18 Luglio 2024
Attualità Economia Privatizzazioni Rallo

“Per qualche euro in più” gli spiccioli delle privatizzazioni

di Michele Rallo

Come volevasi dimostrare. Alla fine, non potendo spremere più nulla dai contribuenti più tartassati del mondo, non potendo tagliare più nulla dalla spesa pubblica più sforbiciata del mondo, Jo Condor crede di aver trovato il sistema per mettere una toppa ai conti pubblici: incominciare a vendere quel poco di industria di Stato sopravvissuta alla falcidia seguita alla buia stagione del “Britannia” (lo yacht della Regina Elisabetta che nel 1992 ospitò un summit sulle privatizzazioni italiane). Vendere non tutto, naturalmente. A fare tabula rasa della nostra un tempo potente industria pubblica — secondo i piani della speculazione finanziaria — dovrebbe essere la “troika” destinata a commissariare, se tutto va male, la nostra economia nazionale: come in Grecia, per intenderci, dove hanno venduto pure arcipelaghi interi.

Ma lasciamo stare il possibile commissariamento dell’economia italiana — che è comunque di là da venire — e torniamo ad oggi. Letta junior (il senior, si sa, è uno dei consiglieri più ascoltati di Silvio Berlusconi) ha un disperato bisogno di gettare fumo negli occhi, di supportare in qualche modo le sue fantasiose affermazioni circa un miglioramento della situazione economica nel 2014. Come fare? Soldi non ce ne sono. O, meglio, quei pochi che ci sono servono per pagare gli interessi sui prestiti contratti con la speculazione finanziaria. Peraltro, il suo algido predecessore ha impegnato anche i governi del futuro ad un robusto supplemento di “impegni con l’Europa”: ulteriori 70 miliardi di euro annui, fra esborsi e tagli. Naturalmente, sono 70 miliardi che non abbiamo, e quindi dobbiamo — ogni anno — farceli prestare dai “mercati”. Gli interessi lievitano, dunque, e con essi lievita l’ammontare del nostro debito pubblico. Ci avviamo allegramente verso il punto di non ritorno, ma i nostri governanti seguitano a ballare, come i passeggeri del “Titanic” dopo la collisione fatale. D’altro canto, capitan Letta (o capitan Findus, come lo chiama Grillo) ostenta sicurezza, ed altrettanto fa l’ufficiale di macchina, quel ministro Saccomanni (che brutto cognome!) che era il braccio destro di Draghi alla Banca d’Italia. Per inciso, dirò che Draghi ebbe un ruolo-chiave nell’affare del “Britannia” (di cui parlerò in uno dei prossimi articoli), sicché sembrerebbe quasi — come in un giallo di Agatha Christie — che il cerchio si chiuda.

Ma lo spazio tiranno mi costringe ancora una volta a tornare a bomba, cioè alla privatizzazioni annunziate con gran clamore dal nipote di zio Gianni, con Saccomanni al seguito. Riguarderanno, fra le altre, quote di Sace, Cdp Reti, Grandi Stazioni, Enav, Stm e Fincantieri, che dovrebbero consentire l’incasso di una decina di miliardi. Con l’iscrizione a bilancio di questa somma, naturalmente, la cifra del debito pubblico calerà di un pari importo, e la cosa consentirà a Jo Condor di proclamare con squilli di trombe che il deficit sarà calato “per la prima volta dopo cinque anni di crescita”. Poco più di un espediente contabile, in altri termini, e per di più utile a salvare la faccia soltanto per un anno: quanto — secondo gli ottimisti — dovrebbe durare il governo Letta.


Dopo di che — immancabilmente — il debito pubblico tornerà a crescere. Con una aggravante: che avremo nel frattempo perso un’altra porzione della nostra economia reale, quella fatta di aziende produttive che distribuiscono dividendi e non di pezzi di carta. Come nel caso di un poveretto che abbia portato al banco dei pegni una fazzolettata di anelli e catenine, ceduti per pagare una rata annuale del mutuo sulla casa; e che l’anno seguente si ritroverà sfrattato da casa, e senza neanche i gioielli di famiglia. La logica delle privatizzazioni — dal “Britannia” al “Titanic” — è proprio questa: spogliare la famiglia degli italiani dei loro averi e gettarli sul lastrico. 

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