PREMESSA
Uno degli interrogativi che fin dall’inizio viene posto da quanti si accostano al vasto ed articolato mondo delle Tradizione classica greco-romana, è quello riguardante il modo di vita, le nome esistenziali e sacrali che devono infornare oggi la nostra esperienza quotidiana, per ancorarla con coerenza, ai principi immutabili del la Tradizione stessa.
Indubbiamente riesce difficile, per uomini e donne pienamente calati nei problemi del XX secolo, saper individuare con lucidità e certezza l’atteggiamento complessivo da assumere di fronte al mondo moderno.
Qui non si tratta affatto, come credono taluni, di volgere lo sguardo al passato, nel vano tentativo di parodiarne i modi di vita. Né tanto meno si può sfuggire il problema assumendo sprezzanti, quanto sterili, atteggiamenti di negazione e chiusura nei confronti del tempo attuale.
E sia detto chiaramente, non intendiamo neanche avallare le convinzioni di quanti si sono fin qui illusi, in più o meno buona fede, di “cavalcare la tigre” della dissoluzione moderna, modellandosi una pseudo-tradizione a propria immagine e somiglianza, rinnegando la legittimità di ogni ulteriore riferimento normativo tradizionale con i comodi alibi della “fine del ciclo”, della “morte di Dio” e del carattere eccezionale ed anormale dei tempi ultimi.
Se indubbiamente sono valide le considerazioni sullo stato di avanzata dissolvenza di ogni forma residuale della Civiltà borghese e sulla quasi assoluta scomparsa di strutture tradizionali regolari e positive, restano altresì valide le acute osservazioni evoliane circa “…l’appoggio che potrà continuare a dare la Tradizione” (1), non attraverso il ricollegamento “ideale” a “una qualunque civiltà già da essa formata, ma soprattutto a quella dottrina che, per cosi dire, ne conteneva i principi allo stato preformale superiore e anteriore alle particolari formulazioni storiche e che nel passato non era di pertinenza delle masse, ma aveva il carattere di una ‘dottrina interna’”. (2)
Si deve sempre però tenere presente che nello svolgere queste considerazioni, Evola aveva in vista esclusivamente un particolare tipo umano, che egli definisce “l’uomo differenziato” (3), e, che in più tale figura viene concepita come “solitaria” e isolata (4) da qualsiasi contesto comunitario.
Al contrario, le nostre indicazioni sul modo di vita tradizionale hanno eminentemente in vista i membri di una ben precisa Comunità che, in quanto tali, debbono sempre fare esplicito riferimento tanto alle dottrine quanto alle stesse norme e prescrizioni della sacralità romana, cosi come essa oggi si va rimanifestando.
Per meglio definire, precisare e fissare, nelle sue linee essenziali, tale modo di vita tradizionale, ci avvarremo sostanzialmente di un articolo di Antonio Medrano (5) sullo stesso tema, riadattandolo ed ampliandolo ove necessiti, per meglio adeguarlo alla specifica prospettiva tradizionale romana.
NOTE
- J.Evola. Cavalcare la tigre. Il Palco. Milano, 1981, p.13.
- J.Evola. op.cit., p. 13.
- J.Evola. op.cit., p. 49.
- J.Evola. op.cit., p.I74.
- A. Medrano. Il modo di vita tradizionale. Pubblicato sul n°23 della rivista Heliodromos, Aprile-Giugno 1985. Pp. 23+31.
In primo luogo, accingendoci ad esporre i precetti generali di un modo di vita tradizionale, bisogna tener presente che in realtà non esiste, nella visione tradizionale, una forma di vita unica ed uniforme, valida indiscriminatamente per tutti gli esseri umani. Più che parlare di modo di vita tradizionale, bisognerebbe parlare, a rigore, di modi di vita tradizionale; poichè molteplici e diverse sono le vie esistenziali che presenta il mondo della Tradizione, offrendo in questo campo una vasta gamma di possibilità che rispondono alle differenziazioni di tempo e luogo, così come alla diversità di tipi umani e di formulazioni dottrinarie.
Così il tipo di vita cambia, in numerose questioni di dettaglio, non sole a seconda delle Tradizioni, ma anche all’interno del contesto di un’unica forma tradizionale, il modo di vita varierà a seconda dell’inclinazione vocazionale predominante in ogni casta o tipo umano e secondo la capacità intellettuale di ogni persona.
Infatti, per fare degli esempi concreti, non si addice la medesima attitudine esistenziale per un uomo portato all’azione e per un tipo contemplativo: lo stile di vita della casta sacerdotale deve essere, per forza, differente da quello tipico della casta guerriera o mercantile.
Ciò nonostante, non si può ignorare che questa molteplicità di forme di vita ha in comune un nucleo di principi fondamentali, che è proprio ciò che le fa partecipare al medesimo mondo spirituale, il quale, nello stesso tempo in cui le accomuna fra di loro, le contrappone senza mezzi termini al modo di vita imperante nel mondo moderno.
Ciò ci permette di parlare di un modo di vita tradizionale, di cui le diverse varianti a cui alludevamo non sarebbero che espressioni o modulazioni particolari.
Le diverse forme tradizionali di vita sono, in effetti, adattamenti della vita normativa ed essenziale della Tradizione, così come nelle diverse tradizioni non deve vedersi altro che espressioni adeguate alle differenti condizioni umane della Verità unica ed eterna.
Riguardo all’atteggiamento esistenziale e tradizionale romano bisogna evidenziare i seguenti elementi fondamentali:
— Condurre la vita secondo principii autentici, ovvero secondo i principi immutabili della Tradizione Classica greco-romana, che, per noi, coincide anche con la più originaria ed autentica Tradizione sacrale dell’Occidente.
Totale adesione alle dottrine tradizionali. Tenere sempre presenti i loro insegnamenti e seguire i loro orientamenti.
Uniformare tutta la nostra esistenza alle loro direttrici e ai loro consigli. Assoggettare alla Norma dottrinaria dell’impersonalità – che è criterio. di pura obiettività – tutti i nostri giudizi, opinioni, tendenze, azioni, limitando al massimo o, meglio ancora, sradicando del tutto il capriccio e la arbitrarietà, la mania di originalità e indipendenza individuale, la “fregola” del protagonismo, il criticismo corrosivo e razionalista e qualunque altra manifestazione individualistica.
La vita dell’uomo tradizionale si distingue, innanzitutto, da quella dell’uomo moderno perchè mentre quella del primo si ispira per intero a una dottrina che orienta, ordina e dà senso a tutti gli aspetti della sua esistenza (una autentica dottrina: sacra, di origine non umana, posta al di sopra dei criteri individuali), quella del secondo si svolge invece senza alcun orientamento dottrinario, fuori da ogni dottrina, ignorando persino ciò che questa parola possa significare.
Tutto ciò presuppone, ovviamente, uno sforzo iniziale di conoscenza e di assimilazione del contenuto dottrinario della Tradizione.
Una volta fatto questo passo, bisogna lasciare che il suo messaggio luminoso e vivificante penetri in modo naturale in tutti gli aspetti della nostra vita, in modo che la sua presenza rettifichi il nostro stesso modo di essere, il nostro modo di vedere le cose e di vedere noi stessi, il nostro modo di pensare e di comportarci.
In questo senso, potremmo fare nostra l’esortazione di Porfirio:
“A ogni azione, ogni opera, ogni parola, che sia presente Dio come testimone e come custode”. Porfirio, Lettera a Harcella,12.
— Sacralizzare e ritualizzare la propria vita.
Fare in modo che in essa sia presente con la massima intensità possibile, la dimensione rituale e simbolica che costituisce uno degli elementi fondamentali del mondo tradizionale,
(Per il quale diventa indispensabile l’adesione ad una vita rituale concreta: ciò a dire, l’adesione e l’adeguamento alle norme cultuali e religiose della pietas romana).
Permeare il proprio ambiente esistenziale dei riti, immagini e simboli sacri della Tradizione, ovviamente, nella misura in cui lo permettono le condizioni di vita imperanti nella società attuale e le circostanze personali di ognuno.
— Praticare e coltivare tutto ciò che ci arricchisce in concentrazione, unità, interiorità, profondità, elevazione, centralità, ordine, misura, disciplina, autodominio, attività cosciente e piena di significato, pace e quiete creatrici, armonia ed equilibrio.
Come, per esempio, introspezione, riflessione, lavoro, arte, musica, silenzio, studio, esercizio fisico e mentale, preghiera, meditazione.
Eliminare, invece, o ridurre ai minimi termini ciò che è causa di dispersione, dissociazione, distrazione, superficialità, frastuono e disordine, anarchia, mancanza di controllo, agitazione, dissipazione, attivismo sterile, debolezza, tensione o discordia (tanto interna quanto esterna).
Tutto ciò che per l’appunto configura l’orientamento dominante della vita moderna, che esalta, esaspera ed agita con ogni mezzo.
— Rettitudine, autenticità e purezza di vita.
Mantenersi sempre sul retto cammino. Rimanere sempre fedeli alla nostra più alta realtà, alla dimensione verticale del nostro essere.
Vivere in conformità con la legge sacra, conservare e propiziare (tanto all’interno di noi stessi che nell’ambito comunitario) la pax deorum, cioè il fondamentale rapporto di benevolenza tra noi, la Comunità e la sfera divina.
Evitare la falsità e la menzogna, la doppiezza e l’ipocrisia, il tradimento alla norma interiore.
Rettitudine nei pensieri, nelle parole così come nelle azioni.
Che tutta la nostra esistenza si regga su un agire giusto e puro.
— Vivere in armonia col ritmo cosmico.
Adattate la propria vita alle leggi eterne della natura e del cosmo, espressioni della volontà divina.
L’uomo è un cosmo in piccolo, un microcosmo, e deve regolarsi secondo le stesse leggi che governano il macrocosmo, l’ordine totale dell’universo.
Ciò significa condurre una vita sana, naturale ed equilibrata, astenendosi da tutto ciò che è frivolo e superfluo, da tutto ciò che è artefatto e falso (come, per esempio, l’enorme cumulo di bisogni e problemi artificiali creati dalla attuale civiltà dei consumi) e, quindi, da tutto ciò che è innaturale e disordinato.
La natura e la semplicità sonogli ideali del modo di vita tradizionale.
— Rispetto di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda.
considerazione riverente verso le leggi della vita e verso tutti gli esseri.
Rispetto per gli altri e tolleranza sincera verso le loro inclinazioni, convinzioni o vocazioni.
Rifiuto netto di ogniforma di proselitismo e missionarismo, vere e proprie aberrazioni tipiche dell’Occidente moderno, che lo hanno portato a voler imporre la sua civilizzazione senza luce agli altri popoli della terra, sradicandone e appiattendone i modi di vita e le stesse forme spirituali originarie, in nome di un ipocrita umanitarismo progressista.
Non distruggere nè alterare gli equilibri ambientali e naturali.
Mantenere un atteggiamento di sacra venerazione nei confronti della natura, entro cui si manifestano le forze numinose della realtà divina.
— Animo aperto.
Nobiltà, generosità, magnanimità, grandezza d’animo (l’ideale greco della megalopsychia e della romana magnitudo animi).
— Misura in tutto.
Il ritmo e la misura sono i criteri esistenziali dell’uomo della Tradizione, la cui vita è retta da un’aritmetica e da una geometria sacra.
Cercare sempre il punto d’equilibrio, il giusto mezzo, equidistante dall’eccesso e dal difetto.
Imporsi un metodo, una disciplina, una ascesi che, utilizzando tecniche appropriate, agisca da sostegno.
Regolarsi attraverso una misurata austerità: essere parchi nel mangiare, nel dormire, nel parlare, nel lavorare e nel divertirsi.
Ridurre al massimo i desideri, le aspirazioni e le necessità.
Rifiutare tutto ciò che è degradante, ciò che ci rende schiavi dei sensi, che accresce il nostro senso dell’io.
Fu già massima pitagorica questo precetto:
“Non far cosa che sia turpe in faccia ad altri o a te stesso; ma ‘soprattutto rispetta te stesso'”. Pitagora. Aurea Carmina, VI.
— Atteggiamento di radicale distacco.
Vivere con assoluto distacco, con totale spontaneità e libertà interiore. Soprattutto distacco nei confronti del proprio io.
Solo attraverso questo distacco interiore l’uomo può ottenere la libertà assoluta; dunque grazie ad esso riesce a liberarsi da se stesso e da tutto ciò che lo circonda.
Non si affligge più per gli eventi e le cose, nè può essere reso schiavo dalle passioni; rimane sempre identico e impassibile.
— Soppressione dell’egoismo.
Il cammino della propria interiore libertà passa attraverso il dominio dell’io.
Ricordarsi sempre che il nostro peggior nemico è in noi stessi, nelle nostre emozioni, giudizi, spasmi, brame, dubbi, ecc. E’ il nostro egocentrismo che dobbiamo vincere se vogliamo che si risvegli e si affermi il nostro essere spirituale.
— Vivere in continuo stato di vigilanza interiore.
Mantenere un continuo atteggiamento di attenzione e autocontrollo.
Essere sempre svegli, attenti a ciò che avviene dentro e fuori di noi.
Essere in ogni momento coscienti di ciò che facciamo, pensiamo e diciamo, degli impulsi e delle motivazioni, dei movimenti del nostro corpo, delle emozioni che si raccolgono nella nostra anima. Non vivere addormentati o in letargo, assoggettati incoscientemente al puro divenire orizzontale, distratti dalle cose esterne e dalle illusioni partorite dal proprio io, lasciando che l’esistenza si consumi senza che sia percepito il profondo mistero che essa racchiude.
Svegliarsi alla vita e stare sempre in guardia, mantenendo la posizione eretta e vigile della sentinella che veglia il tesoro della città interiore. L’imperatore Marco Aurelio soleva ricordare a se stesso:
“Devi essere vigilante anche quando ti diverti”. Marco Aurelio. Ricordi IV, 26.
E’ questo un atteggiamento indispensabile per la conoscenza di se stessi e del mondo.
— Adesione all’azione che si stà svolgendo.
Concentrazione nell’istante presente vissuto.
Vivere “qui ed ora”, libero sia da preoccupazioni per ciò che avverrà nel futuro sia da recriminazioni o rimorsi per ciò che è passato.
Tutto questo vuole anche dire: non perdere tempo, non lasciare che passi inutilmente od inconsciamente neppure un solo minuto della nostra esistenza.
— Azione pura e disinteressata. realizzata con spirito di sacrificio.
Fare ciò che deve essere fatto, senza preoccuparsi per le conseguenze che possono derivarne.
Compiere il proprio dovere, senza aspettarsi ricompense o temere punizioni.
Non tenere in nessun conto in tutto ciò che dobbiamo intraprendere le prospettive di riuscita o di insuccesso, di perdita o di guadagno, ma considerare solo se l’azione da compiere è giusta ed utile.
— Volontà combattiva. tensione affermatrice ed eroica, energia interiore, virilità spirituale (la virya indo-aria, la virtus romana, la areté greca).
Sforzo costante, azione orientata continuamente alla perfezione.
Diffidenza verso tutto ciò che è passività, abbandono, inerzia, oziosità, sonnolenza, abulia, incuria.
Scriveva Seneca: “Mentre si attende di vivere, la vita passa”. Seneca. Lettere a Lucilio, 1,1.
Impegno, dunque, e risolutezza per realizzare il proprio destino, per compiere la missione unica ed inalienabile che ci è stata affidata in questa vita, per procedere sul sentiero della realizzazione interiore.
Coraggio e determinazione per vincere tutte le difficoltà che si frappongono al nostro cammino; e, soprattutto, fermezza, costanza, pazienza e perseveranza nel conseguimento dell’obiettivo prefissato e nella pratica della disciplina prescelta.
— Autocontrollo, dominio di se stessi, lucidità e chiarezza di giudizio, libertà interiore.
Mantenendo in ogni momento uno stato di chiarezza mentale: non lasciarsi trasportare dalle passioni, non permettere che il proprio sguardo sia annebbiato dall’errore o dall’ignoranza.
Evitare ogni tipo di droghe, intossicazioni o crisi emotive che offuscano la nostra mente, che diminuiscono la nostra lucidità intellettuale e volitiva, che neutralizzano la nostra capacità di azione e reazione, che seminano nella nostra anima la stanchezza o l’impotenza.
— Atteggiamento profondamente realista ed obiettivo dinnanzi ai fatti della vita.
Non snaturare nè far violenza alla realtà.
Mantenere una posizione di centrale imparzialità, di impersonale obiettività che eviti qualsiasi eslusivismo di parte. Regole fondamentali devono essere a tale proposito: non ingannarsi con le proprie costruzioni mentali nè annebbiarsi con il fanatismo, saper cogliere la verità senza deformazioni sentimentali e soggettive di nessun tipo.
Affermava Epitteto:
“Gli uomini sono turbati non dalle cose, ma dai loro giudizi sulle cose”. Epitteto. Manuale, 5.
E’ necessario quindi comprendere che la polarità è la legge che regola tutta l’esistenza condizionata: che il polo positivo esige la presenza del polo negativo; che se il bene è necessario, altrettanto lo è il male e il dolore.
E che tanto un estremo quanto l’altro manifestano il mistero dell’Assoluto.
— Accettazione, fiducia, soddisfazione, imperturbabilità, serenità e gioia, riposo nel proprio essere.
Fiducia della Provvidenza divina. Conformità con il proprio destino, sapendo che nulla è casuale e che tutto risponde a una profonda logica e a leggi precise che superano la nostra comprensione.
Amore per la gerarchia, la differenziazione qualitativa e per il posto che, in ordine con tutto questo, ci compete nell’organizzazione totale dell’Universo. Fedeltà alla propria natura.
— Coltivare ciò che è buono, nobile. giusto e bello.
Riempire la vita con tutto ciò che ci avvicina alla Verità, alla Bellezza e al Bene Supremo.
— Disciplinare il corpo, fortificandolo ed irrobustendolo, saper utilizzare tutte le sue energie, applicare tutte le sue potenzialità affincbè divenga un solido appoggio per il compito dell’elevazione spirituale.
Non dimenticare mai che l’obiettivo da raggiungere è lo sviluppo integrale, armonico ed equilibrato, della persona.
— Coscienza della presenza divina.
Non dimenticare mai che la Divinità è presente al centro del nostro essere e nel mondo in cui viviamo, in tutto quanto ci circonda.
«Dio non è esteriore ad alcun essere; egli è in tutti gli esseri; ma essi non lo sanno.
Essi fuggono lontano da lui, o, piuttosto, lontano da se stessi”
Plotino Enneadi, VI 9,7,16-18.
tratto da I QUADERNI DELLA FENICE a cura di Roberto Incardona
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