a Roma!).

Alberto, che mi accompagnava, mi spiegò che era un sentimento libero e spontaneo di anonimi cittadini – una nostalgia della Palermo, cuore della cultura e asse spirituale con la sede imperiale di Aquisgrana, prima che gli Angioini, chiamati dal papato, ostile al Manfredi e alla casa di Svevia nel timore d’essere accerchiato nei propri domini, scendessero in Italia armi alla mano e già arroganti quanto basta. (Si legga il libro La lezione del Medio Evo, 1940, di Concetto Pettinato, ove si comprende bene come la Chiesa fu ostacolo ad ogni processo unitario della penisola e rendesse la città di Palermo periferica rispetto a Napoli). Fiori rossi e anonimi. Una tacita sfida a favore di quell’imperatore in odor di eresia tanto che l’allora cardinale Pappalardo se ne lagnò in pubblica omelia.

Dal testo tedesco del poeta tardo-romantico Friedrich Rueckert, secolo XVIII, dedicato a Federico Barbarossa ma, successivamente, scambiato anche per Federico II, si narra di come egli dorma in una grotta del monte Kyffhauser, in Turingia, dove appunto vi è un monumento a lui dedicato, e, intorno alla sua cima, un ‘vecchio corvo nero’ volteggi ‘senza affanni’. Una sorta di sentinella in vigile attesa e protezione dell’imperatore, che dorme con il capo e il mento appoggiati a ‘un tavolo di marmo’, mentre la barba, ‘figlia del firmamento, cresce attraverso il tavolo su cui poggia il mento’. Per cento anni e cento anni ancora…per poi risorgere e riportare l’antico splendore dell’Impero ‘nel tempo dell’Amore’.

Il cielo è terso, azzurro come il Mediterraneo appena increspato. Senza ondeggiare, il rumore dei motori mi concilia una certa sonnolenza. Punta Raisi. L’aeroporto l’atterraggio scendo dalla scaletta esco ecco gli amici Eugenio e Carlo mi attendono in macchina colazione necessaria sono in piedi dalle cinque del mattino con una tazza di tè poi visita, appunto, alla tomba dell’imperatore incontro con i giovani di Aletheia. Sono qui – e sono trascorsi oltre vent’anni – con i racconti di Ai confini del nero, su invito di  Ereticamente e con la attiva collaborazione di camerati della mia generazione, che si sono prodigati a prenotare la sala Rostagno all’interno del Comune e presentare il libro, Roberto e Roberto – non è un gioco di parole. ‘Noi pochi, noi felici pochi/ noi manipolo di fratelli’…

Girare l’Italia, nella sua diversità – Trieste, ad esempio, ai confini orientali dove ancora giungono gli echi dell’Impero austro-ungarico con le spinte irredentiste e, su tutto e tutti, l’urlo delle vittime mentre precipitano legate a due a due con il filo spinato nelle cavità carsiche, gettate in foiba dallo slavo assassino – Littoria poi Latina (oggi, dopo lo scempio urbanistico e morale, potrebbe ben essere chiamata Latrina) come se si potesse dare un colpo di spugna alla storia, scalpellando una targa un simbolo una frase, là dove conquistammo e tenemmo la piazza –  ed ora qui a Palermo dove è tutto un intreccio di accesi colori e profumi intensi di fiori e spezie e… ovunque, ritrovare vecchi camerati di tante battaglie, perse sì (in fondo non sono la vittoria e la disfatta coniate dello stesso metallo fatto di illusioni ed inganno?), ma vissute sempre con irriverenza gioconda e cuore indomito e i giovani che osano sognare ad occhi aperti e voler realizzarli (li definiva esseri ‘pericolosi’, Lawrence d’Arabia), a cui va consegnato il testimone ideale e non importa se, sovente, possiamo apparire reduci o, peggio, una sorta di archeologia l’ombra del dinosauro… qualcuno usò dire ‘nostalgia del futuro’ e ciò ci rende quella comunità di ‘destino nell’universale’ per parafrasare l’espressione poetica e consapevole di Josè Antonio…

Giustamente Eugenio mi definisce un testimone neutrale non conoscendo le logiche interne della realtà multiforme che si esprime a Palermo, così come in tante parti del paese, e che fa d’ogni singolo gruppo un momento presuntuoso e litigioso e, soprattutto, con la psicologia da ‘assedio di forte Apache’… dove il nemico è imponderabile e impalpabile e, mancando la pressione dell’avversario in piazza, bastoni e barricate, finisce di ritorcersi su se stesso e di identificarsi nelle comunità similari. Non mi stupisco – Roma è per sua natura enfatizzazione d’ogni contraddizione –, mi addolora e mi offende e mi sprona, altresì, per dare con la parola scritta e con la mia presenza, magari volutamente estrosa (Eugenio mi ha sfidato a mettermi la cravatta ed io ho risposto con Tom e Jerry che giocano a golf!), un segnale. Un momento soltanto, forse…

Altre tappe – il 1 giugno sarò in piazza dell’Unità a Latina dove per tre giorni si propongono libri, si tenta di fare cultura – il 7 a Brescia, presso la comunità militante a rinnovare il legame con Robert Brasillach, il ‘mio fratello più caro – il 14 nei pressi di Pisa a presentare, con l’amico Roberto Mancini, La guerra è finita – il 21 aRoma per ritrovare un momento di comunione e propositivo di idee sotto le bandiere con la Runa–. Essere in cammino, essere contro ho scritto più volte.

Ai piedi dell’imperatore fiori rossi, giovani assorti, fierezza e speranza di poter vivere tempi eroici (le circostanze rafforzano certo la consapevolezza di appartenere ad altro ed alto, ma ogni giorno è altro ed alto per chi non si sente schiacciato dalle rovine di un mondo non suo). E l’idea d’Imperium non conosce confini e si estende oltre e ovunque, a Palermo come in ogni luogo ove lo spir
ito non demorde… ‘La spada, la rosa, il cavallo, l’onore, mi furon compagni, fedeli d’Amore’…


Mario M. Merlino

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