“In un universo composto di mediocri e di nani, noi, animati da una passione ardente, siamo stati dei costruttori di popoli, consapevoli del nostro destino storico. Non degli imbroglioni elettorali, come nella democrazia. Non degli scribi. Non dei parolai. Non dei gestori di ridicoli cantoni. Dei conquistatori, invece, siamo stati: lucidi e risoluti cavalieri che dall’alto dei loro cavalli fissavano sino all’estremità del cielo l’avvenire che si offriva loro. Guerrieri di una milizia politica e cantori di una epopea che avrebbe potuto salvare, edificare, elevare tutto, come potremmo allora noi rinnegare anche una sola parola di quel che significò la nostra Fede, che ispirò la nostra Vita?”
(Leon Degrelle)
Nonostante e a dispetto dei perduranti ricatti di natura esclusivamente politica che dal 1945 ad oggi continuano a condizionare le ricerche, le interpretazioni e le analisi sui complessi avvenimenti che riguardarono la seconda guerra mondiale, un nuovo filone di indagine, animato da una coraggiosa corrente storiografica decisamente controcorrente, comincia sempre più a prendere corpo apportando agli studi interessanti novità riguardanti le reali motivazioni che indussero alcune nazioni europee, in maniera particolare la Gran Bretagna e la Francia, ad inasprire ulteriormente la crisi politica europea in quel fatidico settembre 1939, costringendo di fatto la Germania nazionalsocialista a muovere i primi passi, giungendo così ad affermare che le cause che determinarono l’inizio delle ostilità del secondo conflitto mondiale risiedevano interamente nelle precise volontà politiche, ideologiche ed economiche espressamente anti-europee manifestate, con atti e prese di posizione, da parte delle democrazie liberal-capitalistiche dell’Occidente plutocratico e massonico e, congiuntamente, da parte dell’Unione Sovietica – il focolaio dell’infezione bolscevica che da Oriente minacciosamente premeva contro l’Europa, non vedendo l’ora di poter estendere i propri confini conquistando nuovi territori verso occidente.
Risiedevano, inoltre, nella crescente ostilità maturata dalle consorterie liberal-massoniche e marxiste nei confronti delle legittime aspirazioni dei tedeschi di volere sottoporre a revisione le vessatorie clausole del trattato di Versailles che dal 1919 continuavano a penalizzare la Germania e le popolazioni di cultura e di lingua tedesca costrette arbitrariamente a vivere al di fuori dei suoi confini.
La Germania nazionalsocialista aveva infatti deciso di risolvere il problema e di voler giungere quanto prima al superamento del vieto formalismo giuridico che era servito a legittimare strumentalmente lo status quo che era emerso dalla vergogna di Versailles, pronunciandosi a favore di una nuova concezione del diritto internazionale che tenesse conto delle ragioni bio-politiche dei popoli e affermando il suo sacrosanto diritto di natura Völkisch-razziale di potere estendere la sua protezione su tutte le popolazioni di stirpe germanica aventi cittadinanza straniera, perché esse per innumerevoli e incontestabili motivi culturali, storici ed etnici appartenevano di fatto al suo Grossraum.
Le cause e le ragioni degli ardenti sostenitori della guerra ad ogni costo risiedevano, soprattutto, nella profonda avversione, apertamente manifestata con violente dichiarazioni, nutrita dalle Oligarchie capitalistiche dell’Alta finanza mondialista convenientemente alleate, per la circostanza, con i cenacoli borghesi del cosmopolitismo marxista e con il bolscevismo sovietico, nei confronti del Nazionalsocialismo che si era vittoriosamente affermato in Germania le cui specifiche caratteristiche, che si trovavano espresse nei numerosi e innovativi interventi volti a qualificare i contenuti e le ambizioni di una nuova politica estera chiaramente revisionista e di una a dir poco rivoluzionaria politica sociale, venivano considerate di gran lunga compromettenti e estremamente dannose per il mantenimento dei loro interessi nel continente europeo.
Le politiche sociali e i provvedimenti di natura economica adottati dallo Stato nazionalsocialista furono sempre coerentemente indirizzati a garantire i prioritari interessi della Volksgemeinschaft, la nuova comunità organica del popolo tedesco, interessi che dovevano essere sempre rispettati e privilegiati a fronte delle egoistiche pretese delle classi, delle categorie e dei singoli individui.
Nel Nazionalsocialismo emergeva potentemente la ferma volontà di dare un reale significato e una concreta testimonianza di una rinnovata Civiltà, un segnale rivolto a tutti i popoli dell’Europa dell’avvenuto inizio di una nuova e grande epoca.
Era il segnale che annunciava la battaglia per un organico sviluppo sociale ed economico a favore della totalità del popolo e della nazione, che andasse ben oltre le ormai superate ed utilitaristiche concezioni economicistiche che caratterizzavano il liberal-capitalismo e il marxismo. Era la battaglia per un’armoniosa crescita culturale a tutto campo che valorizzasse l’anima, lo spirito, l’intelletto e le arti e che la facesse finita, una volta per tutte, con la stagione delle aride derive intellettualistiche e delle bassezze materialistiche.
Era la battaglia per la realizzazione del vero Socialismo, ovvero quello nazionale, comunitario e popolare, la cui dottrina, permeando ogni aspetto della vita civile e sociale, avrebbe consentito al popolo tedesco l’ingresso in una entusiasmante era di coesione, di unità e di solidarietà che non avrebbe mai più conosciuto le lacerazioni e le contrapposizioni di classe.
Era la nobile battaglia del Sangue e del Suolo per la mobilitazione e la rinascita del ceto contadino, che sarebbe ritornato così ad essere il depositario delle radici storiche e spirituali e delle tradizioni del popolo e al contempo costituire di nuovo la sorgente di perenne rinnovamento bio-spirituale della razza.
In sostanza, tutto questo voleva solamente significare l’affrancamento definitivo di un intero popolo dalle catene imposte, a Versailles, dal Capitalismo internazionale le cui perverse logiche, favorendo le nazioni vincitrici, avevano relegato in un angolo una Germania umiliata facendone una nazione di sfruttati.
Dal momento in cui gli USA avevano iniziato, nel corso del diciannovesimo secolo, la loro progressiva espansione commerciale e militare nel mondo, un’espansione ufficialmente ben garantita dalla proclamazione della dottrina di Monroe che le permetteva di negare a tutte le nazioni europee la possibilità di un qualsiasi intervento nell’ambito dell’intero continente americano, soltanto la Germania nazionalsocialista ebbe la capacità di comprendere che la minaccia dell’invadenza statunitense non avrebbe riguardato solamente lei stessa e la sua sopravvivenza, ma avrebbe inevitabilmente coinvolto tutta l’Europa e per tutto il continente sarebbe iniziata conseguentemente una fase di progressivo declino, mentre contemporaneamente e smisuratamente sarebbe cresciuta la potenza economica e militare statunitense e di riflesso le sue mire di dominio imperialistico nel mondo e l’allargamento del mercato su scala planetaria.
L’interessata ingerenza degli USA nelle questioni interne europee si era, d’altronde, già chiaramente manifestata durante il primo conflitto mondiale, quando il presidente Thomas Woodrow Wilson annunciò la decisione di dichiarare guerra alla Germania andando così in soccorso della Francia e della Gran Bretagna. Anche allora le influenti Lobbies economico-politiche di Wall Street e di Washington riuscirono a convincere la loro recalcitrante opinione pubblica, maggiormente propensa verso una scelta di neutralità, dichiarando che gli americani erano stati costretti dagli avvenimenti a scendere in campo per difendere i valori delle “libertà democratiche” che sarebbero stati, a detta loro, seriamente minacciati da una eventuale vittoria degli Imperi centrali, aggiungendo inoltre che una vittoria tedesca avrebbe anche messo in serio pericolo gli interessi commerciali americani nel mediterraneo e nel Medio Oriente.
Nel 1941, gli Stati Uniti avrebbero riproposto puntualmente il medesimo copione.
Inoltre la Gran Bretagna non avrebbe mai potuto tollerare la persistenza nel cuore dell’Europa di un soggetto politico talmente forte ed influente avente l’ambizione di essere in grado di modificare le coordinate geo-politiche dell’intero continente e mettere così a repentaglio le delicate strategie politiche ed economiche secolarmente perseguite dall’Impero di Sua Maestà. L’Europa non poteva assolutamente permettersi il lusso di emanciparsi dalla poliziesca tutela imposta dalla talassocrazia britannica. Ed il soggetto politico, la cui potenza turbava il sonno dei politicanti massoni di Westminster, era proprio la Germania nazionalsocialista.
Non poteva, quindi, esserci altro sbocco che la guerra, una guerra decisa a tavolino dai plutocrati e dai mercanti in totale spregio delle proposte avanzate fino ad allora da parte del Reich a favore della pace e del disarmo e a distanza di due decenni dalla fine del primo conflitto mondiale l’Europa sarebbe tornata ad incendiarsi.
Un’immane conflitto che avrebbe trascinato le nazioni europee a consumarsi nella voragine di un’autentica carneficina e che, fin dall’inizio, venne caratterizzato nella propaganda e nell’immaginario collettivo dei popoli europei come uno scontro all’ultimo sangue fra opposte e irriducibilmente contrastanti Weltanschauungen.
Da una parte si trovarono schierati ed allineati, coalizzati nel medesimo proposito di annientamento del Nazionalsocialismo, i difensori della democrazia liberale e massonica, del modello di sfruttamento capitalistico, dell’imperialismo commerciale e mercantile di rapina delle risorse del mondo, affiancati dai volenterosi e falsi “evangelizzatori” del verbo marxista e dell’imperialismo sovietico.
Nell’altro fronte, trascinata suo malgrado nel conflitto, si collocava la Germania nazionalsocialista, colpevole agli occhi dei “padroni del mondo”, di costituire un cattivo esempio per tutte le popolazioni assoggettate ai capricci dell’Alta finanza mondialista. Proprio perché la Germania, forte della sua ricostituita e formidabile comunità organica popolare che cresceva e si rafforzava con la precisa volontà di perseguire il suo nuovo destino storico all’insegna di un vero cameratismo di popolo, così intensamente percepito tanto da esserne permeata in profondità, e in più orgogliosa dello spirito costruttivo del suo autentico Socialismo tedesco, realmente applicato, le cui fondamenta risiedevano nel sovrano principio nazionalsocialista della prioritaria prevalenza del bene comune del popolo sull’interesse individuale – concezioni che trovavano la loro reciproca legittimazione negli echi profondi dell’idea razziale, sintesi biologica e mistica e nel richiamo alle potenti energie che scaturivano dalle virtù ataviche delle forze della terra e del sangue – rappresentava una minaccia reale per l’orizzonte mercantilistico.
Una minaccia la cui portata storica era di gran lunga superiore a quella falsamente rappresentata dall’Unione Sovietica e che rappresentava una credibile e soprattutto praticabile alternativa anti-plutocratica e anti-capitalistica. Una speranza di alternativa sociale e politica, il cui messaggio ben presto si sarebbe diffuso ben oltre i confini del Reich. E tutto questo era, per la nomenklatura dei potentati economici, assolutamente inammissibile ed inconcepibile.
Le reali motivazioni che avevano indotto a muovere guerra contro la Germania erano comunque ben note alla dirigenza nazionalsocialista, e trovarono una puntuale risposta nelle parole pronunciate da Adolf Hitler nel novembre 1939:
“La guerra è venuta semplicemente perché l’Inghilterra l’ha voluta! Noi siamo persuasi che vi saranno sempre guerre finché i beni del mondo non saranno distribuiti equamente, e finché questa distribuzione di beni non sarà fatta volontariamente ed equamente. (…) Anche noi condividiamo l’opinione che bisogna farla finita con questa guerra, e che non deve essere possibile, o lecito, o necessario il suo rinnovarsi ogni pochi anni. Riteniamo per questo indispensabile che a tal uopo le Nazioni si limitino alle loro sfere d’influenza; che, in altre parole, cessi lo stato di cose per il quale un popolo abbia l’arroganza di fare il poliziotto del mondo e di mettere il naso dappertutto. Per quanto riguarda almeno la Germania, il Governo inglese dovrà ancora riconoscere che deve fallire e fallirà il tentativo di erigere sopra a noi una dittatura poliziesca. Nel passato e nel presente non abbiamo fatto mai la conoscenza di governanti britannici in veste di apostoli di civiltà, figuriamoci dunque se potremo sopportarli in veste di poliziotti! I veri moventi della loro condotta si trovano però in un altro campo. Costoro odiano lo spirito sociale della Germania!”
Quando il 3 settembre 1939, la Gran Bretagna e la Francia dichiararono aperte le ostilità contro il Reich nazionalsocialista tutto il mondo comprese che le risorse impiegate sarebbero andate ben oltre il mero dato materiale inerente all’entità dei mezzi e dei sofisticati armamenti da mettere in campo, perché nella mobilitazione di tutte le energie disponibili, quelle propriamente intellettuali, anch’esse quanto mai sofisticate e quelle spirituali avrebbero giocato un fondamentale ruolo di primissimo piano, con una intensità tale mai concepita e verificatasi in precedenza.
L’opinione pubblica mondiale, nonostante non potesse essere in grado di prevedere e stabilire la portata effettiva degli sviluppi politici e militari della guerra, comprese anche che sarebbe stato tuttavia difficile illudersi che essa potesse essere una guerra limitata, fosse solamente per i profondi significati di cui il conflitto andava strada facendo caricandosi.
Una feroce e sanguinosa guerra civile ideologica avrebbe avuto così inizio e per i soldati tedeschi sarebbe stata una battaglia dettata dalla necessità di garantire la sopravvivenza stessa del loro popolo e delle loro più profonde convinzioni ideali, infatti e non a caso loro stessi definirono il conflitto come Der Kampf um unsere Weltanschauung, a dimostrazione di come avessero acquisito una superiore e matura consapevolezza politica della situazione internazionale e della posta in gioco.
Una eloquente spiegazione di alto profilo, sui motivi per i quali il popolo tedesco era stato chiamato dal destino a doversi fare carico degli immensi sacrifici che una guerra comportava, venne dal più autorevole esponente della cultura nazionalsocialista, l’incaricato per l’educazione ideologica Alfred Rosenberg:
“Per l’uomo tedesco, ogni lotta è svilita se non è provocata e sostenuta dalla decisione di portare un vero ideale alla vittoria. (…) Dobbiamo sopportare il peso di questa guerra che ci è stata imposta dagli ebrei e dalle potenze plutocratiche. Essi ci invidiavano per tutto ciò che abbiamo laboriosamente ottenuto grazie alla nostra Weltanschauung, mediante lo sforzo tenace e l’incessante lavoro degli individui e del popolo nel suo insieme: la nostra comunità di popolo nazionalsocialista, il nostro Socialismo, i successi del nostro lavoro, le scoperte fatte dalla nostra economia che ha ripreso nuovo vigore, il nostro elevato reddito nazionale, lo stato di salute del nostro popolo, la nostra giovinezza, la nostra potenza militare, in breve tutto quello che avevamo creato per noi stessi, grazie alla nostra forza, nelle più avverse condizioni possibili.”
Sarà, pertanto, la guerra rivoluzionaria del Sangue contro l’Oro, della cultura radicata nel popolo contro i languori decadenti del nomadismo intellettuale, del lavoro produttivo contro la speculazione finanziaria, delle virtù eroiche e idealistiche di una gioventù lanciata verso la conquista del futuro contro il conformismo e la vigliaccheria borghese, della dimensione comunitaria contro l’individualismo egoistico e l’astrattismo societario, del Socialismo nazionale contro il Capitalismo mondialista e l’internazionalismo marxista, del Nuovo Ordine delle nazioni europee contro il caos cosmopolita.
Assolute contrapposizioni ideologiche che saranno poi puntualmente confermate in pieno conflitto bellico dal filosofo nazionalsocialista Alfred Baeumler:
“Il Nazionalsocialismo viene combattuto dalla democrazia e dal capitalismo internazionale, che è uguale, perché è risoluto ad attuare la ricostruzione dell’Europa con quelle forze che sono presenti in ogni popolo, di porre fine al falso dominio del denaro e di costruire un nuovo ordine politico sui principi dei caratteri nazionali.”
Le vicende storiche dimostrarono, inequivocabilmente, come i nemici della Germania si fossero rivelati al contempo anche come i più accaniti nemici della millenaria Civiltà dell’Europa, i negatori della sua Tradizione e ancor più di un giusto ordinamento politico e sociale dei popoli europei, coordinato dalla Germania, che avrebbe finalmente sanato le ferite rimaste ancora aperte, prodotte dalle interminabili e secolari “guerre civili” che avevano gradualmente dissanguato l’esausto organismo europeo e affermato congiuntamente una politica di vasto respiro continentale in grado di tenere validamente testa alle trasformazioni dei rapporti internazionali dovute all’irruzione nello scenario mondiale degli USA e dell’URSS.
Nella cultura politica nazionalsocialista era ben presente, ancor prima dello scoppio della guerra, la dicotomia esistente tra il concetto di Europa, spazio geopolitico culturalmente ed etnicamente ben determinato, inteso come la feconda culla della Civiltà olimpico-solare di matrice nordica e delle sue manifestazioni elleniche, romane e germaniche sviluppatesi nel corso dei secoli ad opera dei discendenti delle originarie migrazioni delle genti indo-europee, e l’Occidente plutocratico visto invece come uno spazio espanso, geograficamente non definibile, semiticamente inquinato e culturalmente cosmopolita.
Per i nazionalsocialisti esisteva invece uno specifico “modello europeo” che non doveva essere assolutamente equivocato, tantomeno confuso con l’Occidente contrassegnato dalle democrazie capitalistiche, oppure con l’Oriente asiatico-bolscevico.
Proprio per difendere la Cultura e la Civiltà del vecchio continente e affinché l’Europa stessa tornasse ad essere padrona della propria Storia, si rivolsero, con un messaggio politico e sociale di ampio respiro, un autentico bando di arruolamento, ai popoli delle nazioni europee affinché aderissero alla comune battaglia, sottolineandone la comune appartenenza razziale e culturale ad un’unica famiglia e qualificando l’Europa stessa come la naturale patria comune di questa unica famiglia. Così facendo la Germania volle porre l’accento sulla stretta parentela Völkisch di tutte le nazioni europee e di conseguenza giungere ad estendere ad esse un sostanziale e comune riconoscimento di omogeneità sul piano della Civiltà e nel rispetto delle singole peculiarità nazionali.
Allo stesso tempo venne posta in evidenza la logica posizione di Leadership politica continentale che la Germania nazionalsocialista avrebbe dovuto continuare a ricoprire per potere, grazie alla sua potenza militare, economica e politica, continuare a sostenere lo sviluppo complessivo dell’Europa e, contemporaneamente, venne annunciata l’urgente necessità politica e strategica di procedere verso la realizzazione di un’unità continentale della Comunità delle nazioni europee da concretizzarsi nell’ambito di un ordinamento politico socialista di natura Völkhaft, ovvero un ordinamento fondato sulle inalienabili basi etniche e rispettoso della specifica natura dei popoli. Si trattava sostanzialmente dell’applicazione di quella potente Idea del Socialismo europeo che era stata intelligentemente e compiutamente elaborata dai più prestigiosi economisti e intellettuali nazionalsocialisti (uomini del calibro di Werner Daitz, Giselher Wirsing, Ferdinand Fried, ecc…) in collaborazione con il Reichsführer SS Heinrich Himmler e i vertici del SS Hauptamt.
Non potevano che ritornare quindi alla mente le considerazioni espresse in merito nel 1936, dunque in anni non sospetti, dal noto filosofo nazionalsocialista Hermann Schwarz:
“Siamo convinti che il nostro Socialismo basato sulla fratellanza di sangue si diffonderà sugli altri popoli e darà nuova forma anche al rapporto tra le nazioni, giacché esso contiene in sé la promessa di una nuova lega dei popoli, più ricca di sostanza di quella attuale perché fondata su un Socialismo attento all’onore dei popoli.”
Che la politica europeistica portata avanti dalla Germania venisse presa in seria considerazione venne dimostrato dal gigantesco afflusso di volontari europei disposti ad andare a combattere contro gli anglo-americani e i sovietici vestendo l’uniforme tedesca e dall’adesione entusiastica di numerosi intellettuali, provenienti dai quattro angoli dell’Europa, disposti a credere nel progetto nazionalsocialista dell’unità culturale e politica del continente.
Intellettuali come lo scrittore collaborazionista francese Pierre Drieu La Rochelle che ritenne che fosse finalmente giunto il momento di mettere da parte le vecchie pretese nazionalistiche e dinastiche e di riporre invece la massima fiducia nelle capacità rivoluzionarie e nelle prospettive geopolitiche insite nel programma socialista e identitario di liberazione continentale proposto dalla Germania agli europei e soprattutto, con l’aggiunta di una buona dose di realismo politico, giudicò importante affermare che non vi era assolutamente più tempo da spendere in oziose tergiversazioni ed eventuali polemiche perplessità che mettessero in dubbio la legittimità della funzione egemonica e di guida politica della futura nuova Europa che la Germania avrebbe svolto:
“Il Socialismo tedesco distrugge attraverso la guerra la struttura dei capitalismi nazionali. D’altronde il suo concetto di nazionalismo si è ampliato, durante la sua rivoluzione, in modo considerevole per due motivi: Per il fatto stesso che raduna tutti gli appartenenti alla nazione tedesca, costituisce una massa di novanta milioni di uomini la cui statura rende inutile e debole la forza di tutti gli altri gruppi europei, fra i quali il più numeroso ha solo quarantacinque milioni di uomini e i meno numerosi uno o due milioni. Il Socialismo tedesco, basandosi sul razzismo, si fonda su un principio che gli permette di correggere lo squilibrio che crea e di ristabilire su una base valida lo sviluppo futuro della rivoluzione. In Europa il razzismo è l’arianesimo. Ora tutti gli elementi etnici europei sono arii a differenza degli ebrei, dei meticci semiti o negroidi. Da questo punto di vista il germanesimo non è altro che la punta più avanzata dell’europeismo.”
Ritroviamo puntualmente tutte queste valutazioni e polemiche politiche, assieme a molto altro ancora e il tutto espresso in forma ancora più dettagliata e approfondita, nelle interessanti e coinvolgenti pagine di Per che cosa combattiamo?, un testo di straordinaria importanza storica, una delle migliori e qualificate espressioni della propaganda ideologica nazionalsocialista del periodo della guerra, che per la prima volta viene presentato, fedelmente tradotto a cura dell’Editrice Thule Italia, all’attenzione del pubblico italiano.
L’opera venne originariamente pubblicata, con una tiratura iniziale di oltre trecentomila copie, nel gennaio 1944 con il titolo di Wofür Kämpfen Wir? e capillarmente diffusa tra i soldati della Wehrmacht, all’interno il testo era preceduto da una presentazione elogiativa di Adolf Hitler che evidenziava l’importanza del contenuto e ne sollecitava la lettura e la diffusione.
Il volere oggi riproporre quest’opera, dall’indiscutibile valore storico, politico e culturale, nella sua versione tradotta che riproduce accuratamente l’edizione originale (comprese le cartine storico-illustrative, le immagini fotografiche allegate e le sottolineature in grassetto che volevano evidenziare, nel corpo del testo, i passaggi ritenuti particolarmente qualificanti e importanti da parte degli autori), costituisce per la Editrice Thule-Italia una significativa dimostrazione di impegno meta-politico e di milizia editoriale rivolta a tutti coloro che manifestano la volontà di volersi disintossicare dalla pseudo-cultura del “pregiudizio” colpevolizzante e andare ben oltre i luoghi comuni e gli stereotipi interpretativi canonizzati dalla propaganda “ufficiale” imposta dai vincitori.
Per che cosa combattiamo? apparteneva ad una categoria particolare della letteratura politica nazionalsocialista che era dedicata specificatamente a quell’aspetto della propaganda che le autorità nazionalsocialiste, in totale sinergia con gli esponenti dell’Ober Kommando der Wehrmacht, definivano come funzionale e attinente all’educazione ideologica dei soldati tedeschi e al loro orientamento spirituale nei confronti della guerra, questo genere di pubblicazioni venivano anche definite Gedankenführungen, ovvero “guide del pensiero” e dovevano essere anche in grado di offrire interessanti e validi contributi per la tenuta politica e il riarmo spirituale del popolo tedesco affinché fosse sempre in condizione di sostenere attivamente e moralmente il cosiddetto “fronte interno” e sopportare le crescenti asprezze derivanti dalla guerra. Difatti, l’obbiettivo strategico perseguito ossessivamente dagli Anglo-americani di volere spezzare il morale del popolo tedesco ed incrinarne la fedeltà politica attraverso l’utilizzo indiscriminato dei continui bombardamenti terroristici, che radevano al suolo le città e mietevano vittime innocenti fra la popolazione civile, non venne mai raggiunto.
L’intensità e le difficoltà che l’espansione crescente del conflitto determinavano e la mobilitazione umana, materiale e psicologica che la guerra totale comportava e a cui la Germania dovette fare fronte, non costituirono un freno per lo sviluppo ulteriore delle politiche interne nazionalsocialiste, tanto meno indussero il regime nazionalsocialista ad arroccarsi in una posizione di stallo. Tutt’altro!
La guerra, proprio per il grado elevato di tensione spirituale e di mobilitazione che ingenerava, costituiva già di per sé un importante fattore incentivante per procedere, con radicale coerenza, ancora più speditamente lungo la strada che era stata intrapresa nel 1933 e quindi si rivelò fortemente promotrice di una avanzata modernizzazione strutturale nel campo politico, sociale ed economico che andava felicemente incontro alle aspettative programmatiche ed ideologiche prospettate dal Nazionalsocialismo.
Nella dinamica sintesi ideologica nazionalsocialista, l’entusiastica adesione alla guerra totale (sollecitata da Joseph Goebbels nel suo celebre discorso del 18 febbraio 1943, tenutosi all’indomani della tragedia di Stalingrado) non significava altro che il proseguimento della rivoluzione con altri mezzi e l’abbattimento definitivo delle ultime residuali sacche di opposizione interna che ancora sopravvivevano tra le pieghe della società tedesca.
La guerra totale, alla resa dei conti, preparava il terreno della rivoluzione totale.
La Volksgemeinschaft, grazie al benefico effetto prodotto dalla mobilitazione bellica, si trovò quindi nella privilegiata condizione di giungere alla completa identificazione con la Kampfgemeinschaft, la comunità combattente nazionalsocialista, ed essere così pienamente rappresentativa, ancora più di prima, della totalità politica della comunità organica del popolo, una realtà vivente e disciplinatamente disposta al sacrificio esprimente appieno la propria unità socialista di intenti, il comune senso di profonda appartenenza e di riconoscimento con la propria intima visione del mondo espressa all’unisono attraverso un’espressione corale che era come riconducibile ad una sola voce. La realizzata Kampfgemeinschaft nazionalsocialista del popolo tedesco, nella piena e matura consapevolezza della sua natura di organismo comunitario permeato dai principi nazionalsocialisti, scolpito da un severa e spartana etica socialista e saldamente ancorato alla propria dimensione politica, culturale e razziale, si venne a trovare nella possibilità di potere esprimere al meglio la sua formidabile volontà di essere “Nazione” e come tale la unica depositaria di una volontà metastorica realizzabile soltanto attraverso il sacrificio eroico e il virile superamento delle avversità e delle terribili prove che erano state imposte dalla Storia.
Il Partito nazionalsocialista, il Fronte del Lavoro, l’Assistenza popolare nazionalsocialista e le altre strutture ad esse collegate si trovarono pertanto nella assoluta condizione per potere dare un’accelerazione definitiva alla spinta rivoluzionaria interna e fare così del Nazionalsocialismo una totalizzante proiezione ideale, avanzando risoluti verso la realizzazione della sozialistische Volkskameradschaft, verso l’attuazione completa delle Idee del Socialismo rivoluzionario in versione hitleriana e portare infine a compimento l’edificazione di quello Stato popolare nazionalista e socialista che era stato particolarmente messo in evidenza da Adolf Hitler nel corso del suo discorso del 30 gennaio 1944:
“Quando, undici anni fa, il movimento Nazionalsocialista raggiunse il potere, dopo una lunga lotta con mezzi legali, le condizioni principali per risolvere con successo questi compiti erano già state create. La Volksgemeinschaft tedesca si era incarnata nel movimento stesso. Non fu quindi lo Stato a forgiare il movimento nel corso degli anni successivi. Fu invece il movimento a modellare lo Stato. Sebbene da allora molte grandi cose siano state realizzate, la costruzione della Volksgemeinschaft tedesca è, senza dubbio, in vetta alle imprese della rivoluzione Nazionalsocialista. Essa fu la trasformazione non solo pacifica, ma anche tenace, del precedente Stato classista in un nuovo organismo socialista, un Volksstaat, che solo ha reso possibile al Reich tedesco l’immunizzarsi da tutti i tentativi d’infezione bolscevica. (…) I garanti sono oggi, non soltanto i soldati al fronte, ma anche chi combatte in patria. Giusto come la prima guerra mondiale dette valore al Nazionalsocialismo, così esso si rafforzerà e si fortificherà nella seconda. Non importa quanto sarà arduo. (…) Il tentativo dei nostri nemici di provocare il crollo del popolo e del Reich tedeschi usando bombe incendiarie e ad alto potenziale, avrà come conseguenza ultima soltanto quella di rafforzare ancor di più la sua unità socialista e di creare quel solido Stato cui la Provvidenza ha dato in sorte di modellare la storia d’Europa nei secoli a venire.”
A maggior ragione anche le unità combattenti della Wehrmacht dovevano essere attraversate dallo stesso fervore rivoluzionario, affinché fossero messe in condizione di maturare una piena ed effettiva coscienza della Weltanschauungskrieg in atto ed eguagliare i medesimi livelli di comprensione e di politicizzazione che erano propri dei combattenti delle Waffen-SS.
Per ovviare a tali necessità in seno all’OberKommando der Wehrmacht venne istituito uno Stato maggiore nazionalsocialista, il NS-Führungsstab, emanazione diretta del Partito nazionalsocialista, avente lo specifico compito di pianificare in larga scala tutte le iniziative volte al completamento della formazione ideologica delle truppe e quindi procedere verso un’intensificazione dell’indottrinamento mediante un massiccio utilizzo dei migliori strumenti della comunicazione e della propaganda come le trasmissioni radiofoniche, le proiezioni cinematografiche, le conferenze e i dibattiti e soprattutto attraverso la diffusione capillare di specifiche pubblicazioni dal ricco contenuto storico e politico-ideologico, come appunto Per che cosa combattiamo?.
A tal proposito, lo Stato maggiore nazionalsocialista si preoccupò anche ad istituire come suoi incaricati le figure degli NSFO i cosiddetti Nationalsozialistischer Führungsoffiziere, gli Ufficiali direttivi nazionalsocialisti (paragonabili in parte ai commissari politici sovietici) che vennero inseriti in organico all’interno delle unità divisionali dell’esercito con il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle disposizioni politiche e militari, rinvigorire la tenuta morale e psicologica dei soldati provvedendo direttamente alla loro istruzione ideologica e attraverso il ricorso al dialogo e al confronto diretto (una pratica che venne molto apprezzata dai soldati) sollecitare in loro il manifestarsi di una superiore coscienza che li avrebbe elevati al rango di “soldati-politici” della Weltanschauung nazionalsocialista, sempre più persuasi della grandezza della causa di difensori dell’integrità della Patria e dell’Idea del Reich, dell’ordinamento popolare nazionalsocialista, del progetto di unificazione europea e di quel Socialismo europeo che la Germania portava in dote per il riscatto sociale dei popoli del continente.
La successiva creazione delle Volksgrenadier Divisionen, la fanteria d’assalto della nuova Armata popolare nazionalsocialista, rappresentò il completamento del processo di caratterizzazione politica dell’esercito che era stato anche ulteriormente accentuato dall’epurazione degli ufficiali traditori della Wehrmacht coinvolti nel fallito attentato al Führer del 20 luglio 1944.
Tutto questo contribuì in maniera determinante a fare dei soldati tedeschi i più coraggiosi combattenti del secondo conflitto mondiale, soldati fortemente motivati e consapevoli della causa ideale per la cui affermazione si batterono con ammirevole tenacia e accanimento immolandosi su tutti i fronti di guerra sparsi ai quattro angoli dell’Europa. Soldati formidabili, meritevoli di tutto il rispetto e l’ammirazione possibile, che furono in grado di accettare, con un profondo senso dell’onore ed una esemplare disciplina, gli immensi sacrifici a cui andavano incontro pur di rappresentare la l’infrangibile barriera difensiva della Civiltà e della Cultura europea ed incarnare così quella speranza di salvezza a cui fece riferimento Adolf Hitler il 26 febbraio 1945, in uno dei suoi ultimi discorsi:
“Io sono stato l’ultima speranza dell’Europa. L’Europa non poteva essere unificata per effetto di una riforma volontariamente concertata. Non poteva venire conquistata con il fascino e con la persuasione. Per poterla prendere bisognava violentarla. L’Europa può essere costruita soltanto su rovine. Non su rovine materiali, ma sulla rovina congiunta degli interessi privati, delle coalizioni economiche, sulla rovina delle idee ristrette, dei particolarismi superati e dello stupido spirito di campanile. Bisogna fare l’Europa nell’interesse di tutti e senza risparmiare nessuno.”
La Storia, anche se molti non vogliono ancora ammetterlo, gli avrebbe dato ragione.
Maurizio Rossi