Nei giorni in cui le istituzioni comunali di Roma hanno celebrato in pompa magna, secondo la “miglior” tradizione servile, i 70 anni della presa alleata angloamericana del 4 giugno 1944, gli stessi angloamericani hanno rifiutato la sepoltura ai “gloriosi partigiani nostrani”.
E’ veramente emblematico il cortocircuito che, recentemente, si è innescato sulla vicenda della sepoltura delle spoglie dei due comunisti gappisti Capponi e Bentivegna, autori della strage di Via Rasella del 23 marzo 1944: non verranno sepolte nell’antico Cimitero acattolico di Roma, come avevano richiesto prima di morire, perché il gestore di turno (l’ambasciatrice del Sud Africa) si è rifiutato di ospitarle.
E perché mai, visto che sono due “eroi della Resistenza” al pari di altri illustri italiani ivi sepolti?
Forse perché appena fuori dal raccordo anulare non li considerano più tali.
La richiesta di seppellire le spoglie dei due partigiani al Cimitero acattolico del Testaccio (detto “degli Inglesi”) era stata avanzata alla vigilia delle Fosse Ardeatine, il 23 marzo scorso, dal sindaco di Roma Ignazio Marino e dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti con una lettera aperta all’ambasciata di turno che gestisce la struttura, il Sud Africa. Negativa la prima risposta e negativa anche la seconda risposta, il 27 maggio. La richiesta nasceva dal rispetto del mandato che Elena, la figlia di Bentivegna, aveva ricevuto dal padre Rosario scomparso nel 2012, a sua volta condiviso con la compagna Carla Capponi scomparsa nel 2000: volevano essere accolti post mortem nel cimitero acattolico, nell’area di Porta San Paolo “perché li ritenevano fosse nata la resistenza antifascista a Roma”; in alternativa, disperdere le proprie ceneri nel Tevere.
Elena Bentivegna, vista la mala parata con il Cimitero acattolico, sperando di non dover disperdere davvero nel Tevere, ha così accettato la curiosa offerta last minute del… Museo della Liberazione di Via Tasso, che nei giorni scorsi si è prestato a ricevere le urne.
A parte l’inusuale collocazione in un museo, cosa ha motivato il rifiuto del Cimitero acattolico?
L’antica struttura, autorizzata da Papa Clemente XI nell’anno 1716, è oggi privata ed ospita 4000 non-cattolici stranieri, senza distinzione di nazionalità. La sua gestione è demandata a 14 Ambasciate che hanno connazionali sepolti nel cimitero: Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Norvegia, Russia, Sud Africa, Stati Uniti d’America, Germania, Svezia e Svizzera.
Tra le sepolture più note ricordiamo John Keats e Percy Shelley, poeti inglesi, August von Goethe, figlio di Johann Wolfgang, Richard Krautheimer storico dell’arte tedesco, Thomas Jefferson Page esploratore americano, Dirk Hamer il giovane ucciso da Vittorio Emanuele di Savoia.
Solo eccezionalmente, a causa degli spazi esigui e per mantenere il carattere del luogo, è concessa la sepoltura a italiani. Tra loro: il politico Antonio Gramsci, il fisico Bruno Pontecorvo, il regista Gualtiero Iacopetti (“Africa Addio”), il filosofo marxista Antonio Labriola, gli scrittori Dario Bellezza, Carlo Emilio Gadda, Luce d’Eramo, Miriam Mafai, Amelia Rosselli (figlia dell’esule Carlo).
Il regolamento interno alla struttura concede dunque la sepoltura a italiani, a patto che siano “illustri per l’opera prestata” ed “abbiano espresso in vita una cultura alternativa, straniera, rispetto a quella dominante”.
Ora, sorvolando sull’assurda pretesa di Bentivegna e della Capponi di certificare con la propria sepoltura in zona l’inesistente presenza di partigiani a porta S. Paolo il 9 settembre 1943 (i partigiani si organizzarono mesi dopo, a porta S. Paolo sono morti 600 Granatieri in grigioverde che difesero l’onore di una Patria umiliata da un re in fuga), appare evidente che le rappresentanze degli stati esteri che gestiscono il Cimitero acattolico non considerino i due partigiani attentatori di Via Rasella abbastanza degni ed illustri per essere ivi sepolti al pari degli altri.
La discrezione poi di trincerarsi dietro i “motivi regolamentari” è tipica del linguaggio
felpato della diplomazia; basta però poco per capire perché fu tutt’altro che eroica ed illustre l’azione di Bentivegna e della Capponi.
felpato della diplomazia; basta però poco per capire perché fu tutt’altro che eroica ed illustre l’azione di Bentivegna e della Capponi.
In prima battuta costò la vita a 33 “nemici” (riservisti altoatesini), a un tredicenne innocente Pietro Zuccheretti (letteralmente troncato in due dall’esplosione) e ad almeno due partigiani trockijsti di Stella rossa, avversari dei gappisti.
Successivamente costò la spaventosa rappresaglia delle Fosse Ardeatine – 335 morti tra militari e civili – sulla quale, poi, pesano ancora ombre sulla compilazione dell’elenco delle vittime, tutti detenuti, dal quale vennero espunti i gappisti comunisti (chi sapeva, il direttore del carcere di Regina Coeli Donato Carretta, il 18 settembre 1944 al processo al questore Caruso, poi fucilato, fu brutalmente linciato da una folla inferocita istigata ad arte, buttato nel Tevere e bruciate le sue carte con gli orrendi segreti).
Ce n’è abbastanza per giustificare un rifiuto, che gli stranieri, scevri da vulgate adulatorie e false ricostruzioni, possono opporre liberamente mentre da noi è ancora impedito dall’imperante cifra “cialtrona”.
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