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27 Marzo 2025
Cultura

POSTBELLUM – Il Valore e la Fortuna (1^ parte) – Renato Padoan

Una guerra è innanzitutto costituita, ora come per il passato, dai morti e dai sopravvissuti alla stessa. Ci si dovrà interrogare pertanto sulla qualità dei sopravvissuti , chi sono e quanti sono, e rendere onore ai morti semplicemente.

Che cosa distingue i sopravvissuti dai morti?

Banalmente per ora il fatto che non sono ancora morti ma che morranno comunque ma non di guerra.

Occorrerà distinguere ancora le guerre del passato da quelle del presente e da quelle future per distinguere i sopravvissuti ed i morti per ora a causa delle stesse e ciò lo si farà perché è dato riscontrare delle differenze notevoli.

Una di queste differenze è la percentuale relativa di morti civili e danneggiati come i mutilati e gli impoveriti che si dovranno distinguere dai veri e propri combattenti .

Le guerre moderne si fanno notare per un numero relativo esorbitante di morti civili non direttamente combattenti. Questa constatazione concerne sopratutto le due ultime guerre mondiale e potrebbe riferirsi ad una eventuale guerra atomica.

Vi è ancora una differenza notevole tra le guerre del passato remoto e quelle del presente che è dato dalla pratica venuta meno della schiavitù.

Le guerre moderne infatti si pongono il problema di che cosa farsene di un nemico vinto ed espropriato che non serve veramente al vincitore.

Che farsene di un sovrappiù di nemici superstiti?

Concluso lo stupro di guerra si porrà il problema di come armonizzare od integrare gli eventuali generati insieme alle loro madri e che farne, il che costituisce un problema per una guerra che s’inizia sempre come risoluzione di problemi e non come generatrice di problemi oltre quelli che già diedero origine alla contesa.

I morti di una guerra, invece di coloro che sono sopravvissuti, perdenti o vincitori che siano, non costituiscono veramente un problema, né ora né per il passato, ma piuttosto la soluzione definitiva di un problema!

I morti oltre il compianto non costituiscono veramente un problema.

Sono i sopravvissuti a costituire sempre e comunque un problema.

Che farsene infatti dei sopravvissuti vincitori è ancora un problema per i vincitori stessi!

Ovviamente  i sopravvissuti dei vincitori andranno premiati.

Il tema della premiazione dei vincitori comporta il configurarsi in qualche modo di una superiorità inevitabile, decretata per rispetto agli altri, che si dovrà concretamente conferire.

Se la società anteguerra aveva una determinata struttura, ecco allora che la struttura di quella stessa società postbellica andrà necessariamente riconfigurata.

Lasciare le cose così com’erano nell’anteguerra non sarà accettabile, per cui il dopoguerra dovrà in qualche modo introdurre dei mutamenti nell’assetto sociale in un tempo di scadenza perché limitato dall’invecchiamento degli stessi superstiti della guerra. Si dovranno premiare senza perder tempo e indennizzare comunque.

Produrre dei cambiamenti di assetto politico in una società postbellica dilazionandoli potrebbe generare tensioni interne più gravi e grevi di quelle che si avevano prima della guerra.

Ritorniamo dunque daccapo con i perdenti sopravvissuti e i vincenti la guerra.

I perdenti la guerra cioè i vinti, arresi che siano e risparmiati, se non potranno essere convertiti e non si avesse il tempo di attenderne la fine fisica si dovranno in qualche modo eliminare.

Il persistere dei perdenti accanto ai vincitori se non indurrà in essi una qualche forma di asservimento non farà che creare malcontento ed ostilità vendicativa.

Ma il problema che diverrà più grave non sarà tanto quello dei vinti superstiti, che si potrebbero ancora civilmente o meno eliminare, quanto il problema dei vincitori che ambiranno ad essere ancora ritenuti tali e non come gli altri che non rischiarono direttamente la loro vita.

Come indurre i vincitori vittoriosi a dimenticarsi di quel valore e di quel coraggio che li indusse ad affrontare la morte ed esserne risparmiati?

Come accostare e confrontare coloro che affrontarono direttamente la morte da coloro che se ne astenerono per calcolo o debolezza?

E’ stato notato al riguardo e si dovrebbe aggiungere da parte nostra, forse con un sotterraneo umorismo, dall’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli  in un confronto televisivo, che mentre la prima guerra mondiale, che fu vinta dagli italiani condusse alla dittatura, la seconda guerra mondiale, che fu persa, condusse l’Italia invece alla democrazia, con l’assistenza determinante – mi permetto di aggiungere – delle forze alleate per cui è da auspicarsi sempre che una guerra si perda perché se ne avvantaggi la democrazia piuttosto che rischiare una democratura!

Le guerre hanno da sempre un fronte interno ed un fronte esterno che è semplicemente dato dalla sopravvivenza dei vivi per rispetto ai morti.

I morti di guerra in quanto appartenenti definitivamente al passato nei sopravvissuti , con la sola sopravvivenza del ricordo, siano essi perdenti o vincenti non vanno messi nel conto come furono invece messi nel conto prima. Semmai avessero costituito un problema essi non lo costituiscono più ma è anche questo uno dei vantaggi per intraprendere comunque una guerra!

I morti si dimenticano più facilmente dei vivi.

Sono sempre i vivi a costituire un problema specie se sono in eccesso.

Sono i vivi a causare le guerre.

Nessun morto causò mai una guerra!

Se ne trova traccia persino in Erodoto che nelle sue Storie racconta di un re libico il quale temendo per l’assetto della sua monarchia dalla superfetazione dei troppi giovani irrequieti e insoddisfatti decise una guerra perdente o vittoriosa che fosse, perché una parte di giovani combattenti ne morisse senza mettere a rischio il suo potere. Egli si sarebbe liberato di un eccesso di popolazione od avrebbe acquisito un ingrandimento territoriale. Oggi molti stati con un numero esagerato di procreati ne favoriscono la fuoriuscita e l’emigrazione per cui la teoria di Gaston Bouthoul dell’essere stata ogni guerra del passato una emigrazione armata e un infanticidio differito nel tempo potrebbe convertirsi oggi nel ritenere ogni emigrazione una guerra disarmata!  E’ del resto su questa semplice constatazione della inestinguibile rivalità tra le stagioni della vita che oppongono i giovani ai vecchi e ai bambini e per il sesso le donne agli uomini maschi che si fonda “Il ramo d’oro” di Frazer.[1]

Frazer, per le conseguenze che qui si traggono, spiega l’avvicendamento delle stirpi come l’evirazione dell’eccesso genetico a favore dell’equilibrio e della stasi con la conservazione del gruppo così com’è ora.[2]

Oggigiorno il favore e l’equilibrio democratico sono ottenuti dalla droga e dal rimbecillimento delle menti per mezzo del conforto e dell’unanimismo democratico.

Vi è poi un aspetto importante della guerra che non va sottaciuto ed è l’aspetto ludico della guerra che fa sì che la si possa definire con un termine inadeguato come GIOCO. Purtroppo l’italiano non può fare di meglio! L’inglese dispone invece di una parola che ben si attaglia all’idea ed è la parola GAME.[3]

Il game che trae la sua origine radice da GAM che è per l’appunto il matrimonio non dovrà sembrare minimamente un’esagerazione come causa di guerra.[4] Chi come il sottoscritto si è sposato due volte cioè una seconda volta dopo il divorzio non può che sottoscrivere come imprescindibile, oltre lo spirito, e veritiera l’affermazione di chi ha detto che la causa principale dei divorzi è il matrimonio!

Non c’è pertanto guerra senza pace né pace senza guerra che non possa durare sia l’una che l’altra indefinitamente oltre la loro affermazione finale e residuale e sovranamente retorica.

Se le guerre una volta iniziate non si fermassero mai è evidente che l’umanità si estinguerebbe e si sarebbe estinta da un pezzo e che pertanto per ottenere una pace la soluzione migliore è quella di intraprendere una guerra sapendo che prima o poi come è sempre accaduto finora finirà per dar luogo a una pace! Non c’è causa migliore finora che produca la pace che il fare una guerra.

 

Se ciò può sembrare capzioso e ridicolo a chi mi legge gli propongo allora questo scenario.

S’immagini il tifoso di calcio un campionato come questo.

Si affrontino 15 squadre il primo giorno del campionato e si ottengano 15 pareggi.

Può accadere ancorché improbabile.

Il secondo giorno del campionato sarà lo stesso e così via fino all’ultimo.

Insomma tutte le squadre a pari merito, nessuna che vinca e nessuna che perda.

Chi assisterebbe ed opterebbe per un tale spettacolo?

Nessuno!

L’eguaglianza perfetta è mortifera ed egualitaria come un Sacrario di Morti.

Si combatte per il piacere e la speranza di vincere sovrastando quell’altro ed ancora meglio se quell’altro, il rivale che sembrava superiore e invincibile, sarà vinto da noi.

 

Si può rinunciare al gioco e con esso alla sorte e alla fortuna?

La guerra è anche questo perché i sopravvissuti non sono esclusivamente i più capaci ma anche i più fortunati e pare che Napoleone stesso abbia detto: “ Non ho bisogno di generali bravi e capaci ma fortunati”.

E d’altronde si può del resto mettere a repentaglio la propria vita se si dispera fin da subito dell’esito di vittoria?

Pare ancora che vi sia stato a quell’epoca un generale famoso il quale non poteva inibire la propria propensione a farsela addosso prima della battaglia! Ebbene si racconta che a questo generale non restò che dire che col farsela addosso combatteva meglio, che è la stessa idea di una cantilena a suo tempo assai nota di Benigni.

Che cosa non si farebbe pur di vincere una battaglia se non la guerra tutta intera! Ma se si deve guerreggiare per difendersi? Affronterò questo tema della DIFESA per rispetto all’attacco e all’ OFFESA in una prossima puntata per mostrare quanto possa essere capziosa ed ingenua una tale impostazione.

Il trattamento dei sopravvissuti fortunati a una guerra non è però problema da poco!

Chi sa di essere sopravvissuto non per proprio merito ma per la benevolenza della sorte fonderà sul rischio ogni suo comportamento futuro e sull’azzardo, cioè su quello stesso azzardo che gli ha consentito infine di sopravvivere.

Sarà costui un buon cittadino?

Chi constata da sopravvissuto di come la sorte e non più il merito e le capacità siano risolutive per  sopravvivere alla morte piuttosto che il coraggio e il valore, si comporterà coerentemente all’esperienza trascorsa favorendo non più il valore, sia esso più o meno civile, ma altre peculiarità che derivino dal caso o dall’intuizione o dalla simpatia o dal compromesso o dalla stessa viltà ecc. insomma all’azzardo continuerà a perpetrare uno degli aspetti impliciti della guerra che è la scommessa per rispetto al certo riconoscimento del valore e della superiorità.

Mentre infatti la selezione mira al certo l’elezione punta sul contrario cioè al caso ed al sorteggio con la speranza e non più con la certezza della vittoria.

Un conto è operare selezionando e un conto è operare semplicemente eleggendo tra coloro che proprio per il fatto dell’elezione si ritengono eguali e meritevoli.

Non vi è nessun merito nel vincere la lotteria perché basta comperare il biglietto fortunato che per il resto si è come tutti gli altri eguale!

Ricordo l’indignazione che mi prese allora quando Moro ebbe a dire che si sentiva come gli altri un uomo comune. Io per carattere non potrei mai eleggere un colui  che non fosse per quell’aspetto migliore di me fino alla superiorità. Può essere questo il senso della democrazia che è sì popolo demos ma anche kratos cioè potere, superiorità e valore e non dominio del caso e della fortuna come ben vide un genio della Politica Nicolò Machiavelli !

Come impedire la guerra allora con i suoi morti ma anche con i suoi vincitori?

Qualora il timore della morte e il piacere della vita che si conducono cooperino insieme, cementando speranza e promessa, empatia e simpatia, odio e amore non si avrà la guerra perché la guerra non è null’altro che l’esasperazione della malattia mortale di ogni nato di donna. Da questa malattia sociale favorita dal timore della morte del singolo per la sopraffazione dell’altro o soltanto dal suo timore non è ci stato dato finora trovare un rimedio adeguato e definitivo se non l’estinzione definitiva dell’umanità. Di questo si parlerà prossimamente in un’altra puntata a proposito di una virtù negletta: la TEMPERANZA (2).

 

 

NOTE

 

[1]     Deep Seek:Il ramo d’oro* di James G. Frazer è uno studio comparativo di miti e rituali globali, incentrato sull’idea

       che le culture antiche condividessero archetipi religiosi legati alla natura. Attraverso l’analisi di sacrifici

       rituali, culti della vegetazione e figure divine morenti (come Attis o Dioniso), Frazer teorizza che la magia

       preceda la religione, entrambe sostituite dalla scienza. Il tema centrale è il sacrificio del “re sacro”, la cui

       morte simbolica assicura prosperità, riflettendo l’ansia umana di controllare i cicli naturali. Nonostante

       critiche per generalizzazioni e approccio evoluzionista, l’opera rimane un pilastro nell’antropologia e

       nello studio del mito.

[2]    Deep Seek:La paura della decadenza fisica (del re, della natura, della società) si traduce in un meccanismo di

       “rinnovamento violento”. 

       – Il giovane che uccide il vecchio non è un usurpatore, ma un “salvatore rituale”, la cui azione ripristina

       l’equilibrio cosmico. 

       “In sintesi”: Il timore del sovrano anziano verso il giovane è presente come tema latente, ma Frazer lo

       inquadra entro una logica magico-religiosa, non come conflitto personale. La violenza è ritualizzata,

       finalizzata al bene collettivo, e legata a una visione ciclica del tempo e del potere.

 

 

[3]   Come può tradursi in italiano la parola inglese “game” ? La parola italiana gioco sottintende sempre il piacere e il divertimento mentre il “game” inglese è un confronto a volte scontro ?  Così mi ha risposto Deep Seek alla mia domanda.
La parola inglese “game” può essere tradotta in italiano come “gioco”, ma come hai notato, il termine italiano “gioco” tende a evocare un’idea di piacere e divertimento, mentre “game” in inglese può avere una connotazione più ampia, che include anche competizione, strategia e a volte conflitto.
In contesti specifici, “game” potrebbe essere tradotto con termini più specifici per catturare queste sfumature. Ad esempio:- “Competizione”: In contesti sportivi o competitivi, “game” potrebbe essere tradotto come “partita” o “incontro”.- “Strategia”: In giochi di strategia o di ruolo, potrebbe essere tradotto come “gioco di strategia” o semplicemente “gioco”, ma con l’aggiunta di descrizioni che ne chiariscano la natura.- “Conflitto”: In contesti più seri o metaforici, come in “the game of politics” (il gioco della politica), potrebbe essere tradotto come “gioco” ma con l’aggiunta di un’aggettivazione o contesto che ne sottolinei la competitività o il conflitto In sintesi, mentre “gioco” è la traduzione più comune, il contesto in cui viene usato “game” può richiedere una traduzione più specifica per mantenere le sfumature del termine inglese.

[4]   γάμος  [-ου, ὁ] sostantivo maschile 1 matrimonio 2 nozze, festa, convito nuziale 3 unione illegittima 4 sposa, moglie

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