La “Romanitas” vissuta come chiarezza del pensiero, come coerenza dell’azione, oltre che come alto sentire dell’animo: potrebbe essere considerata questa la cifra dell’avventura esistenziale di Pio Filippani-Ronconi.
“Poiché ero biondo e con gli occhi chiari i miei commilitoni tedeschi mi chiedevano: Bist du Deutsch? Io rispondevo: “Nein, Ich bin ein römischer Patrizier”. No, sono un patrizio romano”.
Sul finire della sua vita, al conferimento della laurea honoris causa all’Università di Trieste rispondeva all’Elogium accademico dicendo: “Mi meraviglio per gli elogi immeritati che mi rivolgete. In guerra e in pace ho fatto ciò che dovevo per ripagare il privilegio di esser nato romano”.
La Romanità per Filippani fu l’impulso a realizzare nella vita pratica la Virtus. Ricordo che quando mi ritrovai ad essere ufficiale di complemento nella Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo egli mi raccomandò: “insegna ai tuoi caporali che virtù deriva dal latino Virtus e significa “essere uomo”. Insegna loro la storia, perché nella storia si incarnano i grandi impulsi cosmici. Dà ordini sull’attenti, senza gridare troppo, senza gesticolare come spesso fanno gli Italiani. Mantieni l’ordine con punizioni piccole, ma irrevocabili. Quando devi affrontare una prova visualizza l’atto come se fosse già compiuto in tutti i suoi particolari, quindi realizzalo con tranquillità” più altre preziose indicazioni per la vita dello spirito.
Essere romani significava per Filippani essere perfettamente incarnati nella congiuntura spazio-temporale. I Romani erano infatti uomini con i piedi ben piantati per terra, che nel tempo e nel luogo in cui erano nati si impegnavano a compiere l’officium (quello che per gli Indù è il Dharma, o Sva-Dharma dovere specifico, in consonanza della propria personale vocazione) in piena armonia con il Fato (ovvero con il Karma).
Questa etica immedesimazione nel presente spazio-temporale esclude ogni nostalgico retrocedere ad epoche passate. Non si può ritornare indietro, altrimenti forte è il rischio di diventare caricature: bisogna cogliere quella che è la forma spirituale del proprio tempo. Allo stesso modo non bisogna essere esotici: Filippani che pure era un profondo conoscitore del buddhismo, del tantra, dello yoga affermava che per seguire con assoluta pienezza quelle vie fosse necessaria una configurazione diversa della fisionomia psico-somatica e che in definitiva fosse più opportuno seguire una via adatta all’uomo europeo moderno.
Filippani fu grande amico di Massimo Scaligero e discepolo di Giovanni Colazza. Colazza era stato uno dei più stretti collaboratori di Steiner e in Italia era stato una delle guide del Gruppo di Ur. Se si leggono i fascicoli della rivista operativa si comprende che la sua presenza, già importante nella fase iniziale, era divenuta preponderante dopo l’uscita dell’ala massonico-pitagorica del gruppo rappresentata da Reghini e Parise.
In virtù di questo orientamento la concentrazione del pensiero diventa fondamentale: “senza concentrazione del pensiero tu non potresti spostare neppure questo bicchiere d’acqua dal tavolo. Nell’uomo gli impulsi della volontà devono assumere chiarezza di pensiero”. Dopo la concentrazione seguivano gli altri esercizi di liberazione che concernono la volontà, il sentimento: con l’acquisizione di una forza d’azione, di una calma e un equilibrio dell’anima, di un sentimento di positività e di ricettività nei confronti del mondo. Lungo tale via prende forma una educazione aristocratica nella migliore tradizione europea.
Cristiano ortodosso nella sua appartenenza confessionale Filippani si ricollegava alla Russia nella quale vedeva la naturale prosecuzione della Tradizione europea vivente dopo le fasi di civiltà legate all’Egitto, alla Grecia e a Roma, al mondo germanico. Secondo una visione che è desunta da Steiner, ma che è molto simile a quella espressa da Steiner ne “Il Tramonto dell’Occidente”.
Riguardo al Cristo c’è un aneddoto raccontatomi da un caro amico gentile: un giorno andò da lui una piccola congrega di neo-pagani siciliani per ricevere orientamenti. Filippani li intrattenne per due ore discorrendo su svariate divinità italiche e indoeuropee. Sull’uscio della porta uno dei pagani chiese: “Professore, ma col Cristo come ci dobbiamo comportare?” “E lo dovete incontrare!” fu la sua risposta.
Il cristianesimo giovanneo che rappresenta il punto di approdo spirituale di Filippani è quello che si ricollega all’annuncio degli Orfici di un nuovo Signore Universale dopo Urano, Kronos, Zeus: Dioniso, etimologicamente Figlio di Dio (il Dio Padre Celeste); e all’annuncio fatto da Virgilio della nascita del Puer, nel momento di passaggio dall’Età dell’Ariete all’Età dei Pesci. Lo sviluppo di questa nuova forma spirituale si collega al crepuscolo degli Antichi Dei che si manifestavano nella natura (la “morte di Pan” dell’oracolo plutarchiano) e allo spostamento del baricentro spirituale dalla Physis esteriore all’interiorità dell’anima cosciente (“Il Regno di Dio è dentro di voi”; “Voi siete Dei”).
Ovviamente una assoluta libertà di orientamento religioso caratterizza coloro che hanno l’onore di essere stati amici di Filippani e con orgoglio se ne definiscono discepoli. Nessun proselitismo, nessuna imposizione, nessuna polemica possono mai avere a che fare con il cammino spirituale. Nel gruppo operativo che segue le indicazioni del maestro romano vige il “consensus omnium bonorum” al di là delle diverse opzioni legate alle “equazioni personali” e una peculiare concordia basata sulla pratica.
Alfonso Piscitelli