Lo scorso 3 gennaio, nei pressi dell’Aeroporto Internazionale di Baghdad, il generale iraniano Qasem Soleimani cade vittima di un attentato voluto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di concerto col Pentagono e apparati del cosiddetto Deep State americano. Muore così il secondo uomo più importante di Teheran, colui che nella guerra civile siriana e per contenere l’avanzata dell’ISIS in Iraq ha guidato la Forza Quds a sostegno di Bashar al-Assad.
In tutta risposta, la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, proclama tre giorni di lutto nazionale, definendo Soleimani un martire (shahid) e conferendogli, post-mortem, il grado di Tenente Generale. Immediatamente si diffonde la preoccupazione che l’evento possa cambiare gli equilibri geopolitici del Medio Oriente mentre in Italia circola la notizia secondo cui il drone che avrebbe colpito l’auto su cui viaggiava il generale iraniano sarebbe partito dalla base aerea di Sigonella in Sicilia. Notizia poi smentita dal Ministero della Difesa e dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
La vicenda fin qui narrata torna a sollevare una vecchia questione, quella sulle basi USA, che divide in due opposte fazioni: chi, da un lato, sostiene la necessità di ospitarle sul territorio nazionale e chi invece le considera, come la sottoscritta, l’ennesimo sopruso di una potenza muscolare e prevaricatrice, una violazione della sovranità nazionale, un costo esoso, quello destinato alle attività di manutenzione, che grava sulle spalle degli italiani e un pericolo contro la nostra incolumità. All’indomani dell’accaduto, una richiesta al Premier Giuseppe Conte e al Ministro della Difesa Lorenzo Guerini di chiarire “immediatamente il ruolo” della Base di Sigonella arriva dal coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli, e Luca Cangemi, della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano (PCI), ha denunciato il silenzio attorno al possibile coinvolgimento della Naval Air Station siciliana nell’assassinio di Soleimani.
Mentre si fa strada il timore che l’opinione pubblica – inebetita dalla frenesia degli acquisti in questa stagione di costi al ribasso, da notizie frivole come l’addio di Harry e Meghan alla Royal Family, o attenta com’è a seguire il tam tam mediatico su chi saranno i cantanti, gli ospiti e le soubrette del Festival di Sanremo – abbia completamente ignorato il riaffacciarsi di questo tema, tornato di attualità anche in occasione della crisi siriana, dei raid statunitensi contro le postazioni dell’ISIS (Daesh) in Libia, e, ancora indietro, quando le basi NATO in Italia ebbero un ruolo fondamentale nella campagna, nota come operazione “Allied Force”, di attacchi aerei portata avanti dalla NATO per oltre due mesi contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milošević.
In Italia, le basi ufficialmente dichiarate sono 120, oltre a 20 basi militari USA totalmente segrete. L’Italia è la nazione in Europa che ha il numero maggiore di militari americani, e, quando nel resto d’Europa sono diminuiti, in Italia sono persino aumentati. Non ultimo, nelle basi NATO di Aviano nel Friuli e Ghedi in Lombardia, sono presenti novanta testate atomiche, nonostante che con lo storico referendum sul nucleare, nel novembre del 1987, solo un anno dopo il disastro di Chernobyl, gli italiani abbiano detto no all’utilizzo dell’energia atomica per usi civili, figuriamoci per quelli militari!
L’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA), anche detto “Accordo Ombrello”, ovvero il trattato che disciplina lo stato giuridico delle basi americane in Italia, è stato sottoscritto da USA e Italia il 20 ottobre del 1954, in piena Guerra Fredda, quando si rese necessario creare un avamposto da cui poter contrastare la possibile invasione dell’Europa Occidentale da parte dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica, questa minaccia non esiste più, eppure gli armamenti nucleari sul territorio nazionale stanno ancora lì. Perché?
Perché dalla fine della Seconda Guerra mondiale, l’Italia, uscita sconfitta dal conflitto, firmando l‘armistizio con le forze alleate, l’8 settembre 1943, ed entrando, successivamente, a far parte del cosiddetto Blocco Atlantico, ha rinunciato alla propria indipendenza per firmare un patto non di alleanza ma di sudditanza con gli USA, prima potenza mondiale, che da oltre mezzo secolo influenza le nostre vite, con l’imposizione del pensiero unico, quello secondo cui la democrazia capitalistica sia il migliore dei mondi possibili; peccato che questo modello di una economia dedita al solo profitto, alla distruzione della terra da cui dipendiamo e disinteressato ai bisogni dell’uomo, sia in crisi e che all’orizzonte non si intravedano valide alternative. Dunque, il dibattito sulla presenza militare americana sul nostro territorio non solo non è obsoleto, ma è una questione della massima urgenza, poiché è a rischio la nostra sicurezza nazionale e perché è moralmente necessaria una lotta, da parte delle forze politiche e della società civile, all’America, il cui cammino di potenza “civilizzatrice” è lastricato di violenza, ingiustizie e prevaricazioni.
Mauro Bulgarelli, ex-Deputato verde, promosse, era il 2007, un referendum per smantellare qualsiasi armamento nucleare sul territorio italiano, ed ha anche redatto una proposta di legge per la desecretazione dei documenti di Stato, per fare luce sulle troppe questioni che rimangono ancora oscure, dalle basi militari alle stragi*. In tempi più recenti, è stato il Movimento 5 stelle a dare dei segni di insofferenza nei confronti dei nostri rapporti all’interno della NATO anche se questo non ha poi prodotto nessuna iniziativa concreta in funzione di una possibile uscita dal Patto Atlantico. Oggi, riproporre un referendum torna di attualità, ma il timore è che ancora una volta la nostra sia la voce di chi grida nel deserto, allora mi viene in aiuto un adagio indiano: “il fiume non va spinto, scorre da sé”; in altre parole, nonostante tutto, è più saggio non abbandonare la speranza che prima o poi i tempi saranno maturi per un cambio di paradigma.
Annarita Curcio
* Da una serie di inchieste giudiziarie emergerebbe che le basi NATO in Italia sono state utilizzate come covo per operazioni speciali che facevano capo a “Gladio”, nonché come deposito di armi per la medesima organizzazione paramilitare. Si è ipotizzato inoltre che tali “operazioni” consistessero in organizzazioni di “colpi di Stato”: si può supporre un coinvolgimento degli USA nel fallito colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 e concepito da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, per evitare l’ingresso del PCI nell’area di Governo, e in attentati che, tra il 1964 e il 1980, hanno fatto precipitare il nostro Paese in una sorta di guerra civile permanente.