Pino Caruso, scomparso oggi a 84 anni, era un valido attore, un uomo ironico e garbato, una persona di livello intellettuale superiore a quanto potesse sembrare dalle sue apparizioni televisive (che pure gli avevano regalato una grande notorietà).
C’era anche lui nella mia galleria di ritratti di personaggi “Fuori dal coro”, uscita due anni fa per Eclettica Edizioni. Un capitolo che ripropongo.
PINO CARUSO – La voce del mercenario
Per tanti è solo il maresciallo Capello della prima seria televisiva di “Carabinieri”. A molti altri il suo volto inconfondibile ricorderà soprattutto le serate trascorse da bambini a guardare “Canzonissima” o magari il “carosello” della cintura Gibaud. Ad altri ancora, pochi in verità, Pino Caruso farà invece venire in mente una strana canzone eseguita alla fine degli Anni Sessanta sul palco del Bagaglino: «Son morto nel Katanga/ venivo da Lucera/ avevo quarant’anni/ e la fedina nera». Qualcuno, a dire il vero, la interpretava a modo suo e al posto dell’ultima strofa cantava: «e la camicia nera».
Era “Il mercenario di Lucera”, una struggente ballata scritta nel 1967 da Pierfrancesco Pingitore su musica di Dimitri Gribanowski, due delle anime della compagnia di cabaret romana. Una canzone più intimista che politica, che raccontava di un mercenario italiano morto nel Congo dilaniato dalla guerra anticolonialista e dalle lotte tribali. Così proseguiva il testo: «Salvai monache e frati/dal rogo del ribelle/ma l’Onu se ne frega/se brucia la mia pelle. / Se la mia pelle brucia/è perché son mercenario/ ma il Papa se ne frega/e sgrana il suo rosario».
A raccontare come nacque la canzone, che divenne ben presto simbolo di quei tempi, è Leo Valeriano, uno degli altri esponenti di spicco della compagnia nonché precursore della musica alternativa: «Un giorno il barone De Boccard, uno dei fondatori del Bagaglino, portò un curioso personaggio nel nostro cabaret. Era un mercenario. Fu una lunga nottata, durante la quale ci raccontò molte cose. Da quei racconti, Pingitore trasse la ormai famosa ballata che fu musicata da Gribanowski. La canzone fu affidata a Pino Caruso che la incise anche su un 45 giri con sul retro “Addio Che” cantata da Gabriella Ferri». Che Guevara più un mercenario che puzzava di fascista lontano un miglio: un mix davvero esplosivo, anche per un manipoli di anarchici di destra come la banda del Bagaglino.
Nato a Palermo il 12 ottobre del 1934, Caruso debutta a 24 anni come attore drammatico, interpretando alcune opere di Pirandello al teatro Piccolo della sua città. Ben presto, però, intuisce che gli si addicono più i toni comici di quelli drammatici. «Pino Caruso – ha scritto di sé l’attore siciliano – la cui comicità si caratterizza per l’impegno sociale e civile, ritiene l’umorismo l’unica cosa seria della vita e insieme, il segno più alto della civiltà di un popolo. Chi non sa ridere – afferma convinto – non è una persona seria».
A metà degli Anni Sessanta si trasferisce a Roma e si dedica al teatro comico. Viene notato da Luciano Cirri, caporedattore del settimanale Il borghese e collaboratore del Bagaglino, che lo porta ad esibirsi nel locale di vicolo della Campanella, un teatrino dove si faceva cabaret e satira politica e che all’epoca non era ancora diventato una passerella di tette e culi. Qui ottiene i primi successi, che ben presto gli faranno spiccare il salto verso la Rai. In televisione prende parte a trasmissioni popolari come “Che domenica amici” di Castellano e Pipolo, “Canzonissima”, “Gli amici della domenica” e “Dove sta Zazà”, dove ritrova Gabriella Ferri, compagna d’avventure al Bagaglino.
Negli Anni Settanta si dedica anche al cinema, dove alterna parti comiche ad altre più drammatiche, sia pure rese lievi dalla sua garbata ironia e dall’inconfondibile parlata palermitana. Non sarà quasi mai protagonista, ma partecipa ad alcune pellicole culto di quel periodo: Malizia di Salvatore Samperi, con la bellissima Laura Antonelli; La donna della domenica di Luigi Comencini, con Mastroianni e Jacqueline Bisset; L’ammazzatina; Dimmi che fai tutto per me di Pasquale Festa Campanile. Nel ’77 dirige se stesso in un episodio del film Ride bene chi ride ultimo ed è regista del film-tv Lei è colpevole, si fidi, dell’84, sul caso Tortora. Complessivamente ha al suo attivo 28 film per il cinema, di cui 3 di produzione francese. A cavallo tra gli Anni Novanta e Duemila, Caruso tornerà in tivù partecipando a numerose fiction di successo: Ultimo, Non lasciamoci più, Carabinieri, L’onore e il rispetto.
Anche se a dargli fama è soprattutto il piccolo schermo, Caruso non abbandona però il primo amore, vale a dire il teatro. Nel corso della sua lunga carriera calca i palcoscenici di tutta Italia e realizza spettacoli per il teatri Stabile di Catania, Biondo e Massimo di Palermo, Valle e Flaiano di Roma, per il teatro greco di Siracusa e il teatro Caos di Agrigento. Nel triennio 1995-96-97 Pino Caruso inventa e dirige, su incarico di Leoluca Orlando sindaco del capoluogo siciliano, “Palermo di scena”, una manifestazione internazionale d’arte e cultura (cinema, prosa, musica, danza, teatro dei pupi, letteratura, giornalismo e invenzioni varie) che lascerà nel ’97 «di fronte all’invadenza politica che minacciava la mia autonomia e la mia libertà di scelta».
Cortese, garbato, tagliente e mai volgare, Pino Caruso ha pure collaborato con molti giornali (Gente, La Sicilia, Il Secolo XIX, Il Messaggero, Il Radiocorriere) e ha pubblicato parecchi libri: una raccolta di poesie, un volume autobiografico (L’uomo comune), il giallo I delitti di via della Loggia, Un comico urgente a via Cavour, Il venditore di racconti e Ho dei pensieri che non condivido, una raccolta di aforismi, freddure e annotazioni varie che fanno ricordare il miglior Flaiano. Qualche esempio? «Gli ingorghi piacciono. Altrimenti non vi parteciperebbe tanta gente». «Il teatro d’avanguardia è il teatro di domani. Il guaio è che te lo fanno vedere oggi». «Quando io ero un ragazzo, comandavano i padri. Ora che io sono un padre, comandano i figli. Ma a me non tocca mai?». «Se sono intelligente, l’ho nascosto molto bene». «Sono uno dei pochi cretini che sospettano di esserlo». «Le scuole le ho frequentate poco perché la cultura costa e la povertà è gratis. Non mi sono lasciato scappare quest’occasione».
Vegetariano convinto e difensore della causa animale, Caruso ha coniato anche un aforisma per sostenere la sua causa: «Mangiar carne è un omicidio premeditato e digerirla è occultamento di cadavere». E a un giornalista che gli chiedeva se avesse dei sogni nel cassetto, ha risposto così: «Preferisco tenerci la biancheria».