Il titolo di questa disamina potrà sembrare strano, obsoleto, arcaico, ci aspetteremmo piuttosto l’uso della terminologia imposta dalla sociologia democratica, “individuo e società” ma vediamo piuttosto di utilizzare fin da subito quelli che vedremo sono i termini “giusti”.
Anche questo articolo, come i precedenti, nasce da una serie di circostanze un po’ particolari. Come avete visto, i due precedenti articoli “Cosmopolitismo, immigrazione, mondialismo” sono nati in forma di commento a tre articoli recentemente comparsi nella nostra “area” approfittando della poca censurabilità del web (per ora, perché si stanno attrezzando a tapparci la bocca, come sempre: noi siamo la spina nel fianco del corrotto e corrompente sistema democratico), in particolare “Le nuove forme dell’odio verso le classi inferiori: l’ideologia antirazzista”, di Gennaro Scala, “Il razzismo dell’utopia: come il meme cristianomorfo spinge all’etnomasochismo” di Luigi Leonini e “Borghesi” di Federico Pulcinelli. Riguardo a quest’ultimo in particolare, sono incorso in un errore di cui francamente mi dispiace molto. Per colpa della somiglianza dei cognomi, l’ho attribuito ad Antonio Puccinelli. Mi dispiace, non vorrei fare torto a nessuno dei due, trattandosi di due amici, oltre che di due camerati preparati e competenti.
Di Antonio, ricordo l’ottimo articolo recentemente comparso su sito del Centro Studi La Runa, “I cavalieri templari e la tradizione europea”.
Comunque, l’aspetto significativo che mi è parso di dover rilevare, è che tutti e tre questi articoli usciti in un lasso di tempo davvero breve, quasi gli autori si fossero “passati la palla” l’uno con l’altro, è il fatto che affrontassero sostanzialmente, sia pure con accentuazioni diverse, la stessa tematica: gli aspetti sociali dell’immigrazione e i motivi che spingono la Chiesa e la sinistra a favorirla, motivi che tutti e tre individuano in un non dichiarato classismo, un sostanziale razzismo nei confronti dei propri connazionali, che induce a favorire l’elemento allogeno.
Ora, devo essere sincero, io finora non avevo considerato molto le cose da questo punto di vista, mi ero concentrato sugli effetti a lungo termine dell’immigrazione che, combinandosi con gli effetti di un declino demografico assolutamente indotto, provocato, pianificato, non potrà che produrre un esteso meticciato, la sparizione della nostra gente, sostituita da elementi allogeni.
Beninteso, fra i due tipi di analisi non c’è alcun conflitto, ma i loro risultati si completano a vicenda.
Da chi è “a sinistra” o “di sinistra” non possiamo aspettarci altro che stupidità o malafede, o magari entrambe, ma relativamente agli ambienti cattolici si potrebbe fare un discorso leggermente diverso. C’è soprattutto una pattuglia, per la verità alquanto sparita di tradizionalisti cattolici che si ritengono (sono ritenuti) vicini alle nostre posizioni. Parlando con diversi di loro, ho fatto loro presente che una Chiesa ormai sempre più mondialista li costringerà a breve a una scelta comunque dolorosa fra la loro “fede” e le loro idee. Costoro mi hanno in genere risposto che fra l’una e l’altra cosa non c’è contraddizione.
Davvero? Davvero? Se non si accorgono che l’odierna Chiesa post-conciliare, mondialista, bergogliana, spalanca le porte all’immigrazione e al meticciato, ha uno zelo cosmopolita che la induce ad abbracciare i caproni islamici proprio quando questi si dedicano alla grande al massacro di cristiani, fonda la sua visione del mondo sulla totale negazione del principio di nazionalità, si rivela oggi più che mai la massima espressione del masochismo etnico, se non sono capaci di vedere questo, allora non vedranno nemmeno un elefante che gli taglia la strada passandogli davanti a un metro di distanza.
Ma noi dobbiamo trarre ispirazione da chi vede di più, non da chi vede di meno.
La ragione per cui ora mi sembra opportuno tornare sul discorso, è la comparsa, pochi giorni fa, di un articolo sul blog di Popoli Liberi-Comunità Ipharra- Fronte di liberazione dai banchieri, si tratta di un articolo ripreso da una fonte estera, americana, “Il tentativo di distruggere l’individuo” di John Rappoport. Sebbene questo pezzo provenga d’oltreoceano e non parli dell’immigrazione, esso appare singolarmente “in linea” con i tre articoli italiani citati, perché quei fenomeni di disgregazione personale e sociale di cui si parla qui, sono gli stessi che in Europa si cerca di produrre attraverso l’immigrazione e la conseguente creazione di una società multietnica simil-statunitense, perché per definizione una società multietnica è una società SBRICIOLATA, dove non esistendo nessun vero legame di reciproca appartenenza fra gli individui, essi, isolati “atomizzati” sono facilmente manovrabili dai “poteri forti” che stanno dietro le quinte della cosiddetta democrazia.
Ad essere sinceri, io finora ho seguito questo blog soprattutto per gli articoli economici che costituiscono, mi pare, la maggioranza di quanto pubblicato in esso.
I concetti che complessivamente emergono da questi articoli, e con i quali non ho alcuna difficoltà a dichiararmi pienamente d’accordo, è che noi dovremmo abbandonare l’euro, ritornare a una moneta nazionale sulla quale esercitare un controllo sovrano, possibilmente uscire dalla UE che non è una vera unione europea, ma è costituita da una serie di organismi a forte componente privata, a cominciare dalla BCE, attraverso i quali il grande capitale bancario e finanziario impone legge ai popoli europei, e succhia le loro risorse, facendo sprofondare tutti quanti noi in una crisi sempre più grave e senza vie d’uscita.
Si vede bene che questo è l’altro lato dell’attuazione del disegno anti-europeo che per un altro verso viene portato avanti con il declino demografico forzato, l’immigrazione e il meticciato, tutto ciò che è contemplato in un disegno criminoso noto da un’ottantina d’anni ma che la UE sta adesso scrupolosamente applicando, quello che si chiama piano Kalergi.
L’articolo di cui stiamo parlando, tuttavia, presenta delle tesi di fondo interessanti, ma anche delle affermazioni con cui non si può non dissentire, o che magari, proprio perché viene d’oltreoceano, non sono applicabili integralmente alla “nostra” situazione.
Diciamo subito che John Rappoport mette da bel principio le sue opinioni bene in chiaro, non è uno che la manda a dire:
“”Non possiamo più permetterci il lusso di pensare a noi stessi come individui. La posta in gioco è troppo alta. Infine, dobbiamo realizzare tutti insieme che la nostra presenza su questo pianeta è un’esperienza condivisa. La decimazione delle nostre risorse attraverso l’odio e la divisione, la negazione dell’amore e della comunità, la fredda avidità a scopo di lucro, l’intera gamma di ingiustizie sociali e politiche – tutto questo può infine essere ricondotto alla singola persona che rifiuta di unirsi al resto dell’umanità … “
Vi sembra un manifesto valido? Ebbene, invece è un inganno finalizzato a provocare l’estinzione dell’individuo. E una volta che tale estinzione avrà luogo, la collettività, gestita dai principi globalisti, otterrà via libera per il controllo della Terra a discapito del resto di noi. E le crudeltà odierne saranno nulla in confronto a ciò che ci si prospetterà”.
Rappoport non tarda a rincarare le dosi:
“Pensate ad alcune delle esternazioni dei nostri ultimi, patetici presidenti. Bush Sr.: Kinder, Gentler, Clinton: Provo il tuo dolore. Bush 2: Nessun bambino sarà lasciato indietro; Obama: Siamo tutti sulla stessa barca. A giudicare a posteriori le azioni omicide di questi presidenti, è chiaro che l’intento fosse usare l’idea di unità e solidarietà come copertura per le solite imprese oppressive.
Obiettivo finale? Causare l’estinzione dell’individuo; presentarlo come un costrutto inutile, pericoloso e superato. In tal modo ogni reale utilità proveniente dalla cooperazione tra individui svanirà, perché la gente assumerà la forma di un gigantesco blob cosmico fatto di armonia robotica”.
E’ uno scritto che occorre pensare attentamente, anche perché si riferisce a un contesto che ancora non è il nostro.
Il concetto di individuo così come è stato elaborato dai vari pensatori liberali, è qualcosa che non ci piace e non ci appartiene. Non soltanto il raggio di azione del singolo è limitato, ma la sua stessa permanenza nell’esistenza quanto potrà durare? Sei, sette, otto, nove decenni nei casi più fortunati. Per l’individualismo liberale, il valore dell’individuo è sempre stato una scusa per rivendicare il soddisfacimento degli istinti e dei piaceri quali che fossero i costi per il corpo sociale.
Io penso che sia di gran lunga preferibile usare il termine “persona” che non si riferisce soltanto a un uomo colto nella su individualità, ma sottintende i legami con la comunità di cui fa parte, con la propria storia, le proprie origini.
Il discorso più difficile e impegnativo riguarda però quelli che nell’accezione più vaga possibile possiamo chiamare “i corpi sociali”. Una terminologia volutamente vaga perché le differenze che simili concetti possono nascondere sono enormi.
Il tedesco è una lingua molto più attenta dell’italiano alle correlazioni psicologiche. “Società” si può tradurre in due modi, Gesellschaft e Gemeinschaft. Gesellschaft significa compagnia di affari, società economica, mentre Gemeinschaft significa comunità, fa leva sui legami di affetto e di sangue. E’ evidente che soprattutto negli ultimi anni l’idea di società, quella di stato, di tutti i corpi sociali di qualsiasi entità, si sta sempre più spostando dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft.
E’ un’evoluzione in qualche modo naturale?
Rileggiamo le parole di quello splendido saggio che è “L’incolmabile fossato” di Sergio Gozzoli:
“Il tanto vantato patriottismo degli Americani non è fondato — se non per il nucleo di ceppo yankeeche costituisce ormai una minoranza — sul «senso nazionale», ma sull’attaccamento ad un elevato tenore di vita materiale, o, al massimo, sull’orgogliosa coscienza di appartenere al Paese più ricco e potente della Terra: l’attaccamento dell’azionista alla sua prospera S.p.A.”.
Allora noi comprendiamo molto chiaramente una cosa: i fenomeni a cui stiamo assistendo, ben lungi dal presentarsi come qualcosa di naturale, sono un segno della progressiva americanizzazione forzata del nostro continente.
Io vi ho premesso che questi articoli – parlo di quello di Rappoport ma anche del mio – pur non avendo affrontato per ora esplicitamente la questione razziale, si collegano molto bene ai due articoli che li hanno preceduti, “Cosmopolitismo, immigrazione, mondialismo” e anche ovviamente agli articoli di Pulcinelli, Scala e Leonini che li hanno preceduti e ispirati, perché una cosa è assolutamente chiara ed evidente: la principale minaccia a una comunità a sentirsi popolo, entità legata da sangue, cultura, storia, viene proprio dall’immigrazione e dal meticciato.
Questo va contro tutta la tradizione storica europea. Quell’idea di nazionalità che una storiografia venduta pretende oggi di spiegarci essere nata col romanticismo ottocentesco, non prima, in realtà ha sempre accompagnato la nostra storia. Giovanna D’Arco e Guglielmo Tell sono personaggi che precedono alquanto l’ottocento, mi pare.
La prima, fondamentale, imprescindibile forma di organizzazione sociale dovrebbe essere il popolo, la nazione, intesa come comunità di sangue, di suolo, di affetti, di tradizioni, di sentire comune. Lo stato e le altre entità politiche in senso più tecnico, dovrebbero arrivare in un secondo momento, e il loro scopo – quello e nessun altro – dovrebbe essere quello di proteggere, tutelare, dare forma alla comunità-popolo-nazione.
Io vi consiglio di munirvi di guanti di lattice prima di andare a toccare un materiale così repellente, ma se voi andate a vedere quel voluminoso scartafaccio che viene chiamato “costituzione”, che la sinistra vorrebbe immodificabile nei secoli dei secoli, e che è pieno di trappole per impedire alla volontà popolare di esprimersi liberamente, vi accorgerete che in nessun punto si parla di nazione italiana, né tanto meno della necessità da parte dello stato di proteggerla e tutelarla.
Quelli erano certamente tempi in cui la società multietnica era al di là da venire, però non ci si può non complimentare con i “compagni”, sono stati dei grandi precursori, nella merdosità ma comunque precursori.
Io penso che a questo punto tutto il discorso di John Rappoport ci diventa più comprensibile. Negli Stati Uniti, società oggi totalmente artificializzata e multietnicizzata, non esistono più corpi sociali di nessuna specie che non siano espressione del potere che dietro le quinte muove i burattini della società multietnica, e l’ultima, l’ultimissima linea di resistenza è rappresentata proprio dall’individuo, da certi individui almeno, personalità sufficientemente coriacee da non farsi stritolare dalla macina universale dalla quale esce soltanto “il gigantesco blob cosmico fatto di armonia robotica”.
C’è un discorso che occorre fare con estrema chiarezza: non c’è alcun dubbio che il conflitto che dilaniò l’Europa e il mondo dal 1939 al 1945 si è concluso con LA VITTORIA DEL MALE. Ma stiamo attenti: soprattutto durante il lungo periodo della Guerra Fredda molti si sono convinti che esistesse un male maggiore a est, e ad ovest un male minore sopportabile, con il quale fosse possibile convivere e addirittura collaborare. La cosa più strana e assurda, è che tale mentalità continua ancora oggi a un quarto di secolo dalla scomparsa dell’Unione Sovietica e mentre i disastri dell’americanismo-mondialismo diventano sempre più visibili.
Nella coalizione di delinquenti che stritolò l’Europa nel 1945, non è mai esistito un male minore. Signori destri, atlantisti, filo-americani, state attenti: state baciando la coda di Satana.
Fabio Calabrese