Platone c’insegna che con Amore non si scherza. Se ci afferra, dispettoso fanciullo, demone nell’accezione antica, cioè tra la divinità e l’uomo, non ci molla ci travolge ci stravolge. Ecco perché l’oggetto del nostro amore è sempre bello, mentre colui che ama è sempre brutto. Cesare Pavese: ‘E’ buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi’… Banchettano gli dei, se la spassano come comuni esseri mortali, e Poros (l’Espediente, il Possesso), avendo assai bevuto, si sdraia sul prato per farsi un sonnellino e digerire, magari tra un rutto e l’altro, cibo e vino. Ecco che, allora, se ne approfitta Penia (la Povertà), quella che nessuno invita perché troppo racchia e guastafeste. Fino a quel momento ad elemosinare gli avanzi, essa giace a lui accanto e si fa possedere. Così, nel giorno del compleanno d’Afrodite, venne concepito Eros, amante della bellezza e dedito a generare amore. Platone, grande costruttore di miti. Così: ‘E’ bello ciò che piace’, dicono trovando conforto sfigati falliti allupati e non solo loro…
Punte di Freccia
Platone e l’Amore – Mario Michele Merlino
- by Ereticamente
- 7 Aprile 2019
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- 6 anni ago
(Avevo un amico, scapolone impertinente, su in Romagna, dove ho trascorso tanta parte della mia giovinezza. L’estate scorrazzava sulla spiaggia nei dancing a fare la posta davanti agli alberghi. Erano gli anni delle tedesche, bionde alte coscia lunga carnagione fior di latte, in cerca di sole mare pizza e magari un flirt guardando le stelle mentre facevano scivolare le mutandine sulla sabbia. Non alto, i capelli arruffati, senza una lira, con una Vespa scrostata e in cerca perenne di un po’ di miscela. Eppure era il nostro mito. Sempre con ragazze top-model… Beh, ormai avendo superato i quarant’anni, una sera al bar Canasta ci raggiunge e fa esplodere la notizia shock: ‘Mi sono sposato. Domani sera tutti a cena da me che ve la presento. E’ uno schianto, mai avuta una donna così bella e brava…’. Bottiglia di spumante paste fiori camicia pulita pantaloni stirati. Ci apre l’eroe dei nostri sogni di erotismo estremo, mentre dalle scale scende un essere alieno e amorfo, insomma un cesso, ‘na cozza. Ammutoliti sconcertati sconvolti ci guardiamo fra noi e lui, serafico con voce modulata e soave: ‘Ragazzi, ho sempre amato i quadri di Picasso!’).
Torno sul dialogo Il Simposio perché è quello più distante dall’immagine a tutto tondo del filosofo che della razionalità si fa arma per distruggere gli odiati sofisti e costruire un grande affresco sistematico. ‘Solo la bellezza ci salverà’: è Dostoevskij che parla e aggiunge, nel suo libro più famoso, dopo aver riconosciuto come ‘il mondo è costruito sulle assurdità. Non comprendo nulla, e non voglio comprendere nulla’, che si resta in esso ‘per la furiosa e scostumata sete di vivere’. Grande, troppo grande… E Platone introduce, da narratore esperto, l’arrivo di Alcibiade, il bello invidiato desiderato Alcibiade, a cui tutto è concesso e a cui tutti vorrebbero concedersi. Folle ed ebbro di desiderio per Socrate… consentendo, con il rifiuto di quest’ultimo nell’accettare l’offerta del corpo giovane e prestante, di elevare la bellezza all’Idea del Bello, percorso privilegiato per accedere alla visione universale e necessaria. Mentre la ragione si vede costretta procedere per gradi relazioni connessioni, in una sorta di gioco dell’oca o del gambero – che palle! -, un passo avanti due indietro e ancora un passo…
Shakespeare, nel Romeo e Giulietta: ‘Chi è che ama se non al primo sguardo’. Su una panchina, nel giardino del castello di Gradara, Paolo e Francesca si smarriscono e si trovano tramite un libro che parla d’amore. In fondo il dialogare intorno alle ‘cose d’amore’ e immergersi nell’arte della seduzione amorosa possiedono labili confini. Il corpo con il sudore e lo sperma, l’animo con i suoi timori e tremori… Prima venne la poesia, ciò per cui si conserva il nome – in Grecia fu Omero, ad esempio, descrivendo Ettore e Andromaca alle porte Scee (qui, su Ereticamente, una delle prime punte di freccia scagliate dall’arco della mia genialità!) -, poi il volo al tramonto dell’uccello caro alla dea Athena, come affermava nei rari momenti lirici il pedante Hegel. Nella cella dei condannati a morte, nella notte del 5 febbraio 1945, il mio fratello più caro verga questi ultimi versi: ‘Les derniers coups de feu continuent de briller/ dans le jour indistinct où sont tombés les nòtres./ sur onze ans de retard, serai-je donc des vòtres?/ je pense à vous ce soir, ò morts de Février’.
Ecco: anch’io, alle prime luci di questo giorno in cui si rinnova il ricordo di quelle dodici bocche avide del tuo sangue, là, nel forte di Montrouge, avverto più prepotentemente lo strazio della tua carne strappata, Robert Brasillach. E avverto come siamo venuti meno in tanti, in troppi, alle virtù della fierezza e della speranza che volesti lasciarci a testamento. E rammento come Jean Anouilh, il commediografo che s’era adoperato a raccogliere le firme degli intellettuali francesi per chiedere la grazia, respinta, al generale de Gaulle, passeggiando con l’amico e attore Paul Fresnay, apprendendo della sua fucilazione, esclamò: ‘Anche noi faremo la nostra lista (di proscrizione)!’. Spiegando che sarebbe stata ‘la lista di coloro a cui non stringeremo più la mano’. E conservo i tuoi Poemi di Frèsnes, che non volli farmi mandare nel carcere di Regina Coeli perché dovevo ritrovarli fra i miei libri come segno della libertà riconquistata. Quelle poesie, strazianti e rasserenanti, che sono la vittoria dell’amore sull’odio, del vinto(?) sull’arroganza del vincitore(?)… e che elevano il poeta là dove Platone collocava la Bellezza tramite Eros…
Mario Michele Merlino