17 Luglio 2024
Attualità

Problemi teorici e pratici – Gianfranco de Turris

SE IL DDL ZAN DIVENTA LEGGE DELLO STATO

I propugnatori e difensori del ddl Zan (nel momento in cui si scrive è ancora un disegno di legge e non una legge) sostengono che su di esso si dicono falsità e basterebbe leggere l’articolo 1 per capire che non basterebbe, come dicono i suoi avversari, aggiornare la Legge Mancino comprendendo in essa anche altre tipologie di reati.

Hanno perfettamente ragione, purtroppo. Infatti in quell’articolo 1 c’è molto di più dato che in esso si precisa cosa è la “identità di genere” e quindi la “teoria del gender” e, così facendo, la si inserisce nella nostra legislazione, la si fa diventare una legge dello Stato, quindi qualcosa di ufficiale cui fare riferimento anche nei tribunali, da cui non si può più prescindere, da invocare. Cosa molto pericolosa e preoccupante dato che la “teoria del gender” afferma, in sostanza, che non vale più il sesso ma, appunto, il genere, cioè che ognuno è non quel che dimostra il sesso fisico, ma quello che ognuno si ritiene intimamente di essere, quel che sente di essere al di là del suo aspetto. Una questione diciamo psicologica e non più o solo fisica. Materi di psicologi/psicanalisti/psichiatri, non di fisiologi. Le conseguenze, come si può immaginare, sono parecchie, profonde e sconvolgenti su diversi piani.

Ora per capire quali potranno essere queste conseguenze se il disegno di leghe diventasse vera e propria legge, lo dimostra un clamoroso errore della Regione Lazio che a maggio 2021, prima ancora della approvazione in Parlamento del ddl Zan, ha emanato linee-guida per la sua applicazione sul piano operativo soprattutto a livello educativo e scolastico. Una decisione improvvida contro cui si sono levate molte proteste al punto che la Regione Lazio guidata dal pd Zingaretti ha dovuto revocarle in fretta e furia ed annullarle, almeno per il momento. Improvvida ma anche provvidenziale, perché la loro emanazione con relative spiegazioni ufficiali allegate, ci permette adesso di capirne le conseguenze e far riflettere chi vi si oppone con cognizione di causa.

Il documento di dieci pagine che è stato inviato il 14 maggio a tutte le scuole di ogni ordine e gradi della regione ha un titolo non certo allarmante: “Strategie di interventi e di promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere”. Il documento dell’Ufficio Scolastico Regionale guidato da Rocco Pinneri, porta (quasi a volerne avallare la sua serietà scientifica) anche il logo della Azienda Ospedalieri San Camillo Forlanini di Roma, che però ha fatto subito sapere che esso “è stato utilizzato senza alcuna autorizzazione” da una certa Associazione Metafora che opera al suo interno. Addirittura l’assessore alla sanità del Lazio lo ha sconfessato. Insomma, presi dall’euforia, certi dirigenti regionali assai “impegnati” hanno fatto un passo più lungo della gamba e così non volendo hanno scoperto le loro intenzioni su come hanno intenzione di condizionare gli studenti con la “ideologia gender”.

Le linee-guida sconfessate ma ormai note prevedono interventi a vari livelli e partono dalla premessa che “si deve superare il concetto di binarismo sessuale”, cioè che vi siano solo i sessi maschile e femminile, ma che i sessi/generi sono di più a seconda la “auto-percezione”, si dice fino a quattordici. Di conseguenza ecco la necessità di corsi di formazione sul gender per tutto il personale scolastico, curati da propagandisti di simili teorie e che si potrebbero benissimo definire corsi di indottrinamento a senso unico dato che il loro scopo esplicito è combattere quelli che vengono considerati miti, stereotipi e luoghi comini (si capisce bene di che tipo).

Altro scopo è la creazione di una “carriera alias”, cioè la modifica della vera carriera deli studente “mediante l’assegnazione di una identità provvisoria” in modo da “garantire la privacy circa la sua storia”. Come si deve intendere? Forse che uno studente transgender per non far sapere che è tale si fa costruire una vita fittizia “normale”? Nemmeno Orwell in 1984 ci aveva pensato!

Ci si occupa poi di aspetti pratici che derivano dalla accettazione ufficiale della “teoria gender” che raggiungono il surreale se non il grottesco e l’assurdo: occorre ad esempio stare attenti alla parole, cercare di eliminare (non si sa bene come) dai documenti scolastici le sole due caselle con maschio o femmina da barrare, per non mettere in imbarazzo gli studenti transgender; bisogna fare anche attenzione ai nomi e pronomi scelti rivolgendosi agli st denti, “segnale molto importante di rispetto”. Non è dato sapere se nelle linee-guida elaborate dal dotto Ufficio Scolastico Regionale ci siano esempi concreti per mettere in pratica queste indicazioni, ma sarebbe fondamentale sapere che vuol dire tutto ciò: in italiano non esiste il “neutro”, quindi che pronome (personale, relativo, possessivo ecc.) si dovrebbe usare di fronte ad un maschio che si ritiene femmina ed a una femmina che pensa di essere maschio quando le loro sembianze esteriori sono quelle che sono? O quando il loro none di battesimo è esplicitamente maschile o femminile? Mah! Tutto sembra pura astrazione teroica… Forse per questo l’immaginifico Ufficio Scolastico Regionale del Lazio si è inventato la “carriera alias”? C’è seriamente da chiedersi chi ci sia dietro a questi piani strategici che cercano di modificare il nostro modo di pensare modificando la realtà come in una classica “dittatura del pensiero” calata dall’alto. Una opposizione seria dovrebbe impegnarsi in questo compito…

 E infine, last but not least, la questione dei WC: laddove appunto le indicazioni dei due sessi riconosciuti può essere “fonte di imbarazzo” per chi in essi non si riconosce, di conseguenza, affermano le linee-guida, è “opportuno che ogni scuola individui un bagno/spogliatoio non connotato per genere, quale può essere per esempio il bagno dei professori” che gli studenti potrebbero utilizzare (si apprende così che nelle scuole italiane i bagni dei professori sono promiscui…).

In alternativa però si potrebbe anche adottare la soluzione decisa dall’Alta Corte d’Appello federale negli USA la quale ha stabilito che gli studenti transessuali possono usare nelle scuole i WC del sesso cui ritengono di sentirsi più vicini. Non si sono posti i supremi giudici il non banale problema di cosa possano penare gli utenti di una toilette per donne che vedono entrare una persona dalle fattezze maschili che però ritiene di essere una femmina. E viceversa.

Mi viene in mente una vignetta fantascientifica dove si vedono sulla porta di un bagno del futuro non solo le silhouette di maschio e femmina ma anche quella di alieno più o meno tentacolato! Ora qualcuno in alto loco dovrà decidere che tipo di silhouette usare per identificare i transgender… Un problema fondamentale e da far trenare i polsi ai creativi di comuni, province, regioni e dello stesso Stato italico…

Gianfranco de Turris

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