La tempesta perenne del secondo cerchio dell’Inferno dantesco trascina con impeto travolgente le anime dei lussuriosi, che simili a uno stormo di gru intonano suoni lugubri solcando l’aria in lunghe file. Dante vuole sapere chi sono gli spiriti che il vento buio punisce così duramente. La prima di loro è Semiramide, risponde il Maestro, che regnò su molti popoli di lingua diversa; poi cala il carico da novanta: “A vizio di lussuria [fu] sì rotta, / che libito fé licito in sua legge, / per tòrre il biasmo in che era condotta” (Inferno, canto V, 55-57).
Esprimendo un giudizio così severo Virgilio si allinea agli autori greci, che non solo dissero peste e corna della regina assira ma arrivarono al punto di definirla la più crudele e dissoluta femmina del mondo antico. Mentre il più «orientale» Alessandro Magno la elesse a modello per le proprie gesta imperiali e mai nascose il proposito di eguagliarla, come racconta il suo biografo Adriano.
In realtà sull’Assiria e su Babilonia non risulta che abbia regnato una sovrana con questo nome, presumibilmente coniato dai Greci in un secondo tempo. Alcune iscrizioni cuneiformi menzionano tuttavia una certa Šammurrāmat la Grande, moglie del re assiro Shamshi-Adad V (Nino?), che alla morte di questo regnò in vece del figlio ancora bambino attorno all’VIII secolo a.C.
Costei giunse al trono con un pesante bagaglio di guerra e sangue, provenendo da un corpo di guardia scelto. Per difendere la corona si era spinta a cavallo in terre lontane, camminando sulla sabbia come su strade lastricate e imparando a conoscere le diverse culture del continente.
La vita di corte la rammollì un poco, facendole scoprire il potere della menzogna e del calcolo, le trame e le macchinazioni, le infinite cospirazioni architettate dai nemici nascosti. In quel luogo dorato imparò a dissimulare emozioni e pensieri, divenendo infida e bifronte quanto bastava per sottomettere popoli e paesi aldilà dei confini mesopotamici.
Finché intraprese una lunga e difficile campagna in India che purtroppo non diede il successo sperato. Le truppe imperiali vennero battute sull’Indo e suo figlio Ninyas, ormai adolescente, approfittò delle sfortune militari della madre per ordire un complotto contro di lei.
Quando scoprì l’inganno Semiramide si ritirò a pensare nella sua grande sala privata, sotto i soffitti alti e dentro le pareti rivestite di preziosi tessuti. Da un’ampia finestra entrava con prepotenza il sole, accompagnato da folate di vento cariche di odori e rumori che irrompevano come truppe armate sulla scena. Ninyas fu perdonato, ma il dolore infertole dall’ingratitudine filiale era immenso anche per una donna della sua tempra. Insopportabile al punto che la regina si uccise.
Come gran parte dei mostri e dei geni Semiramide se ne andò tragicamente, così com’era vissuta, privando il mondo di una vera discendenza spirituale. Lasciò in compenso un’enorme quantità di templi, compreso quello di Belos, il grande ponte sull’Eufrate e canali importanti, oltre alla città di Van (Wān), nei pressi dell’omonimo lago, chiamata in armeno la «Città di Semiramide».
Potrebbe essere stata sua anche l’idea di abbellire Babilonia con meravigliosi giardini pensili, un merito che la maschilista tradizione greca attribuì a Nabucodonosor, il quale probabilmente incoraggiò l’usanza già largamente diffusa di costruire giardini sui tetti delle case e sulle terrazze.
Va da sé che una donna forte abbastanza da esercitare un’azione politica determinante sulla società del suo tempo visse circondata da invidie e malumori, guadagnandosi la fama (forse immeritata) di avere un brutto carattere, dispotico e tirannico. Le maldicenze si saranno poi fuse e confuse nelle narrazioni popolari, offrendo infine ai nemici l’occasione di consegnare alla Storia il ricordo di una specie di campionessa mondiale del godimento senza freni.
Difficile dire oggi se sia vera o falsa la notizia secondo cui i suoi numerosi amanti finivano regolarmente ammazzati dopo una notte d’amore, o se Dante alludesse a questo particolare dicendo che Semiramide rese lecito nelle sue leggi tutto ciò che le piaceva al fine di eliminare la condanna morale che le spettava. “A vizio di lussuria fu sì rotta, / che libito fé licito in sua legge, / per tòrre il biasmo in che era condotta” (Inferno, canto V, 55-57).
Ma di quale condanna morale stiamo parlando? Quella dell’androcratica Europa cattolica medioevale, che nulla aveva in comune con la Mesopotamia di Semiramide? Nelle società euroasiatiche di stampo matristico spettava alla donna scegliersi autonomamente il proprio uomo. Lei corteggiava lui, lo seduceva e, in caso di matrimonio, esercitava la sovranità famigliare. Non si trattava di lussuria, di dispotismo o di tirannide, bensì di consuetudini millenarie ampiamente condivise.
In posizione dominante c’era la divinizzazione dell’aspetto femminile in Natura. Il pantheon era dominato da dee che manifestavano la loro energia riproduttiva attraverso gli elementi terrestri (acqua/luna, terra, pietre, piante) e venivano onorate con rituali di natura orgiastico-sessuale in un contesto erotico-arcaico. Crebbero su questo ambito culti talvolta cruenti come quelli di Cibele castratrice in Frigia e di Kali, la sposa oscura di Shiva, in India.
Nelle comunità tutti erano molto attenti a non recidere il filo d’oro che legava lo Spirito alla Carne. Un ordine superiore attorno al quale si potevano scorgere, chiari e intatti, i caratteri della nostra identità eterna. Ma appesantiti da tutti i dogmi della cristianità medioevale, i primi anni del Trecento italiano non potevano certamente abbracciare una simile visione. Difatti Dante manda all’Inferno i malati d’amore anziché cacciare nel luogo “d’ogne luce muto, / che mugghia come fa mar per tempesta, / se da contrari venti è combattuto” i colpevoli di «stupri di guerra» (donne e bambini), per esempio.
Rispetto a quest’orribile sport predatorio, disgraziatamente inossidabile come l’acciaio, il comportamento disinibito di certe donne «antiche» inclini all’amore fa sorridere. Semiramide apparteneva inoltre alla cultura essenzialmente «magica» dei Caldei, che usava la sessualità come strumento per accrescere la potenza del «mago», o del «re guerriero». Cos’altro avrebbe dovuto fare?
Presso quei popoli l’equilibrio esoterico non si manteneva rinnegando lo spirito per la materia, né la materia per lo spirito. Va inserita in questa cornice la licenziosità dei costumi vigente nelle società matriarcali della preistoria, non necessariamente migliori o peggiori di altre, solo meno moralistiche rispetto alle successive società androcratiche che misero alla gogna grandi regine come Semiramide, Cleopatra, Didone, Elena di Troia e via dicendo.
Sole e Luna. Quando l’importanza simbolica e metaforica dell’uno saliva, l’altra scendeva, e viceversa. Dante era figlio della Firenze medioevale, formatasi sulle culture solari che attribuirono alle precedenti culture lunari la responsabilità del disfacimento della società e della corruzione dei costumi. Strano ma vero non manda all’Inferno la fenicia Jezabel, probabile ispiratrice della figura di Afrodite, dipinta dai compilatori dei Libri dei Re come una puttana intrigante e senza scrupoli. Una fama condivisa dalla nordica Freyja, una dei Vanir, emblema della potenza guerriera maschile unita alla forza sessuale femminile e definita dai «solari» Asi “una capra che insegue i capri.”
Bisogna risalire la china del tempo per trovare a Baalbec, rinomata ancora oggi per le maestose rovine dei suoi templi, la pratica della prostituzione rituale. Per un certo numero di giorni le vergini non ancora maritate si concedevano agli stranieri nel santuario della Dea, personificazione delle energie telluriche della Natura, per poi donare i compensi ricevuti al tempio.
Più virili i Greci dell’Età classica fecero del dio Dioniso il campione indiscusso dell’orgia e del vino, lasciando all’ormai essenzialmente «agricola» Cerere il compito di dea dei Misteri. Risulta tuttavia lungo la via Via Sacra che univa Atene a Eleusi la costruzione di un imponente monumento funebre in memoria di Pitionice, una celebre prostituta che pare avesse un’analoga tomba a Babilonia. Non potendo opporsi apertamente alla volontà popolare qualche politico contestò con durezza la spesa esorbitante messa in carico alla pólis, più di duecento talenti, ma ugualmente il mausoleo vide la luce e fu grandioso.
A lungo in Eurasia il «battesimo della carne» fu un dovere religioso da compiersi con grande spirito di servizio. Nel pieno rispetto dei principi della magia omeopatica, o imitativa, durante le feste stagionali i più giovani abbandonavano ogni freno inibitore e utilizzavano al massimo della potenza i propri organi riproduttori. In cambio la comunità si aspettava che la Natura facesse altrettanto offrendo terre fertili, frutti abbondanti e vegetali rigogliosi.
Lo stesso Platone riconobbe all’eccitazione orgiastica un ruolo d’ordine nei ranghi della partecipazione comunitaria: Dioniso, il dio della dissoluzione, penetrava negli interstizi della società, nelle pieghe della mente, nelle dinamiche associative con la furia di un vento di tempesta molto simile a quello che Dante colloca nel secondo cerchio dell’Inferno.
Tuttavia quella dissoluzione non era mai rovina, ma, anzi, consentiva di riedificare a un più elevato livello. Chiusa la parentesi ludica si tornava alla compostezza dell’uomo interiore e alle sue gerarchie (intelligenza, volontà, sentimento), così che il giusto equilibrio potesse assestarsi con maggiore forza e vigore.
Tra i malati d’amore sbattuti dal vortice infernale e condannati a cozzare come biglie in un barattolo, cioè tra i personaggi famosi che in vita «la ragione sottomisero al talento», oltre a Semiramide ci sono Achille, Paride, Elena, Tristano, Cleopatra, Didone. Sebbene non si dissoci apertamente dalla cultura bacchettona del suo tempo, Dante non infierisce sui lussuriosi. Prova anzi compassione per loro: “Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito / nomar le donne antiche e’ cavalieri, / pietà mi giunse, e fui quasi smarrito” (Inferno, canto V, 70-72). Addirittura il racconto di Paolo e Francesca gli provoca uno dei suoi soliti mancamenti.
Sappiamo che certe «usanze antiche» erano ancora in voga ai tempi del Fiorentino. Basti pensare alle feste orgiastiche del Carnevale (le prime testimonianze storiche risalgono all’VIII sec.), nelle quali erano consentiti eccessi alimentari e sessuali. Segno che si continuava a credere che una «valvola di sfogo» potesse servire a canalizzare l’istintività repressa rendendola socialmente inoffensiva. Pochi giorni di bagordi erano sufficienti a ristabilire l’equilibrio, poi si rientrava nei ranghi e la vita poteva continuare con lo stesso ordine di prima.
Una mossa previdente che accettava, circoscrivendola, l’istintualità umana al fine di evitare danni peggiori. Quelli di cui soffre l’Età Oscura, l’epoca del «tutto è permesso», dove gli istinti possono liberarsi in qualsiasi momento e senza freni, concretizzandosi in turpi perversioni. Una deriva forse cercata e inclusa nella Logica del Caos che ogni cosa concede per arrogarsi quindi il diritto di mettere ordine, ovvero di instaurare un regime di controllo totale.
Lontani anni luce da qualsiasi idea di equilibrio esoterico, gli attuali Padroni Globali praticano una sottospecie di magia da Mano Sinistra volta al rovesciamento di tutti i valori che è l’esatto contrario della magia omeopatica applicata dagli Antichi. Legittimano qualsiasi perversione, osannano le trasgressioni, trasformano la marginalità sessuale in norma. Chissà Dante in quale girone li avrebbe cacciati … se solo avesse saputo.
Proprio le nuove maschere rivelano tuttavia la falsità di tante promesse libertarie. Se davvero i sessi e le razze non esistessero, nemmeno la lotta contro la discriminazione tra i sessi o tra le razze dovrebbe esistere. Se davvero il proposito dichiarato di tornare alla gioia senza rimpianti che non aspetta l’«altra terra» fosse autentico, non ci sarebbe alcun bisogno di affidare all’industria hollywoodiana, emblema di una civiltà in disfacimento, la promozione della causa della presunta superiorità femminile sulla forza bruta del maschio. Bianco, s’intende, il nero non si tocca.
Sembra che le donne siano più adatte, in quanto intransigenti verso la causa, ad eseguire gli ordini ricevuti, che in questo caso riguardano la soppressione dei desideri naturali. L’aspirazione alla gioia e alla serenità, il gusto di una reale estetizzazione dell’esistenza, la diffusione capillare dell’arte del vivere. Le femministe si mettano dunque il cuore in pace: non ci sarà alcun «matriarcato di ritorno» perché il tipo di «donna» che ha in mente il Nuovo Ordine Mondiale è chiaramente quello della «sorvegliante» perfetta, non della «femmina» in quanto tale.
Basta guardarsi attorno per vedere come nell’arco di un paio di generazioni siano stati piallati i fianchi delle fanciulle, sempre più simili a quelli dell’uomo, con il punto vita che è ormai un ricordo d’altri tempi. Anche fisiologicamente la donna del XXI secolo sembra inadatta ad assolvere alla funzione di procreare, il che significa che si è allontanata irrimediabilmente dal suo fine trascendente: la maternità. Stesso discorso per l’uomo, palestrato e depilato come un divo del cinema, ma spesso impotente.
Si direbbe che la donna-uomo e l’uomo-donna siano stati creati appositamente per trascinare l’essere umano nella zona grigia dell’indistinto. Complici di questo disastro sono stati gli intellettuali sessantottini, promotori dell’idea bislacca secondo cui noi non verremmo al mondo né di sesso maschile né di sesso femminile, ma neutri, e diventeremmo ragazzi o ragazze solo per questioni di cultura, di civiltà, di società e d’indottrinamento. Uno per tutti valga il motto «donna non si nasce, lo si diventa» di Simone de Beauvoir, che nel suo Secondo sesso spiega con dovizia di particolari come la fisiologia non rappresenti affatto un destino poiché ognuno deve costruirsi, scegliersi e volersi … quando sarebbe bastato chiedere a un endocrinologo per chiarire la faccenda e risparmiare tante parole.
Grazie a sciocchezze simili il totalitarismo liberista è riuscito ad imporsi negando la natura, distruggendo ogni pulsione di vita, organizzando la frustrazione sessuale, istituendo norme igieniche volte a scoraggiare il contatto fisico. Purtroppo, però, nel magico mondo degli uteri in affitto e delle fecondazioni eterologhe è facile inebriarsi della gioia sterile e brutale di cui già parlava Baudelaire: una torbida allucinazione dei sensi che non produce alcuna forma di benessere, armonia o equilibrio. Solo sofferenza.
Tessendo il suo poema Dante non poteva prevedere il futuro, né sapere che durante l’ultima fase del Ciclo la vita stessa avrebbe negato il sesso senza bisogno di dover rendere l’anima a dio per essere travolti dalla “bufera infernal, che mai non resta, / mena li spirti con la sua rapina; / voltando e percotendo li molesta” (Inferno, canto V, 31-33). Altrimenti, avrebbe riservato il posto nel secondo cerchio a qualcun altro.
Magari proprio ai fautori dello snaturamento, ossia ai Filantropi Folli dell’Età Oscura che sognano di cancellare le differenze di genere per raggiungere qualcosa di vagamente simile al mitico stato androginico, in modo da ripartire da zero. Quale peccato supera in vanità e presunzione il rifiuto della natura umana, della biologia, dell’anatomia e della fisiologia in nome di un corpo concettuale (trans-gender) decretato per legge più vero del corpo reale?
Forse non è chiaro agli attuali detentori del potere che la virilità e la femminilità d’animo che l’uomo integro del Nuovo Inizio dovrà possedere in eguale misura per fondare un tipo di umanità ancora più evoluto dei precedenti riguarda la fusione degli opposti spirituale che precede la formazione della coscienza non polarizzata, cioè «perfetta».
Fuorvianti e pretestuosi appaiono dunque certi parallelismi tra la quotidianità dell’ultimo quarto di ciclo e testi sacri come il Ramayana e il Mahābhārata dove si celebrano gli hijra, cioè gli appartenenti al terzo sesso. Anche la Grecia classica conobbe il travestitismo, diffuso tra i sacerdoti di Artemide a Efeso e di Astarte a Ieropoli. Anche la Roma del 204 a.C. incorporò ufficialmente nella religione dell’Impero (tra mille polemiche) alcuni culti provenienti dalla Frigia che riguardavano Cibele e Attis. Appellarsi però a questi aspetti marginali della Storia per giustificare le parodie contemporanee è come arrampicarsi su un vetro.
Persino un maschio alfa come Hēraklés (versione mediterranea di Gilgamesh e Cú Chulainn) nella reggia di Onfale regina di Lidia rinunciò alla pelle di leone e alla corona di pioppo per portare “collane di pietre preziose, braccialetti d’oro, un turbante da donna, un manto purpureo e una cintura meonia (…) e così agghindato sedeva tra lascive fanciulle ioniche, cardando la lana, oppure era intento a filarla. Tremante come una foglia se la sua padrona lo sgridava, o lo puniva percuotendolo con la pantofolina dorata se per caso, con le dita maldestre, gli capitava di spezzare il fuso. O quando lei, per suo piacere lo costringeva a raccontare le sue passate avventure per divertirla. Ma a quanto pare Eracle non se ne vergognava. Ecco perché certi pittori ci mostrano l’eroe con una sopravveste gialla indosso, che si lascia pettinare dalle ancelle di Onfale mentre Onfale stessa, coperta dalla pelle del leone, regge la sua calva e il suo arco” (Robert Graves, Miti Greci, ed.1992).
Sempre un uomo vestito da donna che serve una donna vestita da uomo rappresenta una degenerazione spirituale, con la differenza che l’imbambolamento dell’eroe (e probabilmente anche quello della regina) fu transitorio, se non addirittura metaforico. Il gioco è bello finché rimane tale, ma trasformare la commedia in un manifesto d’intenti è grottesco.
Posseduto dal desiderio malsano di sovvertire le leggi universali, il totalitarismo democratico vede nell’azzeramento dei sessi il «passaggio necessario» alla condizione post-umana, sappiamo però che a questa scelta non sono estranee le multinazionali del farmaco che producono su larga scala ormoni, steroidi e protesi per la chirurgia estetica. Tanto per cambiare ci sono i soldi dietro la volontà di spacciare scelte e responsabilità individuali per «avanguardismo» della Storia.
Attraverso i media, la cultura, lo spettacolo e le legislazioni si vuole imporre una «mutazione antropologica» che tuttavia può essere contrastata con il radicamento dinamico. Carne e spirito. Equilibrio e misura. Non si esce dall’Età Oscura con la matematizzazione dell’esistenza ma passando attraverso il corridoio del reale re-incanto del mondo.
Più dati significa solo quantità, non qualità. Più cose morte da smerciare, più formalismi e tecnicismi, più manipolazioni retoriche spacciate per «scienza». Tutte cose che non insegnano a vivere senza paura qui, in questo luogo e in questo tempo. Non s’illudano i Filantropi Folli, NON è meglio regnare all’Inferno che servire in paradiso. John Milton (1608 – 1674) non diceva sul serio, stava solo facendo letteratura.
(il viaggio continua)
4 Comments