8 Ottobre 2024
Tradizione Romana

Pietas et Religio (sive Superstitio) – Elio Ermete

Gli antichi romani sostenevano una forte distinzione tra pietas e religio, considerando le due cose di per sé in maniera alquanto differente rispetto ai nostri concetti di pietà e religione. La pietas romana è il rispetto della tradizione, delle regole del diritto sacro che sancisce la pace tra gli uomini e le divinità. Colui il quale rispetterà i giorni sacri del calendario romano, osservando diligentemente la rituaria preposta e le regole è un pio. Chi invece svolgerà un’ecatombe per far piacere agli dei, quando questa non fosse prescritta, egli sarà tacciato di religiosità, allo stesso modo chi non dovesse rispettare i dettami prescritti dal diritto sacro verrà considerato un empio (1). Il religioso è visto dal romano come un superstizioso, perché in realtà gli antichi sanno benissimo che le divinità altro non sono che una proiezione che nasce da noi stessi. Certo è difficile dire chi realmente avesse una coscienza culturale del sé a Roma, ma rimane ovvio che i dettami del diritto sacro davano la completa possibilità di comprendere gli arcani più alti. L’uomo pio è un tipo morigerato, egli divide la sua vita tra la famiglia, il lavoro, la pietas e l’attività civica. Nella casa vi è un angolo molto intimo, dove il pater familias svolge i doveri rituali a lui assegnati, rispettando le regole del culto gentilizio cui appartiene. In questo angolo è posto il larario, la riproduzione di un tempio o di un’edicola in piccole misure, dove collocare all’interno le immagini e le figurine degli antenati e degli dei onorati dalla famiglia (i Lari e i Penati). Sempre in quest’ angolo è solitamente posto un tripode o un braciere, per accendere il fuoco in cui si gettano le offerte per gli dei: questi pare che si manifestino nella fiamma stessa e che attraverso di essa comunichino e abbiano contatti con gli uomini.

Il rito viene svolto al mattino, quando il Sole/coscienza si eleva nel cielo. L’apertura viene effettuata a Giano, si svolge la preghiera alla divinità del luogo o della casa (spesso i Lari e gli antenati) e si esegue poi il rituale prescritto, non tralasciando la salutatio alla divinità gentilizia e al proprio Genio. La chiusura può essere preceduta o meno da una formula piacolare che permetta di non scontare colpe nell’eventualità di errori accidentali durante il rito. L’apertura prevedeva il beneplacito del dio che presiede alle porte di ogni cosa (2), l’antico Giano, il dio bifronte che fa si che l’uomo esca dal caos della vita materiale per entrare, durante il rito, nella sintonia con gli dei affinché essi lo ascoltino.

Perché non interferisse al risultato del rito, e permettesse la comunicazione coi divini, ci si propiziava anche la genialità del luogo. L’intelligenza del luogo potrebbe essere anche uno spirito elementare (degli elementi) come un elfo, uno gnomo, un nano, o una ninfa. Comunque sia l’intervento di questi è necessario perché non si manifestino similnature astrali, cioè entità che si spaccino per la divinità che noi cerchiamo di evocare. Così come la divinità è presente in noi, lo è anche fuori, ed essa è un’energia della natura con una specifica funzione. L’orazione alla genialità della propria gens avveniva solamente dopo essersi assicurati i primi beneplaciti. Ma perché eventuali risultati non restassero infruttuosi, ci si assicurava anche alla propria divinità, che presiede allo sviluppo personale, affinché non si opponesse a fenomeni di luce psichica derivanti dall’operare i misteri di Ercole cosicché, se la si conosceva (e solamente gli iniziati sono in grado di conoscere il proprio Genio), le si chiedeva d’esser propizia in cambio di un grano d’incenso o di quanto altro le aggradasse. E per riconfermare la volontà del beneplacito divino si chiudeva con la detta formula “ciò sia buono e fausto. Così è”. L’ita est, a differenza del “così sia” cristiano non è una speranza di buoni auguri, bensì è la certezza dell’aver operato nel giusto e dello aver seguito i dettami della pietas. Certo il pio non è solamente colui che comprende le leggi del diritto sacro, ma lo è pure colui che le mette in atto anche senza conoscerle, essendo queste una conquista di consapevolezza personale. Lo svolgere il rituale, perfino senza comprenderlo nei suoi significati ermetici, è pietas; il cambiarlo sulla base del sentimento mistico è religio, e la religio è superstitio, poiché la religione lega due volte (re-ligo = ri-lego = lego ancora) quella che è la reale essenza delle cose e quello che è il sapere mantenuto dalle alte caste sacerdotali che l’alimentano. La legge si comprende solamente quando vi si entra in sintonia purificandosi da tutto, non solamente dalle impurità, ma anche dalle impressioni assorbite sul corpo lunare, come per esempio le convinzioni religiose, che ci legano alla coscienza razionale impedendoci di spostarla sul cuore, dove Anco Marzio ci farebbe dono di comprenderla. I sacerdoti assegnavano ai gentili le pratiche da eseguire, se questi operavano secondo i dettami, piamente, raggiungevano la purificazione dell’anima ed erano poi in grado di raggiungere diversi livelli di consapevolezza e di comprensione delle cose. Ovviamente tali pratiche potevano essere sostenute solamente rispettando le regole del diritto sacro: nei determinati giorni prescritti, astenendosi da Venere il giorno precedente e seguendo un eventuale regime alimentare prescritto, come ci insegna anche Macrobio nei “Saturnalia”.

Il Tempio

Il Templum romano è un luogo di contatto tra l’umano e il divino. Esso è un quadrato, forma geometrica derivante dall’idea (ripresa anche dai pitagorici) di riordino dei quattro elementi della natura. Ogni lato del quadrato indica uno degli elementi della natura separati e distinti, e lo spazio che esso circonda è permeato dal rimanente quinto elemento (3), essenza che permette il contatto tra il mondo umano e divino. Per tale sua qualità il templum in terra veniva usato dagli auguri per la tratta degli auspici, i messaggi divini interpretati sulla base del volo degli uccelli. All’università di Roma “La Sapienza”, l’archeologo Andrea Carandini, così come l’epigrafista Silvio Panciera, hanno svolto alcuni studi su tali pratiche antiche. Grazie alle fonti si conosce il modo di svolgimento dell’augurio, ma non erano risaputi i valori d’interpretazione fin quando non si è ritrovato un templum in terra con nove cippi, uno al centro indicante il sole ed altri otto delimitatori indicanti i principali punti cardinali. Nella mostra di Andrea Carandini sulla fondazione di Roma, svoltasi nel 2753 ab urbe condita nelle terme di Diocleziano, è stato ricostruito l’esempio di un templum augurale con la riproposizione rituale della tratta auspicale. Al templum in terra corrisponde un analogo templum in coelo: esso è il riflesso del primo, ed è la porzione di cielo nella quale si manifestano i segni divini, interpretati dall’augure. Gli auspici venivano consultati dai magistrati prima d’intraprendere qualunque decisione importante ed ogni qual volta dovessero passare la linea del pomerium, limite tra l’imperium domi e l’imperium maius, quindi prima d’intraprendere campagne militari o di svolgere funzioni politiche in città; similmente altre volte si consultavano i libri sibillini. Tito Livio ci tramanda che Numa Pompilio, prima di assumere la carica di re, avesse tratto gli auspici per mezzo di un augure:

“fatto venire a Roma, come Romolo nel fondar la città aveva assunto il regno dopo aver tratto gli auspici, così volle che anche per lui si consultassero gli dei. Onde fu da un augure […] condotto su la rocca e fatto sedere sopra una pietra, volto verso il mezzogiorno. L’augure sedette alla sua sinistra, con la testa velata e in mano un bastoncino adunco senza nodi, che fu chiamato lìtuo. Indi, poiché, abbracciate con lo sguardo la città e le campagne, e invocati gli dei, ebbe segnato lo spazio da oriente ad occidente, e proclamate fauste le parti verso mezzogiorno, infauste quelle verso settentrione, determinò mentalmente innanzi a sé un punto, il più lontano a cui potessero giungere gli occhi; allora passato il lituo nella mano sinistra e imposta la mano destra sul capo di Numa, così pregò: Iuppiter Pater, si est fas hunc Numam Pompilium, cuius ego caput teneo, regem Romae esse, uti tu signa nobis certa adclarassis inter eos fines, quos feci. (4) Enunciò poi gli auspici che desiderava ricevere, e avutili, Numa discese dal luogo augurale proclamato re”. (5)

L’esempio qui riportato, tratto dalla storia di Roma di Tito Livio, ci fa comprendere la funzione del templum in terra e del templum in coelo, nei cui limiti si esprimono gli dei. Ma il templum può essere usato in altri modi, per qualunque altro rituale da qualunque sacerdote. Ai profani è vietato entrare nei quadrati inaugurati, appunto i templi, poiché con le loro impurità potrebbero contaminarlo e fargli perdere la sua funzione magica. Fra il tempio architettonico e quello augurale, un semplice quadrato recintato, non esiste nessuna differenza, se non quella che il tempio architettonico si trova sempre su un podio rialzato e che in questo, a causa della presenza delle mura, non è possibile sedersi e volgere lo sguardo all’orizzonte per poter trarre gli auspici. Ma nei templi architettonici l’interpretazione del consenso divino avviene in altri modi, di efficace interpretazione quanto per gli auspici. Gli aruspici erano in grado di leggere il futuro tramite le viscere delle vittime sacrificate per i banchetti rituali. Su tale arte sacra ritorneremo più avanti. Il tempio è quindi un luogo fisico di contatto colle dimensioni supere ed infere. I templi dedicati ad Ade si trovavano a ridosso di grotte o in ambienti semi-ipogei. La cosa non dovrebbe sorprendere e l’osservazione nostra non deve fermarsi sulla semplice e superstiziosa convinzione del contatto con le entità che abitano l’interno della terra o degli inferi: questi luoghi non esistono nella nostra realtà esterna, bensì in un mondo secreto difficile da percepire e da penetrare, ma tale dimensione è più vicina a noi di quanto possiamo pensare: Ulisse trova facilmente una porta per andare a sacrificare un ariete nero agli dei inferi. Oltre ai luoghi fisici, creati nei luoghi dove gli dei hanno manifestato i loro favori, vi è una creatura nella natura capace di penetrare il mondo secreto, che è permeata dall’essenza divina attiva più di quanto la nostra mente o i nostri sogni possano immaginare; questa creatura è il punto d’incontro tra il pan e gli astri divini più alti e più lontani dal nostro pianeta, invisibili perfino ai nostri telescopi, ella ha in sé la potenzialità dell’androginato e del divino per eccellenza: questi è l’uomo. Con le sue capacità di adattamento e di modificare la natura circostante perché a lui si adatti, l’essere umano è stato considerato dagli antichi la creatura perfetta, l’eccellente creazione degli dei olimpici, la potenzialità del divino. Ed è sull’uomo, da quanto ci tramanda Vitruvio nel suo De Architettura, che l’ordine dorico basa le sue proporzioni, così come invece il più leggiadro, snello e delicato ordine ionico basa le sue proporzioni sulle dimensioni della donna, meno imponente dell’uomo nel suo corpo(6). La necessità, quindi, di rendere il luogo dove presiede il divino perfetto, ha fatto sì che gli antichi trovassero la perfezione nell’essere dominante per eccellenza la natura.

Oltre ai sacerdoti, nei templi romani potevano entrare anche i senatori, i quali erano liberi svolgervi riunioni e prendere decisioni alla presenza delle divinità. Un consiglio di guerra si sarebbe facilmente tenuto nel tempio di Marte, poiché l’esperto per eccellenza in questo campo, avrebbe giustamente ispirato coloro i quali si fossero riuniti nella cella del suo tempio. Così fece ad esempio Cicerone, che dovendo disporre in difesa dei rodii, i quali nonostante la loro fedeltà a Roma rischiarono di perdere la propria libertà, decise di convocare il Senato nel tempio di Giove Statore, al quale dio, in precedenza Romolo fece voto d’erezione del tempio affinché i romani, durante la battaglia mitica svoltasi in città contro i sabini, non indietreggiassero ma mantenessero con orgoglio e fede la posizione. Allo stesso modo i rodii si mantennero fedeli a Roma, e chiesero al famoso oratore di prendere le loro difese: e proprio in quel tempio Cicerone convinse i padri romani della causa rodia con la famosa oratio pro Rohdiensibus. Come già accennato il tempio veniva fondato e dedicato ad una divinità nel luogo in cui questa si manifestasse, o tramite un’apparizione (epifania) o tramite un suo favore, come per esempio realizzare immediatamente la richiesta di un fedele. Altre volte i templi vengono fondati per la necessità di avere un luogo di contatto con le dimensioni superiori. Queste ultime sono ben descritte nel Somnium Scipionis di Cicerone. Per prima cosa, quando si decideva di erigere un tempio romano, un augure doveva esorcizzare il luogo da qualunque tipo d’impurità, per poi tracciare e consacrare il quadrato ove si sarebbe poi costruita la cella. Veniva quindi realizzata l’opera architettonica, sempre secondo dei criteri esoterici perché il luogo sacro portasse in sé simboli sacri. Il tempio poteva essere dedicato ad una o più divinità, e in questo si svolgevano i riti appropriati alle suddette, dai sacerdoti appositamente preposti. Fondazione rituale e organizzazione del tempio veniva decisa dai pontefici, detentori delle regole e delle leggi del sacro.

Esoterismo ed Exoterismo

Il termine esoterismo è di origine greca e viene ben spiegato da Platone il quale lo contrappone all’exoterismo. La parola ermetismo è il sinonimo più vicino al significato che Socrate volle attribuire a esoterismo. Ciò consiste nella reale interpretazione dei simboli, spesso manifestati nelle ritualità pubbliche, come nelle processioni delle Dionisie (7) o in quelle Eleusine, e sempre presenti nei miti. Il filosofo greco è molto sicuro di sé quando dice che i miti non sono per tutti. Un laico od un fervente cristiano, direbbero che la mitologia è cosa per bambini e, come hanno scritto molti storici delle religioni un po’ faziosi, che è solamente il prodotto di menti primitive e superstiziose. Certamente siamo tutti concordi nel dire che solamente delle menti primitive possano aver concepito dei sistemi sociali come la democrazia greca e la repubblica romana, certamente siamo tutti quanti concordi nel considerare primitive delle civiltà che sono riuscite a portare l’acqua nel deserto (8), quando oggi l’umanità non è in grado di affrontare la siccità perenne di alcuni luoghi del mondo odierno. Il diritto romano è la base del diritto moderno, la filosofia antica è stata la prima vera ricerca razionale che l’uomo abbia mai affrontato sulle cose che lo circondano e lo permeano ed esiste qualcuno che osa affermare che questi uomini siano stati dei primitivi…E la filosofia degli antichi non ha delle basi semplicistiche, poiché ciò che dicono i greci, cioè che l’uomo è formato da quattro elementi di base è verità pura: noi siamo fatti di “terra”, cioè di un corpo fisico; di “acqua”, cioè di un’anima che come i fluidi entra nei recipienti (i corpi fisici); di “aria”, cioè dell’intelligenza che è ancora più impalpabile dell’anima; e di “fuoco”, cioè dello spirito, che quando si manifesta in noi lo fa attraverso il calore… e così come ho potuto verificare personalmente, pertanto parlo per esperienza e non per cultura fatta, anche voi potete verificare autonomamente l’esistenza di questi corpi lavorando sulla vostra persona: svolgendo orazioni nei periodo giusti, astenendosi dai cibi e dalla venere quando è necessario, mantenendosi in un equilibrio esterno ed interno, porterà al momento in cui si risveglierà la coscienza dei corpi sottili, e potrete confermare a voi stessi che l’antico sapere del mediterraneo fosse permeato di verità, purtroppo poi travisate da coloro i quali hanno preferito la creazione di religioni servili, per poter meglio controllare il potere sul volgo… che vergogna! Uomini liberatevi, non rimanete nel significato exoterico delle cose, cioè in quello simbolico, come il calice del Cristo che conteneva il sangue del figlio di Dio… perché Ponzio Pilato dice: “preferite che io liberi Barabba… o Gesù il nazareno, figlio dell’uomo?” Ma non era figlio di Dio? San Giovanni sembra molto curioso quando gli chiede: “chi sei veramente ?” ed egli è molto esplicito nel rispondergli pressappoco: “io sono figlio di Dio, ed io e il padre siamo la stessa cosa, e voi siete i mie fratelli…”. Ecco il mistero ermetico…

Ogni simbolo ha dunque un doppio significato: uno exoterico, cioè per l’esterno, per coloro i quali non sono iniziati, ed uno esoterico, indirizzato a coloro i quali vengono iniziati ai misteri. Prendiamo qualche esempio banale. Romolo exotericamente rappresenta il bene e la giustizia nel dualismo universale, esotericamente rappresenta la prima delle sette rotae, il primo chakra degli yogi. Così Penelope exotericamente rappresenta la fedeltà coniugale, ma nella realtà ermetica delle cose, cioè esotericamente parlando, lei è l’anima pura che l’iniziato eroe deve ritrovare e riabbracciare, ma prima di ciò deve affrontare una sequela di prove. Allo stesso modo il viaggio di Odisseo rappresenta la ricerca della verità da parte dell’uomo, ma esotericamente l’Odissea, libro sacro della cultura greca (successivamente adottato anche dai latini per la sua estrema dovizia di particolari veritieri), rappresenta una serie di ritualità e di prove che l’iniziato/eroe deve affrontare, per potere realizzare la prima parte dell’opera. Tutt’ oggi esistono correnti esoteriche che diffondono verità per simboli celati, pertanto è necessario andare sempre oltre il simbolo, per poter penetrare la verità esoterica delle cose, percepibile solo nel mondo delle idee.

Note:

1 – Il figlio di Pompeo offrì un’ecatombe di tori a Nettuno sperando così di avere il favore nelle naumachie contro Ottaviano, ma la cosa non gli diede ampi risultati, poiché svolse il rito nel momento sbagliato, quando non era prescritto, forzando determinate energie e creando uno squilibrio che cedette di fronte alla potenza sprigionata dalla pietas di Augusto, suo fattore vincente nella lotta al potere di Roma.

2 – Il dio Giano potrebbe essere ben paragonato al S. Pietro dei cristiani, detentore delle chiavi del paradiso, e al guardiano della soglia degli steineriani;

3 – Motivo per il quale il tempio era definito abitazione fisica della divinità cui era dedicato;

4 – “Giove Padre, se è divino decreto che questo Numa Pompilio, di cui tocco il capo, sia re di Roma, voglia tu manifestarci sicuri segni tra quei limiti che io ho tracciati”;

5 – Tito Livio, Ab Urbe Condita, I, XVIII;

6 – Vitruvio, De Architettura, IV, 15.

7 – Le Dionisie erano le feste dedicate a Dioniso (particolarmente sentite ad Atene), durante le quali si svolgevano prima una serie di rituali pubblici ed una processione in cui venivano esposti i simboli sacri, come per esempio le viti in terra cotta e le erme e il cratere del vino. Si svolgevano poi una serie di attività culturali agonistiche di tipo teatrale, come cori, commedie e tragedie, dove originariamente venivano rappresentati temi inerenti al mito del dio.

8 – Si vedano città dell’impero romano come Palmira, o i numerosi centri sparsi nella Meseta spagnola, fornite costantemente di acqua grazie alle imponenti opere idrauliche che questi uomini “primitivi”(come vergognosamente vengono definiti dagli studiosi faziosi) erano in grado di costruire.

Estratto dal testo “Aspetti Esoterici nella Tradizione Romana Gentile”, di Elio Ermete.
Ringraziamo l’autore per la gentile concessione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *