di Mario M. Merlino
Ho scritto più volte dei miei primi libri acquistati sulle bancarelle di piazza Fontanella Borghese facendo modesta ‘cresta’ al resto della spesa o con le cinquanta lire del biglietto dell’autobus. Di quella prima copia del Così parlò Zarathustra, d’inizio Novecento, forse filologicamente imperfetta ma di certo ben più poetica e coinvolgente di quella impostasi tramite Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Di quella copia che avevo prestato a Giovanni, uno dei giovani anarchici del circolo 22 Marzo, che venne ammazzato una sera a Trastevere mentre armeggiava con le chiavi della macchina da due poliziotti che, si giustificarono, l’avevano scambiato per un ladruncolo. E, sempre, mi tornano a mente le considerazioni di Drieu la Rochelle sulla sua copia, abbandonata nello zaino in un bosco a Charleroi, e di un soldato tedesco che, trovatala, scopre un fratello in spirito e in sangue…
Oggi vi racconto come e quando ho incontrato un estimatore di Nietzsche. Forse qualcuno s’aspetta – e preferirebbe – una lettura seria e ponderata di filosofia e non un piccolo innocuo aneddoto, che sembra masticare poco o nulla di idee incendiarie concetti alla dinamite e visioni del mondo forgiate con il martello (a me pare, però, espressione di quel fascismo proletario, di fede, per cui, con grazia, timidamente me ne servo per giustificare un assai rappresentativo ‘nichilismo’…).
Dunque tutte le mattine me la faccio a piedi da Santa Maria Maggiore fino al liceo nei pressi di piazza di Spagna. La cartella è un bel peso, quando ci sono il vocabolario di greco e quello di latino, ma poter tornare a casa con un nuovo acquisto ha il sapore dell’avventura – e l’eccitazione di questa sensazione ho cercato sempre di trasmetterla ai miei alunni! -. E di fatto lo è come rimorchiare una ragazza mettersi la spranga sotto il giaccone o per via con il pollice ben in vista e lo zaino in spalla e, in più, è di lunga durata e di buona compagnia… Discendo e risalgo per via Panisperna, curvo per via Milano, proseguo diritto sotto il Traforo – ogni volta, conto le sporche e umide mattonelle – , sbocco all’altezza della redazione de Il Messaggero.
A via Milano, subito dopo la scuola del restauro, all’interno di un portone tetro e poco accogliente, si compone e si stampa Il Secolo. Con funzione da portinaio e a protezione c’è Peppe il Matto, più largo che alto, che non conviene far irritare e di certo evitare il soprannome in sua presenza. Si racconta che sia uscito di testa dopo aver subito un trattamento speciale ad opera dei comunisti. Più probabilmente ha qualche forma di disfunzione. Comunque, una mattina, mi afferra per il braccio e con tono brusco e truce mi apostrofa: ‘Tu che sei uno studente, mi devi portare i libri di un certo Nietzsche!’. A parte la morsa che mi fa dolorare, mi sorge spontanea e stupita la domanda, che mi tengo ben protetta in me: ‘Cazzo! Peppe il Matto che legge Nietzsche?’. Arriva la spiegazione: ‘Sai, mi hanno detto che parla bene di Mussolini…’. Mi viene da sorridere, ma ancora non mi ha mollato il braccio e, quindi, meglio fingere di accontentarlo, confidando che se ne dimentichi, come in effetti accade.
E’ questo l’humus culturale, che ha caratterizzato il MSI e dintorni? E’ ciò che pensa tuttora la sinistra, nipote dell’illuminismo e figlia del marxismo, prigioniera dello stereotipo del fascista trinariciuto (e va detto che, troppo spesso, le si è offerto il fianco). Case editrici giornali radio cinema, tutti schierati… Eppure vi è nelle parole sgrammaticate di Peppe il Matto una nobiltà una sfida una dignità – l’ho capito con il tempo, quando mi sono liberato di certa arroganza intellettuale – di tutti coloro che, pur subendo, accanto alla sconfitta delle armi, un annientamento senza precedenti con l’intento di liquidare il Fascismo, di gettarlo quale cosa morta e immonda nella spazzatura della storia, hanno stabilito – chi in modo consapevole e chi solo emotivamente – che, no, quel sogno, quell’idea, quell’avventura rimane ‘la poesia del XX secolo’… Poi si legga, ad esempio, di Ruggero Zangrandi Lungo viaggio attraverso il fascismo, quando parla della vivacità culturale dei GUF, o di Nino Tripodi Intellettuali fra due bandiere (e, immodestamente, Inquieto Novecento scritto con l’amico Rodolfo). Ci si renderà conto, allora, come la cifra alta ed altra del secolo trascorso fu il Fascismo ‘immenso e rosso’, come lo definiva Robert Brasillach…
Dovrei recuperare l’inizio di questa pagina, citare cioè Nietzsche quando invita a riconoscere nel sangue la presenza dello spirito… ma mi viene a mente quanto scriveva Martin Heidegger quando decise di rinunciare alla prestigiosa cattedra offertagli per ben due volte all’università di Berlino. ‘In tali occasioni, lascio la città e me ne torno alla baita. Ascolto i monti, le foreste e le fattorie. Poi vado da un mio vecchio amico, un contadino di settantacinque anni. Ha saputo dell’offerta di Berlino leggendo il giornale. Che dirà? Rivolge lentamente lo sguardo sicuro dei suoi occhi chiari verso di me; stringe le labbra e la mascella, posa la sua mano fedele e assennata sulla mia spalla e – scuote quasi impercettibilmente la testa. Questo significa inesorabilmente: No!’.
Ecco: Peppe il Matto confonde Nietzsche e lo assimila ad una penna di Regime, pronta magari dopo il 25 aprile di scoprirsi antifascista da sempre. Il contadino di Heidegger conosce solo il confine dei monti quale estremo orizzonte. Io, però, ho imparato a pensare come, nonostante tutto, ci deve essere qualcosa che va ben oltre l’inchiostro… e qualcuno chiamò questo qualcosa ‘fedeltà’, fedeltà alla terra fedeltà alla propria gente fedeltà alle idee per cui vale la pena battersi e, se occorre, accettare la sconfitta fedeltà a se stessi e questo si chiama ‘onore’…
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