Il linguaggio dell’Arte è una tematica molto complessa ed attuale. Il problema dibattuto è se l’Arte visiva sia un linguaggio formale alla stessa stregua di una scienza linguistica e come questo linguaggio agisca, come riesca a comunicare a livello cosciente e sub-cosciente. A tutti capita di rimanere colpiti da un’opera, ma la difficoltà è quella di riuscire a tradurre il proprio sentire; infatti i sentimenti sono stratificati e complessi ed occorre esserne coscienti ed elaborarli in modo che non rimanga l’emozione di un momento e solo una meravigliosa sensazione.
Un’opera d’Arte deve agire a più livelli e arricchire il nostro interiore, comunicare la propria visione di pensiero. Non sempre quel che vediamo corrisponde a quello che crediamo di vedere, in realtà guardiamo ciò che la nostra coscienza ci permette di vedere. Un quadro, quindi, non deve essere solo analizzato con il solo metro della questione formale, del punto, della
Autore: Piero della Francesca
Opera: “Sacra Conversazione” (detta anche “Madonna con Bambino, Santi e Angeli”, “Pala Montefeltro” o “Pala di Brera”)
Anno:1472-74.
Tecnica e dimensioni: olio e tempera su tavola, 251 x 173 cm.
Ubicazione originaria: Urbino, Chiesa di San Bernardino da Siena.
Ubicazione attuale: Milano, Pinacoteca di Brera.
Uno dei più grandi Artisti del 1400 è, sicuramente, Piero della Francesca. Il Rinascimento fu il risveglio di tutta la filosofia pagana sapienziale, che come un germe d’oro fu sepolta dai nuovi culti religiosi ma, come tutti i semi, riemerse nel Nord Europa con ritrasmissione dall’Oriente e in maniera progressiva ritornò all’origine, in Italia, dove l’antica semenza ebbe una riattivazione tale da determinare un punto fermo per tutto il rinnovamento artistico europeo. Questo sapere non poteva venir divulgato in quanto, in quell’epoca, si rischiava il rogo, ed è per questo che i quadri rinascimentali sono pieni di simboli, di figure, di visi occultati in maniera iconica che hanno un preciso significato e riferimento alla scena dipinta, rivelando e svelando segreti sapienziali che il mero formalismo dell’opera non è in grado di trasmettere. Piero incarna questo periodo storico con il suo concetto di “misura”, di geometria, matematica, architettura, conoscenze sapienziali. Se Masaccio dipinge le figure in un fluire plastico, i volti da Lui dipinti sono ieratici, quasi inespressivi, ma la loro staticità è voluta: danno la possibilità agli osservatori di dialogare con Piero semplicemente guardando e studiando i simboli. Lui non è emozionale, essendo conoscitore della classicità la studia e la trasmette attraverso le divine proporzioni del numero aureo, la bellezza del simbolismo, la prospettiva ripresa dal mondo classico da Masaccio e da Paolo Uccello. In confronto alla condensazione drammatica del mondo masaccesco, di figure in movimento chiuse in un palcoscenico di chiaro-scuro, il mondo di Piero si svolge lucido, si avvolge in un drappo colorato fatale, calmo, indifferente. I colori fiamminghi in Piero sembrano nascere con l’origine del mondo, talmente sono vividi: sono un primo raggio di sole di un mondo appena creato. La sua prospettiva è personale nel gioco di luci ed ombre. Come per esempio nella Flagellazione, il punto di fuga centrale che collega il tutto è il soffitto a cassettoni dell’abside che dà l’effetto della profondità: il cerchio ed il quadrato sono la narrazione dell’intera immagine e la ricerca del dettaglio, la perfezione. La Sacra Conversazione è un quadro della maturità che cambia l’Arte in Europa. Fu commissionato da Federico da Montefeltro per la nascita del suo primo figlio e per commemorare la vittoria su Volterra, ringraziando la Madonna che gli salvò la vita, anche se perse una parte dell’occhio e del naso. La scena centrale avviene nell’abside a cassettoni circolari ornato da rose, tipico di molti palazzi rinascimentali. Osservando l’immagine, il primo messaggio che arriva è quello di essere di fronte all’intimità di un tempio: il luogo dove l’uomo cercava di “captare” le forze del cosmo per trasmettere con certi luoghi sulla terra la potenza celeste. Nell’antichità si possedeva una particolare conoscenza dell’influenza energetica tradotta in proporzioni e misure architettoniche. Sullo sfondo dalla prospettiva perfetta scorgiamo un altro catino absidale della stessa forma della precedente in cui è incastonata una conchiglia dalla quale pende un uovo, l’origine per eccellenza. Nella sapienza del sistema tradizionale il mito dell’uovo è presente nella sua valenza cosmica e rappresenta l’unità primordiale dell’essere in molti miti e, in particolare, nelle antiche narrazioni sull’origine del mondo. Queste esercitano un grande fascino, poiché sono fonte essenziale per ricercare e studiare gli archetipi originari del nostro inconscio collettivo. Nel mito pelasgico della creazione l’uovo, simboleggiando l’unità primordiale dell’essere, rappresenta l’universo nella sua unità e totalità, l’Uno perfetto. La separazione di cielo e terra è l’atto iniziale e necessario della creazione, perché solo con la scomposizione dell’Uno possono aprirsi le molteplici determinazioni dell’universo. In questo mito si descrive con maggiori particolari la generazione del molteplice dopo la schiusa dell’uovo cosmico. Tutto inizia dall’amore tra la dèa Eurinome, emersa dal Caos, e il serpente Ofione. “In principio la grande Eurinome, dèa di tutte le cose, emerse nuda dal Chaos. Non trovando nulla ove posare i piedi, divise il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde. Danzando si diresse verso Sud e il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto, pensò allora di cominciare l’opera della creazione: si voltò all’improvviso, afferrò il vento del Nord e lo sfregò tra le sue mani finché apparve un enorme serpente. La dèa danzava accaldata, danzava con ritmo sempre più selvaggio e il serpente, acceso dal desiderio, l’avvinghiò nelle sue spire e si unì a lei. Volando a pelo dell’acqua la dèa assunse forma di colomba e poi, a tempodebito, depose l’uovo cosmico (il primo figlio fu chiamato Pelago, che significa cigno). Ordinò allora al serpente di avvolgere l’uovo per sette volte: il guscio si dischiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti. Ma ben presto il serpente si vantò d’esserne egli stesso il creatore: ciò irritò così la Grande Madre che con un calcio gli spezzò i denti e lo relegò nelle buie caverne”.
Nella Sacra Conversazione credo che sia proprio questo ciò che Piero ci vuole comunicare. La scena è divisa in due: a sinistra c’è una zona in grande ombra che potrebbe simboleggiare il Caos, sulla destra, nella luce, appare – guardando bene – un animale dal grande collo rappresentato dal costone fregiato della cornice che circonda la conchiglia ed è ambivalente. Visto nella parte superiore è un grande serpente: Ofiuco del mito. Se inglobiamo nella visione anche l’umbone della conchiglia che diventa il becco, la testa del serpente diventa il cigno, ovvero Pelago, il primo uovo cosmico depositato dalla dea (1).
La presenza della dea la ritroviamo nella conchiglia, dove l’uovo potrebbe essere anche la perla dalla quale nasce Afrodite. La conchiglia nella Tradizione racchiude il suono primordiale Om anzi AUM il triplice aspetto della Matrix (matra) che nel mondo cristiano è diventato Ave Vergine Maria. L’Om è l’origine dell’eterno ritorno del tutto, antecedente ai mondi, che rimane invisibile ma sussiste perpetuamente e si ripresenta all’inizio di ogni cataclisma cosmico. Lo stesso soggetto (La nascita divina) lo ritroviamo in Botticelli dalla cui conchiglia nasce Venere o Afrodite; mentre però qui l’umbone è in basso e và verso l’alto, nella conchiglia del quadro di Piero è rovesciata, parte dall’alto e và verso il basso, parte dal cielo e và verso la terra. Nel primo caso la conchiglia è come l’arca ed è l’ambiente acqueo dove si produrrà lo sviluppo dei germi come un fior di loto oppure un giglio, ovvero è il punto fisso e potenziale del germe iniziale. Nel secondo caso è il rovesciamento della conchiglia che s’apre per lasciar sfuggire i germi celesti, che è il passaggio dal principio non manifestato a quello manifestato, sono le acque superiori che promanano nuovi germi ripristinando l’ordine ed il rinnovamento di tutte le cose. Nella Sacra Conversazione, le costole della conchiglia rappresentano il momento in cui l’uomo da essere immortale diventa mortale. Nella Tradizione finché c’era solo la Luce, l’uomo non conosceva morte, poi si separò dai suoi fratelli esseri perfetti solari e cominciò a morire. Questa specifica epoca rappresenta il primo tempo della tradizione egizia in cui Seth o Tifone uccide metaforicamente Osiride. Iside ricompone il corpo smembrato, costruisce un fallo di argilla e genera Horus. Con gli egiziani quindi si compie una trinità: Sole, Luna e Terra. Osiride è l’essere immortale che diventa mortale. Nasce con questo dio un nuovo mondo che si stacca dalla terra, per cui muore e rinasce sotto forma di Luna grazie a Seth. Nel mito egizio, quando viene ritrovato il corpo di Osiride esso è scomposto in 14 pezzi (sette più sette) e sepolto in 14 tombe come le 14 fasi del ciclo lunare. Osiride nella sua identità più arcaica, rappresenta la Luna, irradiata dai raggi del Sole che riflette. Tale luce viene riflessa ogni giorno in maniera diversa per via delle diverse fasi, che nella totalità assommano a 28 giorni. Le prime 14 fasi, dalla luna nuova alla luna piena, saranno sotto il controllo di Osiride, le 14 fasi che vanno dal plenilunio alla luna nera, quando la luna è illuminata dai raggi di sole e guarda la terra con la sua parte scura, è governata da Neb-het, moglie di Seth, il potere dell’Aria e dell’Umidità. Tali poteri sono portati in atto dall’energia dell’acqua primordiale dove si nascondono tutti i segreti dell’universo. La parola Pelago che come visto è il primo uovo depositato dalla dea è composta da Pel-Ago, una parola bifronte: Pel che è il primo uomo dell’origine nato sulla terra Pel Pietra sacra che racchiude il segreto del fuoco e i Gal radice della parola Anima e della Via Lattea la materia prima della grande opera. Quindi Pelago è il primo umano mortale originato sulla terra, quindi l’incarnazione che in verità è la Matrice.
Un altro mito primordiale ci viene in aiuto e anch’esso ci parla della materializzazione della materia.
“In principio Dio creò la perla bianca dal suo prezioso seno e creò un uccello di nome Anfar. Egli pose la perla sopra la sua schiena e dimorò sopra di essa quarantamila anni. Il primo giorno in cui dio creò fu una domenica. Egli creò un angelo di nome Azrà-I,l esso è il pavone angelo, il capo di tutti e tutti gli altri giorni creò altri sei angeli. Dopo di lui creò la forma dei sette cieli, la Terra, il Sole e la Luna (…) L’Angelo creato il venerdì, Samnà-Il, creò l’uomo, gli animali, gli uccelli, le bestie e li pose nelle tasche della tonaca. Egli si levò dalla perla e con lui erano angeli. Egli gridò fortemente sopra la perla ed essa si spaccò e divenne quattro pezzi. Dal suo interno uscì l’acqua e divenne un mare. Il mondo al di qua era rotondo, senza perforature (…) da pezzi della perla nacquero la Terra, il Cielo, il Sole, la Luna, le Stelle dai pezzettini dispersi della perla bianca e le appese al cielo per ornamento (…) (G.Furlani, Testi religiosi dei Yezidi, Bologna, 1930)
Il cigno è un animale legato al fuoco e al Sole, come solare è Afrodite. E’ l’oro. La scena si svolge in un cerchio, il Kirkus, da cui deriva il nome Circe, la solarità primigenia. Ritornando al mito, il serpente compresse l’uovo che si frantumò creando tutte le cose. Nei miti sull’uovo cosmico un altro elemento comune a tutte le civiltà antiche è la scomposizione, intesa nei testi vedici indiani (che sono i più antichi) nel senso di “sacrificio”. L’uovo viene chiamato “il germe d’oro”, “hiranyagarbha”) – si noti che è parola composta dalle componenti hiranya (oro) e garbha (germe), ovvero il grano. Spezzare il pane è, nella ritualità, un omaggio allo Spirito del grano e al suo sacrificio. Oggi, quando assistiamo al rito dell’Eucarestia (cioè dividere il pane e mangiarlo), dovremmo pensare che quel gesto significa rendere onore alla creazione, al “germe d’oro” cosmico trasformato dal fuoco.
A proposito del sangue, ricordiamo anche il mito di Adone e Afrodite, nel quale si narra che la dèa, nel tentativo di salvare il suo protetto in pericolo di vita, si punge con una spina e fa gocciolare il suo sangue su delle rose bianche tingendole. Ritornando al dipinto, l’uovo è l’unico elemento che non ha ombre ed è solo splendente, questo in relazione alla comparazione con l’elemento oro.
Se tracciamo un cerchio ideale che parte dalla conchiglia, vediamo che entro il tondo entra solo la testa della Madre che ha la forma di un uovo e del germe di cui abbiamo parlato. (2) L’Uovo (la cellula Madre primordiale) poi si scompone in sette Madri e anche questo viene rappresentato da Piero. Se tracciamo il perimetro del cornicione esterno dell’abside lambendo solo gli elementi femminili e la Madre, sfiorando le dita della Vergine, si viene a creare un altro cerchio entro il quale sono presenti le quattro teste. (2) Il 4 è numero degli elementi terreni più 3 numero celeste, il grande cigno-serpente, l’uovo che pende e la testa della virgo imperiture che è il germe primordiale fanno il numero 7. Entro dentro questi due cerchi sono rappresentate le acque superiori e quelle inferiori, a rafforzare quanto scritto sopra. Anche nel fregio che contorna la conchiglia ci sono le palmette che hanno un asse centrale e le 3 emanazioni per ogni lato, quindi 6 +1=7. Venendo all’etimologia del termine uovo, dal greco oon e oion e dal latino ovum, è riconducibile all’accadico uwwu (uwum, uwun) cioè utero. Ponendo attenzione a questo grande utero, il grande cerchio che descrive il mito, vediamo che l’umbone dal quale scende il filo cui è attaccato l’uovo e le due alette laterali della conchiglia hanno la forma della W, la Madre cosmica che è l’Uno che è il ragno che tesse la ragnatela e che secerne il filo da cui pende l’uovo, mentre a specchio la parte inferiore ha la forma della M, la Matrice, la realizzazione spirituale della materia (2).
La M, che è la parte incarnata della monade celeste, la ritroviamo nel nastro che parte dalla cintura del Duca e avvolge l’impugnatura della spada, che è una piccola grande Madre in miniatura con la testa oro e il corpo rosso (il germe ed il sangue), altra M è presente appena sotto, sono le pieghe del vestito. Interessante vedere che la spada con i nastri formano la F, quindi sono evidenti anche le iniziali del Duca Federico e Montefeltro. Corrispondente alla M vi è dalla parte opposta la W che si ottiene intersecando i piedi del Battista con San Gerolamo. Se osserviamo le veneri steotipigie arcaiche hanno tutte la forma di una spada, in verità rappresentano lo spirito solare (il fallo che iside crea per dare vita ad osiride) che investirà di regalità il futuro re. Per far capire al lettore, utili sono le leggende primordiali della visione del fallo di fuoco. Nella leggenda di Romolo e Remo, come anche di Servio Tullio e Ceculo, è fondamentale l’opera mediatrice di un elemento igneo con il ruolo fecondante di generatore. Sulla nascita di Romolo e Remo la versione di Plutarco sviluppa un racconto nel dettaglio:
“Nella reggia di Tarchezio, re di Alba particolarmente ingiusto e crudele, un giorno avvenne un’apparizione misteriosa: dal focolare uscì la figura di un membro virile che vi rimase per parecchi giorni. Il re corse a interrogare un indovino per capire cosa volesse indicare quel prodigio mai visto prima ed ebbe il seguente responso: una vergine doveva unirsi a quel fallo e da lei sarebbe nato un bambino molto famoso, che si sarebbe distinto per valore, fortuna e forza”. Questo fallo è lo Spirito solare che s’incarna. Il culto della spada ha origini pagane, appartiene alla Dea Bianca della vita nella morte e della morte nella vita, è Colei che incarna la porta regale per l’aldilà e la resurrezione dello Spirito.
Perché regale? Perché nell’Europa primitiva solo ai re, ai signori, ai poeti e ai maghi era concesso il privilegio di rinascere. Tutte le altre innumerevoli anime più ragguardevoli vagavano sconsolate nella gelida regione intorno al castello sottoterra (simbolo della Madre nel culto della Dea Bianca), nelle lande iperboree oltre il vento del Nord, i cui antenati furono le tribù pelasgo-traci, poi insediate nelle isole Egee di Chio e Lemno, Chersoneso Tracio e in Crimea, anime ancora non rincuorate dalla speranza cristiana di una resurrezione universale. Artù non è nulla senza la spada: è semidivino senza la Madre. La spada simboleggia la spina dorsale, emblematicamente rappresentata anche dal fulmine o dai serpenti. La spada è costruttiva e distruttiva, quindi è duplice come la madre all’inizio autogenerata (XX), a differenza dell’uomo che ha bisogno del completamento della madre (YX): infatti da solo non potrebbe esistere, e quindi deve trovare il suo elemento femminile per poter accedere alla memoria.
Nella tradizione la spada può essere impugnata dal “guardiano del fuoco sacro” (i cavalieri templari saranno i guardiani del fuoco sacro? In battaglia attaccavano in nome e in onore di Notre Dame), e non è un caso che nelle leggende occidentali i re ed eroi possiedano spade i cui nomi sono femminili: Orlando ha Balmung, Ganelon Altochiara, Artù Exalibur. La spada è il valore magico simbolico del femminino sacro. Durlindana, la spada di Carlo Magno, per esempio deriva il suo potere dai miti troiani. Piero avvolge la M di Montefeltro con la spada, cui dà proprio anche questo significato: che la M dona regalità. E’ lo Spirito della Dea che crea la Madre terrena: W + M equivale al segno mariano che ritroviamo in ogni chiesa. Persino sui fregi delle colonne che sorreggono l’abside sono disegnate delle aquile, e l’aquila ha la forma della W, della Sirena bicaudata che ha stessa forma. Sui fregi sono anche evidenti le P di Piero. E’ fantastico notare come questi grandi geni del Rinascimento riuscivano a simulare e dissimulare le immagini ed il contenuto in contemporanea dipingendo una figura che può avere più significati e può essere più immagini insieme. Se stilizziamo il segno mariano diventa il giglio o il loto, anch’esso sinonimo della Madre. Ora è evidente come sia l’aquila che il giglio siano presenti, anche se in modalità diverse, in molti stemmi nobiliari, sicuramente in quello della casata dei Montefeltro. Caratteristiche comuni si trovano, dunque, sia nell’uovo che nella perla, che si sviluppano senza fecondazione maschile e quindi per partenogenesi (dal greco παρθένος, “vergine” e γένεσις, “riproduzione”), è il fenomeno della generazione e sviluppo di uova non fecondate. La partenogenesi è insita nel mitico simbolismo dell’eterno ritorno rappresentato dall’Ouroborus, il serpente o drago o cane che si addenta la coda cercando d’inghiottirsi, in un chiaro segno di autofecondazione, perché è capace di trarre in se stesso tutto ciò che gli serve (il cerchio), tradizione ripresa dalla religione cattolica relativamente alla Madonna, vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto.
Focalizziamoci ora sulla immagine di Maria. Nel cerchio superiore si svolge la scena celeste: nella sfera inferiore, dalle mani incrociate che rappresentano la mandorla della Vesica Piscis parte un altro ovale (contorno della veste della Vergine sia all’interno dal colore oro-rosso, che esterno. Al centro del corpo della Vergine si forma la V che è la vav ebraica ovvero il vaso, la coppa. Il cerchio simboleggia l’ellisse terrena della manifestazione divina dell’incarnazione e quindi il fuoco (2) il Cristo, come avviene nella Pasqua che non è Gesù ma il Chirho, ovvero il Sole con i suoi raggi che ruota intorno all’ellisse e in questo concetto notiamo la grande scienza di Piero della Francesca, che esprime un concetto osteggiato dalla scienza ufficiale dell’epoca. La figura del Cristo adulto la troviamo nascosta tra la cintura di San Gerolamo il cui nodo rappresenta la croce e la mano del Santo che tiene un sasso. La mano stessa che regge il sasso però nasconde un’altra sorpresa: un piccolo viso che sembra un demone. Per vedere bene la figura nascosta, tracciamo una linea ideale tra l’orizzontale della croce che regge San Francesco fino ad arrivare al di sotto della mano di Gerolamo dove si vedono gli occhi del Cristos. (3) La stessa mano di Gerolamo è poi sia una mano benedicente che un agnello posto in maniera simmetrica al lupo presente appena sotto la croce di San Francesco. Il senso è che la Regina, la corona della regalità è scissa in due principi: in misericordia e giustizia, rappresentante nell’agnello che è la dolcezza, purezza e semplicità sacrificale per eccellenza; l’agnello è “agni”, il fuoco vedico che rappresenta la Luce che si raggiunge nel corso della conoscenza, quindi è il supremo aspetto del fuoco. La manica di San Francesco che viene rappresentato come un combattente e questo si evince dal fatto che è ferito e la cinta del suo saio ha la forma di spada, ha il risvolto con forma di lupo il quale simboleggiano gli inferi che mangiano la Luce. Dalla fronte della Madonna (terzo occhio) parte un triangolo verso il basso che è l’elemento acqua, geometria che ritroviamo anche nelle collane degli Angeli femminini i cui diademi hanno la forma della molecola dell’acqua o fiore della vita. Dal terzo occhio della Vergine partono anche linee che vanno verso l’alto, ed una croce che dalla conchiglia va all’uovo, alle mani della Vergine e all’ombelico del Cristo; due linee orizzontali attraversano gli occhi delle Santità, oltre a quelli della Vergine, mentre l’altra più corta mette in simmetria gli occhi degli Angeli. La mandorla creata dalle mani di Maria sono al centro di un cuore, vedi figura 2. Sul lato sinistro della Vergine appena sopra a sinistra della testa del bambino, c’è una piccola volpe o gatto o demone (4). Sempre sul piede sinistra della Vergine appare una figura demoniaca ovvero entità oscure (5) Sul lato destro nel braccio di San Francesco come scritto c’è il lupo, (mentre attaccato sul piede destro della Madre c’è un altro demone. (6) Altre due volpi le possiamo scorgere sul braccio del Duca e sul braccio del Battista dove si evidenziano un felino ed una volpe terribile. Il Battista simboleggia la Battista Sforza moglie del duca). Le volpi e il felino sono sinonimo è noto d’inganno. (7-8)
L’immagine che ne viene fuori è un Ankh egizio: la vita. Dal cerchio superiore parte la croce: la linea verticale parte dal terzo occhio di Maria scende e tocca il centro della mandorla e arriva all’ombelico del Cristos le linee verticali sono due la prima che parte dalla croce di San Francesco e arriva a toccare gli occhi del Cristo e l’altra che parte dall’occhio di Federico fino all’incrocio del nodo della tunica di San Gerolamo. Quello che colpisce è lo sguardo della Vergine che, a differenza di quello degli Angeli, è rivolto verso il basso, ad indicare il Figlio che è ancora dormiente e deve essere risvegliato. Il bambino (formalmente è il primo nascituro della coppia dei Montefeltro che commissionarono Piero) è in linea con le mani del Duca Federico e con il dito del Giovanni Battista posto a sinistra della Vergine, ad indicare la Battista Sforza moglie di Federico. Il Duca ha lo stesso mantello dell’abito della Vergine, oro e rosso come la spada, il bracciolo del trono e la cintura in cuoio della M. La Vergine è una dea egiziana, Isthar, in quanto è seduta su un trono il cui bracciolo è una piccola figura femminile che somiglia alla spada oro e rosso, simbolo di regalità. Altro elemento egiziano è la gamba sinistra avanti perché a sinistra del corpo si trova il cuore, simbolo della vita e anche del potere, e inoltre il soggetto è ancora in vita: non ha i piedi giunti, che indicano un soggetto defunto.
Cosa significa tutto questo? Che il culto della Grande Madre è ancora in vita. E’ Lei la regalità, la spada che dona potere agli iniziati e ai re e i felini trovati sono simbolo della Grande Madre pagana. Molto interessante è anche il triangolo che si forma dalle tre croci: quella di San Francesco, il nodo della cintura di Bernardino da Siena e la croce nell’elmo di Federico. A proposito di quest’ultimo, in maniera occulta, come avveniva in molti quadri del Rinascimento, l’elmo potrebbe nascondere il riflesso della moglie di Federico che aveva sempre quella acconciatura dai quadri che la ritraggono, sicuramente, il viso di un uomo con l’elmo e un foro nella testa e questo elemento, insieme ad altri, ci svela che la Vergine nella realtà è la Maddalena, la matrice primigenia, figura tra l’altro molto amata da Piero. La Maddalena ha sempre vicino un teschio con un foro in testa, infatti. Ma di questo elemento come anche degli strani demoni che la circondano parleremo nei prossimi numeri (9).
Vedendo l’immagine nella sua totalità, scopriamo che il tutto è dentro un grande rombo, un esagono e un diamante, figura adamantina della trasmutazione e la stella a sei punte (2) Le figure sono, oltre ai quattro angeli, San Bernardino da Siena, traduttore della Bibbia e umanista, e San Gerolamo che tiene un sasso (entrambi rappresentano le caratteristiche della casa urbinate dei Montefeltro); dall’altra San Francesco, che sposta il saio e mostra le ferite esterne e San Pietro Martire con la testa spaccata. Nel volto di quest’ultimo santo è visibile la sovrapposizione di un profilo di uomo (10) forse lo stesso Federico che riportò gravi ferite nella guerra di Volterra. Sulla sinistra Giovanni Battista è l’elemento acqua simboleggiato dal colore celeste, sinonimo di acque inferiori e la veste verde – colore della resurrezione e della fertilità – ma ha anche il fuoco simboleggiato dal legno. Sulla destra San Giovanni Evangelista ha invece la veste rossa come il fuoco, e sul libro l’elemento acqua con la rappresentazione della sua molecola, che è il fiore della vita, ed anche lui indossa il verde. Se Ruotiamo il viso del Santo la Sua barba ha la forma del pesce. I due San Giovanni sono legati ai due Solstizi. Giovanni Evangelista al Solstizio d’Inverno e quindi al segno del capricorno, metà uomo e metà pesce. Nella Tradizione il simbolismo di Oannes non è solo quella del pesce in generale, ma affonda le radici nella traditio primordiale che è in relazioni particolarmente con il delfino legato al segno del capricorno e del polipo legato al segno del cancro (Solstizio estivo) Il delfino rappresenta la “Donna del mare” (l’Afrodite Anadiomene dei Greci) o la “Dama del Loto” (Ishtar, come Ester in ebraico, significa “loto” e a volte anche “giglio”, due fiori che, nel simbolismo, si sostituiscono a vicenda), così come il Kwan-yin dell’estremo oriente, che è allo stesso modo una delle sue forme. Ritornando all’osservazione del quadro, sul braccio dell’Evangelista che regge il libro è evidente la figura di un uomo incappucciato. Il fatto che i Montefeltro fossero iniziati a studi alchemici si mostra anche dal serpente che appare congiungendo le mani di Federico con quelle dei Santi ed Angeli (12) Acqua e fuoco, i due passaggi alchemici. Gli occhi e la bocca dei due santi sono in asse con la Maddalena che è la sintesi, il Sole nei suoi tre aspetti: colore blu, ovvero le acque superiori nella materia caotica, l’oro – la materia purificata – ed il rosso, il raggiungimento della rubedo, l’ultima fase della Grande Opera e di tutte le trasmutazioni chimiche e trasformazioni dei metalli vili in oro. Sul manto di Giovanni Battista si vede una F, una D e una F al contrario, a specchio della prima (11).
La firma dell’autore è sulla veste della Madre sulle sue onde, sui fregi in prossimità di San Francesco ed un po’ ovunque nel quadro. (13) La data sicura del quadro è 1473 nascosta sul pavimento marmorizzato in prossimità dei piedi della Vergine. (14) Il tappeto su cui poggia la Vergine che s’intravede ha come ricamo il quadrato con i due triangoli rovesciati, la stella a sei punte, il “pantacolo di Salomone”, il cosiddetto sigillo di potere di Maria Maddalena : la pietra filosofale.
Giuliana Poli
Fonte: Isha Magazine