di Fabio Calabrese
Il 7 novembre sulle pagine del quotidiano on line Il primato nazionaleè comparso un articolo dedicato al movimento nazionalista ungherese Jobbik, che riporta ampi stralci di un articolo postato dal leader dello stesso, Gabor Vona, che è un docente, sul sito del partito. Molte cose che dice Vona mi sembrano pienamente condivisibili, a cominciare dall’affermazione, che coincide pienamente col mio pensiero al riguardo, che non bisogna confondere la UE con l’Europa, che la scelta del movimento è per l’Europa dei popoli, contro quella dei banchieri. Tutte cose da sottoscrivere a occhi chiusi; quando, tutto a un tratto, mi è cascato l’occhio su di un’affermazione che mi ha lasciato molto perplesso:
“Dichiaro”, afferma Vona, “Che oggi l’ultimo baluardo rimasto della cultura tradizionale è l’islam”.
Per Jobbik, verrebbe voglia di esclamare, Per Jobbik!
Facciamo pure la tara del fatto che una simile dichiarazione possa essere stata dettata dall’esigenza di stornare dal movimento le accuse di xenofobia: rimane nondimeno molto forte.
D’istinto, il mio primo pensiero sarebbe quello di trovare qualcuno che possa tradurre in ungherese il bel saggio di Silvano Lorenzoni, Cos’è l’islam e dove lo si deve collocare fra i nemici dell’Europa, e spedirlo a Vona.
Tuttavia è innegabile che esista il problema di una certa islamofilia in ambienti che sono considerati a noi contigui. Senza arrivare al caso estremo di René Guenon e di qualcun altro che seguendo le sue orme è arrivato a convertirsi all’Islam, si possono ricordare gli esempi di Claudio Mutti e certe recenti prese di posizione di Franco Cardini e di Roberto Jonghi Lavarini (facendo la tara del diverso spessore di questi personaggi), e viene subito da osservare che essere islamofili è una totale assurdità sul piano logico: l’Islam, più che una religione, è una visione del mondo totale e totalitaria, non ci si può stare dentro per metà, o si crede incondizionatamente al Profeta o si è kafir (‘infedeli’), non esistono possibilità intermedie.
Poiché non voglio essere accusato di avere una posizione preconcetta, vediamo di mettere sul tavolo per prima cosa quelle che dal nostro punto di vista sono le positività dell’Islam. Bisogna prima di tutto considerare il fatto che alcune delle maggiori resistenze al piano di dominazione mondiale giudeo-americano si trovano oggi nel mondo islamico: l’Iran e il popolo arabo palestinese direttamente impegnato nella lotta per la sopravvivenza contro l’entità sionista. Tuttavia, la circostanza che si tratti di realtà islamiche mi sembra piuttosto accessoria. La monarchia wahabita che regge l’Arabia Saudita si presenta come la custode dell’islam più devoto, ortodosso e fondamentalista, ma ha intrallazzato e intrallazza parecchio con gli Stati Uniti, e tutti noi ricordiamo il “generoso” intervento americano quando Saddam Hussein pensò di pagare col piombo invece che con l’oro i debiti che aveva con i sauditi.
Questi islamofili che fantasticano di una coalizione Europa-Islam in funzione anti-americana e così non guardano o non danno importanza all’invasione magrebina che ci arriva tutti i giorni dentro casa, si sono scordati pure dell’aggressione congiunta islamico-americana contro la Serbia nella crisi della ex Jugoslavia. Fu in quella circostanza, tra l’altro, che la CIA incentivò lo sviluppo di Al Qaeda, già nata come legione straniera islamica impiegata contro i sovietici in Afghanistan: il mostro yankee partorì il mostriciattolo islamo-terrorista.
Una positività che può essere riconosciuta all’Islam è il fatto che, a differenza del cristianesimo, questa fede non ha mai indebolito, semmai rafforzato, lo spirito combattivo delle popolazioni che a essa si sono convertite. Se non erro, è stato proprio un implacabile critico delle religioni come Friedrich Nietzsche ad ammettere che “L’islam è una religione da guerrieri, non da donnette”.
Noi non possiamo disconoscere, ad esempio, il ruolo avuto dall’insuperabile resistenza dei combattenti islamici afgani nell’innescare la crisi che doveva portare alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma c’è da considerare anche l’altra faccia della medaglia, quanto spesso questo spirito guerriero si trasformi in fanatismo, in intolleranza, in pura e semplice violenza. Uomini abituati prima a uccidere e dopo, forse, caso mai a pensare, sono facilmente manipolabili. Pare ad esempio che vi siano ben pochi dubbi sul fatto che l’attivista anti-sionista italiano Vittorio Arrigoni sia stato ucciso da un gruppo fondamentalista islamico manovrato dal Mossad, il servizio segreto israeliano.
Recentemente, in un articolo apparso su EreticaMente, “Antigone e il capitano”, a proposito dell’Islam avevo scritto:
« Peggio del Cristianesimo e delle sue moderne propaggini (marxismo, liberalismo, democrazia) in campo ‘religioso’ c’è soltanto il totale assorbimento, la totale vampirizzazione della sfera civile da parte di una dimensione (pseudo)religiosa, in una parola, l’Islam. Come è stato fatto notare da studiosi di vaglia del fenomeno religioso – Valli e Lorenzoni – l’Islam è davvero “l’ultima religione” nel senso che più in basso di così non è possibile cadere. Se c’è una religione che si può definire totalitaria, è senz’altro l’Islam, essa si impadronisce della vita del credente e tende a escludere qualsiasi cosa la possa mettere sia pure lontanamente in discussione: scienza, filosofia, cultura, ma anche semplicemente la capacità e l’attitudine a pensare in maniera autonoma, è una religione che poteva attecchire solo fra genti ignoranti e culturalmente deprivate, ma a sua volta è causa di ignoranza e di deprivazione culturale ».
Tutto sommato, non vedo ora alcun motivo per modificare questo giudizio.
Dando ciò per assodato, semmai, il dubbio che rimane è come mai certi ambienti “tradizionalisti” siano così vulnerabili all’Islam al punto da provare uno strano fascino per questa fede rozza e per di più portatrice di un riconoscibilissimo marchio non europeo e anti-europeo. Ciò dipende senza dubbio dall’ambiguità del concetto (che molti hanno) di tradizione. Per comprenderlo meglio, dovrò parlarvi di un episodio della mia vita di cui finora ho sempre avuto ritegno a parlare, temendo che molti l’avrebbero preso come un tentativo di mettersi in mostra: ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Julius Evola e di avere un colloquio con lui.
Nell’estate del 1972, circa un anno prima della scomparsa del Maestro, ero un giovanotto ventenne con sicuramente più presunzione che buon senso. Allora non potevo rendermene appieno conto, ma ero giusto arrivato al momento in cui una persona si forgia una propria Weltanschauung rivedendo criticamente gli insegnamenti che ha ricevuto, e i dubbi che cominciavo a nutrire sul pensiero tradizionalista erano molto forti.
Feci la cosa più ingenua che potete immaginare, non ebbi difficoltà a rintracciare sull’elenco telefonico Julius Evola, che sapevo abitare a Roma in corso Vittorio Emanuele a due passi da piazza Navona, e con incredibile sfacciataggine (giudicando le cose a posteriori) gli chiesi un colloquio che mi fu gentilmente accordato.
Ho ancora, dopo tanti anni, la scena davanti agli occhi. Evola, che era paralizzato e mi ricevette disteso a letto, abitava in un appartamento alquanto modesto tutto tappezzato dai suoi quadri alle pareti, ma non ero lì per l’arte, anche se ancora adesso, retrospettivamente, rimango stupito della disponibilità del Maestro a ricevere un giovanotto che a tutti gli effetti era uno sconosciuto Pinco Pallino.
Ricordo che entrai senza o con pochissimi preamboli nell’argomento che mi interessava: i maestri della Tradizione, René Guenon e lui stesso, se concordavano pienamente riguardo alla pars destruens, la parte negativa delle loro dottrine, con la condanna della modernità, della democrazia del marxismo, per quanto riguardava la pars construens, la parte positiva, erano in disaccordo su tutto.
Ad esempio, Evola disprezzava il Cristianesimo che invece Guenon teneva in considerazione arrivando a scrivere un libro sul “Simbolismo della croce”. Evola ha dedicato uno dei suoi libri migliori, La dottrina del risveglio, al Buddismo, che invece Guenon considerava una degenerazione sovversiva dell’Induismo. Evola ha avuto anche grande considerazione per le dottrine estremo-orientali: Scintoismo, Taoismo, Confucianesimo, che invece Guenon non teneva in nessun conto, apprezzando invece, sempre a differenza di Evola, l’Islam, anche se allora ignoravo che avesse concluso i suoi giorni da mussulmano. Insomma, per chi cercasse di capire in che consisteva questo pensiero tradizionale al di là degli attacchi alla modernità, non c’era modo di raccapezzarsi.
Julius Evola mi spiegò che l’atteggiamento di Guenon era molto formalistico, con un’attenzione esagerata ai miti e alle formule, al punto di perdere di vista la sostanza. Ciò che Evola intendeva dire, mi sarebbe stato meglio chiaro più tardi: fra un gruppo di pagani che si riuniscono fra i resti di un circolo megalitico o fra le rovine di un tempio disertato da millenni dove è cresciuta l’erba, che cercano di resuscitare riti dimenticati e magari non hanno nemmeno un’idea chiara di quel che significhi paganesimo, e professano un miscuglio di New Age e Wicca, ma hanno una genuina volontà di riconnettersi alle più antiche radici spirituali dell’Europa, e “il popolo” di una diocesi cattolica che segue un rito le cui formule sono ben stabilite da secoli, in una bella cattedrale tirata a lucido, sotto la guida di un sacerdote debitamente ordinato e autorizzato, munito di un carisma che si trasmette da secoli fino a risalire “agli apostoli”, c’è molta più tradizione nei primi che nei secondi. Se, infatti, il carisma che si trasmette attraverso i secoli non è che un’eresia ebraica, allora è come credere di possedere un tesoro perché si fa la guardia a una scatola vuota o piena di immondizia.
Una persona che spesso ha attaccato i miei scritti su EreticaMente e che non voglio nominare nemmeno con le tre consonanti dietro le quali vigliaccamente nasconde la sua identità, perché proprio non se lo merita, una volta mi ha obiettato che l’assenza di continuità con il paganesimo antico “è il muro co
ntro cui si schiantano” i neopagani moderni. Mi sento di rispondergli che l’innegabile origine ebraica del cristianesimo è l’abisso in cui sprofondano i tradizionalisti cattolici.
ntro cui si schiantano” i neopagani moderni. Mi sento di rispondergli che l’innegabile origine ebraica del cristianesimo è l’abisso in cui sprofondano i tradizionalisti cattolici.
Quello che vale per il Cristianesimo, vale anche per l’Islam, sono entrambi figli bastardi dell’Ebraismo, con in più, per quel che riguarda l’Islam, l’aggravante di un ‘marchio di fabbrica’ mediorientale, non europeo, ancor più accentuato, “semitico-negroide” direbbe il nostro grande Silvano Lorenzoni.
Possono essere sani i rami se il tronco è marcio? Chi, come il professor Vona, vuole vedere nell’Islam un caposaldo della tradizione, se è in buona fede non sa quel che dice.
Che alcuni esponenti di rango della Chiesa Cattolica manifestino un’aperta simpatia per l’Islam, che è ancora una religione forte con una presa fortissima sulla mentalità dei fedeli, cosa che il Cristianesimo non è più da secoli, non è cosa che possa stupire, come non stupirebbe troppo la conversione all’Islam di qualche tradizionalista cattolico: a una visione mutila e unilaterale di ciò che è tradizione, se ne può sostituire un’altra ugualmente mutila e unilaterale. Quel che veramente stupisce e fa veramente specie, è la conversione all’Islam di un “tradizionalista integrale”, sia pure con un approccio formalistico, come René Guenon.
L’assunto fondante di questa concezione è infatti l’esistenza di una tradizione primordiale da cui tutte le forme di pensiero tradizionale-religioso in qualche modo derivino o eventualmente degenerino. Qualcosa che è profondamente, radicalmente incompatibile con l’Islam, che è invece caratterizzato da un odio viscerale verso tutte le altre forme di spiritualità.
L’Islam non ha combattuto e non continua a combattere con ferocia soltanto i cristiani, ma è ugualmente ostile verso il Buddismo, l’Induismo, il Paganesimo. Noi tutti ricordiamo lo sfregio della distruzione a cannonate di un tesoro artistico oltre che religioso come i Buddha di Bamjan. Verso i pagani (buddisti, induisti) l’odio è di gran lunga più implacabile e feroce che verso cristiani ed ebrei. Se a questi ultimi in quanto popoli “del libro” quindi in qualche modo “fratelli” (o fratelli maggiori) si può accordare una certa tolleranza una volta riconosciuta la superiorità della religione “del Profeta”, per i pagani non c’è che un’alternativa: la conversione forzata o lo sterminio. Questo è il segno a mio parere più evidente del fatto che L’ISLAM NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA TRADIZIONE, che è più tradizionale il marxismo.
Non si tratta di costruzioni dottrinali. I Kalash, pagani caucasici delle alte valli del Pakistan e dell’Afghanistan, europidi spesso biondi o rossi di capelli, sono ancora oggi un pugno di superstiti di secoli di persecuzioni ininterrotte da parte dei bruni islamici delle pianure.
Scusatemi tanto, ma io sono con tutto il cuore, il cervello, l’anima dalla parte dei Kalash CONTRO L’ISLAM, come sono dalla parte di Vittorio Arrigoni contro i suoi assassini, fanatici islamici ARMATI DA ISRAELE, come sono con la Serbia, prezioso antemurale d’Europa CONTRO L’ISLAM e la NATO, dalla parte della nostra Europa che nella lotta contro l’Islam ha definito la sua identità da Poitiers a Lepanto e che oggi, non fronteggiando un’invasione mascherata da immigrazione, gli europei odierni rischiano di lasciar distruggere senza combattere, disperdendo quel patrimonio che i loro antenati hanno difeso per secoli con le armi in pugno.
Rimane fuori discussione la solidarietà con l’Iran, nazione indoeuropea di antichissima civiltà nonostante abbia subito la disgrazia dell’islamizzazione, e che oggi è forse l’unica a livello mondiale a tenere testa al progetto di dominazione planetaria sionista-americano, e con i Palestinesi (molti dei quali tra l’altro non sono islamici ma cristiani), prima vittima dell’aggressione sionista, scacciati dalle loro case e dalla loro terra, e a rischio di un “genocidio al rallentatore” da parte sionista, ma ciò ha poco a che fare con la religione del Profeta.
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