La situazione nella quale stiamo oggi vivendo non si può definire altro che una tragedia, probabilmente l’ora più tragica della nostra storia: anche se non ci sono le distruzioni materiali evidenti di settant’anni fa, il nostro popolo non è mai stato così vicino come oggi al rischio di scomparire. Una classe di politici venduti per i quali la favola della sovranità popolare non è che una finzione formale a cui nessuno crede, divenuta fedele esecutrice delle direttive delle istituzioni “europee” che nulla hanno a che vedere con gli interessi italiani, porta avanti una politica di saccheggio sempre più grave e scriteriato delle nostre risorse attraverso l’uso abnorme della pressione fiscale, e ha provocato una “crisi” sempre più insanabile che sta portando la nostra economia al collasso, ma il pericolo maggiore è rappresentato dall’immigrazione, che non a caso i vampiri che ci governano s’industriano a favorire in ogni modo: la nostra gente rischia di scomparire come realtà etnica e genetica per essere sostituita da una turba di allogeni e meticci.
Se situazioni analoghe riguardano un po’ tutto il continente europeo a cui sembra che da un quarto di secolo in qua la fine della Guerra Fredda non abbia portato altro che maledizioni, per l’Italia in particolare ci sono alcune specifiche aggravanti, fra le quali va segnalata l’assenza di movimenti di resistenza nazional-popolare, euroscettica, identitaria di portata degna di nota.
C’è un fatto sulla cui portata epocale è finora mancata ogni seria riflessione, tranne forse quella che io e qualcun altro abbiamo condotto su “Ereticamente” e altri siti della nostra “Area”: la cosiddetta sinistra, i movimenti di ispirazione marxista non rappresentano più le classi lavoratrici e sono ben lontani dal tutelarne gli interessi. Questo allontanamento non si è verificato in una volta sola, è probabilmente iniziato con la rivoluzione d’ottobre e l’instaurazione di uno stato “sovietico” che era a tutti gli effetti un’oligarchia autocratica, ha avuto un momento fondamentale di svolta nel 1968 quando con il movimento “contestatore” la sinistra è sostanzialmente passata sotto il controllo di leader di estrazione alto-borghese, ed è diventato definitivo e probabilmente irreversibile dopo la caduta dell’Unione Sovietica, quando la sinistra ha cercato un padrinato sostitutivo a quello sovietico nelle istituzioni cosiddette europee, di cui condivide il progetto mondialista, di un universale meticciato che in realtà non è la riedizione in forma moderna del “proletari di tutto il mondo unitevi” di Marx, anche se “i compagni” fingono di crederlo, ma la premessa per la creazione di un mondo di schiavi dipendenti dai signori dell’alta finanza secondo le direttive del piano Kalergi.
E’ un fatto innegabile che tutti i movimenti di ribellione e di resistenza popolare che sono emersi in Europa negli ultimi vent’anni, hanno un taglio esattamente opposto a quelli di ispirazione marxista, un taglio che semplificando molto potremmo – molto impropriamente, ma lo vedremo – definire “di destra”. A parte i movimenti “nati” in area antimarxista: il Front Nationale in Francia, Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, è esemplare il caso del movimento fondato in Gran Bretagna dall’ex laburista Nigel Farage: Farage si è reso conto di una cosa molto semplice, che vent’anni di politica laburista favorevole all’immigrazione hanno enormemente danneggiato i lavoratori inglesi, costringendoli ad accettare salari più bassi, a competere con gli immigrati per tutte le risorse fondamentali, per lo stesso spazio vitale. Naturalmente, il suo movimento è stato subito etichettato come “fascista” e “razzista”, parole-insulto in realtà prive di significato che i “compagni” appiccicano a chiunque voglia tutelare gli Europei nativi, i loro diritti, ciò che hanno costruito, ciò che è stato costruito col lavoro dei loro padri.
Una delle ragioni se non la ragione per cui in Italia non abbiamo nulla del genere, è data dal fatto che oggi l’area della protesta è – parassitariamente – occupata dal Movimento cinque stelle di Beppe Grillo, passato dal ruolo di comico a quello di buffone della politica. Che si tratti di un movimento artificioso e fasullo, lo si capisce molto bene dalle dichiarazioni del suo non più divertente leader: Il M5S esiste, secondo quanto lui stesso ha ripetutamente affermato, per impedire che vi possa essere un’Alba Dorata in Italia, per “tenere a sinistra” e quindi vanificare una protesta che spontaneamente andrebbe in tutt’altra direzione.
Se questa è la situazione, se oggi ci stiamo vertiginosamente allontanando da una situazione non ideale, ma di normalità, ci si può davvero chiedere che senso abbia un discorso di ideali e finalità nel momento in cui occorre concentrare l’attenzione e i mezzi in vista, puramente e semplicemente della sopravvivenza.
Tuttavia è importante non perdere la consapevolezza di PER CHE COSA, non solo CONTRO CHE COSA combattiamo.
Ultimamente, ho pubblicato sul nostro sito un articolo dedicato alla “Immarcescibile” destra conservatrice, atlantista, filo-americana e filo-sionista, per mettere bene in chiaro che con essa non abbiamo nulla a che fare, e che semmai la dobbiamo contare fra i nostri nemici, ma chiarito cosa non siamo e non possiamo essere, è su ciò che siamo, potremmo o dovremmo essere, che occorre concentrare la nostra attenzione, fare un atto di coraggio, parlare di progetti a lunga scadenza che per ora possono sembrare irrealizzabili, puntare in alto.
“Destra” in senso più lato non significa solo liberismo, atlantismo, berlusconismo e quant’altro, significa in primo luogo reazione, immobilismo sociale, un mondo e un modo di pensare che ci sono estranei, e sono proprio le parole di Benito Mussolini che ci consentono di chiarirlo molto bene:
“Le negazioni del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che era prima del 1789 (…) Non si torna indietro. La Dottrina Fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre, l’assolutismo monarchico fu, e così pure ogni ecclesia. Così furono i privilegi feudali, e la divisione in caste impenetrabili e non comunicabili fra loro”.
La frase di Mussolini ci consente un approccio che è forse il più adeguato per affrontare il problema, ossia un approccio di tipo storico. Non c’è dubbio che nella storia europea nel XVIII (o tra XVII e XVIII) secolo si è rotto un equilibrio con la rivoluzione industriale, le rivoluzioni americana del 1776 e francese del 1789, per nulla dire delle due rivoluzioni inglesi del 1640 e 1688. Lo sviluppo che è da allora prevalso, è stato quello dell’emersione di una nuova oligarchia, l’oligarchia del denaro che si è sostituita all’aristocrazia del sangue, e liberalismo, democrazia, potere popolare sono stati e sono tuttora solo degli alibi per mascherare questa realtà.
Alla fine, è dubbio se le classi popolari e lavoratrici, quelle che compongono la stragrande maggioranza del corpo sociale, ci abbiano effettivamente guadagnato qualcosa di non temporaneo, visto il giro di vite sempre più forte che si presenta oggi nella sedicente Unione Europea sia in termini di benessere economico – con una “crisi” ogni giorno di più galoppante, sia in termini di libertà civili, visto il moltiplicarsi delle fattispecie di reati d’opinione e L’INCERTEZZA DEL DIRITTO di fatto introdotta con l’alibi della lotta al terrorismo. Non parliamo poi della perdita di centralità dell’Europa stessa e della minaccia alla sua stessa realtà etnica rappresentata dall’invasione allogena.
Occorre sottolineare, e probabilmente non si riuscirà mai a farlo con abbastanza forza, che i movimenti d’ispirazione marxista non rappresentano a maggior ragione oggi ma non hanno mai rappresentato neppure in passato, un’alternativa, un muoversi in controtendenza rispetto a ciò. Fin da subito, si può dire, le istanze “socialiste” si sono rivelate del tutto inette a mascherare la natura autocratica della tirannide bolscevica. Pensiamo poi alla seconda guerra mondiale e alla piena connivenza tra capitalismo USA e bolscevismo sovietico nel distruggere la “fortezza europea” disperatamente difesa dai fascismi, e – ciliegina sulla torta – la piena complicità oggi dimostrata dalle sinistre o da ciò che ne rimane, con il progetto mondialista di soppressione dei popoli europei attraverso l’immigrazione e il meticciato. “Da sinistra” non è mai venuto né può venire nulla di buono. I movimenti marxisti, di sinistra, non sono un’alternativa ma UNA COSTOLA del movimento che ha portato il potere a passare “dai castelli alle banche”.
Il problema si chiarisce considerando la dimensione storica. Quando un equilibrio si rompe, la tendenza è quella all’assestamento su di un equilibrio diverso. I fascismi hanno rappresentato nelle loro forme migliori, potevano rappresentare, hanno parzialmente espresso NON la tendenza del ritorno al passato, ma all’assestamento su di un equilibrio diverso da quello del dominio internazionale del potere bancario-finanziario “usurocratico”, ed è questo che ha fatto realmente paura e portato allo scatenamento di due guerre mondiali.
E’ un discorso che richiede una certa complessità. Io dovrei qui rifarmi ad alcuni scritti, tra i primi che ho pubblicato su “Ereticamente”, dedicati all’illuminismo e al romanticismo, considerando sempre che l’evoluzione delle idee, storicamente riflette quella delle situazioni reali. Si ricorderà che avevo evidenziato che una nuova concezione dello stato e soprattutto, cosa che conta infinitamente di più, del rapporto fra stato e nazione-popolo emerge non in Francia, non in Inghilterra “patrie” del movimento illuminista-borghese, ma in Germania, in particolare nella Prussia di Federico II, con il sovrano “primo servitore dello stato”, il superamento del feudalesimo e la sua sostituzione con la nobiltà non feudale, “di servizio” degli Junker. La leva obbligatoria e il miglioramento delle condizioni del popolo attraverso l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita e il miglioramento delle condizioni alimentari attraverso la diffusione della patata, ne sono conseguenze pratiche. A titolo di confronto, occorre ricordare che nel contempo la monarchia francese – nel mentre proteggeva gli illuministi che forgeranno le armi per abbatterla – considerava lo stato, tutto quanto vi si trovava, i sudditi che vi vivevano, niente altro che una sua proprietà, e non aveva nessuna cura del benessere di questi ultimi.
E’ indubbiamente un fatto che può sorprendere, ma è innegabile: il concetto di popolo inteso come comunità di persone unite da legami di sangue, storici, culturali, linguistici, non si presenta storicamente prima del tardo XVIII secolo, è una scoperta degli intellettuali illuministi e soprattutto romantici. Ora, su questo punto occorre essere estremamente chiari: giocando sull’equivoco fra i concetti di invenzione e scoperta, i marxisti sono giunti a sostenere che “popolo” e “nazione” sarebbero idee INVENTATE dalle rivoluzioni borghesi del XIX secolo. Se “invenzione” significa creare qualcosa che prima non esisteva, “scoperta” vuol dire accorgersi dell’esistenza di qualcosa di preesistente ma fin allora ignorato. Chi penserebbe mai che l’America sia magicamente sorta dalle acque dell’oceano il 12 ottobre 1492?
Giocando su questo equivoco grossolano, i marxisti hanno sempre teso a negare l’esistenza di popoli, nazioni, nazionalità come fatto naturale e primario della politica, quando fa loro comodo e poiché fa loro comodo, non si fanno scrupolo a violare le regole metodologiche dello stesso Marx, a cominciare da quella banale e condivisibile che non è la coscienza a creare l’essere, ma l’essere a determinare la coscienza.
La prima, chiara e consapevole enunciazione delle idee di popolo, nazione, nazionalità, si trova nei “Discorsi alla nazione tedesca” di J. G. Fichte, “padre” dell’idealismo, del cosiddetto nazionalismo, della visione politica di gran parte degli intellettuali romantici. La nazione non può – ovviamente – affermarsi nei confronti delle altre nazionalità, e neppure difendersi, se non esiste un legame di solidarietà fra i suoi membri, legame che non può esistere in presenza di disparità troppo vistose. Qui troviamo il primo germe della concezione organica dello stato, di ciò che si può chiamare il nazional-socialismo (notate il trattino!).
Una concezione che certamente non rievoca nostalgicamente e non richiama a un ritorno agli ancien regime, ma nondimeno è in antitesi rispetto all’individualismo liberista che implica invece la lotta di tutti contro tutti, basa la vita associata sugli interessi in competizione, una forma edulcorata della legge della giungla, e favorisce in ultima analisi chi era già in partenza avvantaggiato: il capitalista contro il lavoratore, il ricco contro il povero, ed è altrettanto antitetica rispetto al “socialismo” marxista che, vagheggiando utopiche solidarietà internazionali, di fatto indebolisce la compagine della nazione e, come la storia del XX secolo si è incaricata con abbondanza di dimostrare, si è rivelato in definitiva uno strumento funzionale all’affermazione planetaria del liberismo-capitalismo mondialista, al punto da essere gettato via come uno strumento che non serve più perché ha esaurito la sua funzione, con la scomparsa dell’Unione Sovietica.
Nel 1989, in occasione del bicentenario della rivoluzione francese, “L’Espresso” pubblicò un doppio fascicolo, “A due secoli dalla rivoluzione francese” dedicato a questo storico evento. Uno degli articoli in esso contenuti, “Benedetta modernità” di Lucio Colletti, si dedica a un’analisi della situazione tedesca.
“Il fatto che… in Germania fosse fallita l’ascesa al potere della borghesia liberaldemocratica, aveva avuto come effetto che, all’impatto con l’industrialesimo e la modernità, la società tedesca fosse arrivata ancora carica nelle istituzioni e nello spirito pubblico, di forti elementi medioevali. Il risultato di questa “arretratezza” era stato ciò che ha sempre costituito un tratto inconfondibile di gran parte della cultura tedesca fin dall’epoca classica: cioè la sua avversione alle istituzioni dell’Occidente più avanzato, cioè allora di Francia e Inghilterra (…).
Questo rifiuto complessivo della “società civile” moderna fu così netto che esso, da una parte, servì alla Germania per fissare la propria identità e specificità culturale di contro a Francia e Inghilterra; e dall’altra, conferì alla cultura tedesca, fin dall’inizio, il carattere di un’analisi critica dei cosiddetti “mali della modernità”. Il risultato fu qualcosa che oggi appare un controsenso. Le piaghe dell’ “arretratezza” tedesca, cioè la forte persistenza persino all’inizio dell’800 di elementi e tratti ancora medioevali, furono vissute in Germania non solo come requisiti dell’ “originalità” nazionale rispetto agli altri Paesi, ma fornirono, paradossalmente, le armi per condurre una critica radicale della “modernità” come se questa fosse null’altro che decadenza e proprio all’arcaica miscela tedesca spettasse invece l’avvenire”.
Notiamo subito che la “miscela tedesca” era talmente arcaica, talmente anacronistica, fuori dal tempo e dalla storia, che al capitalismo usurocratico con sede in Francia, in Inghilterra ma soprattutto negli Stati Uniti, sono occorse due guerre mondiali, i due più spaventosi macelli che la storia umana ricordi, per spezzarne l’ascesa.
Notiamo che ben prima che comparisse sulla scena il nazionalsocialismo, anzi ben prima della nascita di Hitler, il capitalismo usurocratico internazionale che stava dietro i movimenti “liberali” e “democratici” che percorrevano l’Europa, aveva individuato nella Germania un nemico fondamentale e ben più temibile dei superstiti “ancien regime”. E’ esemplare il caso rappresentato dai garibaldini italiani che durante la guerra franco-prussiana del 1870 intervennero in aiuto della Francia, nonostante che proprio questa fosse l’ostacolo all’annessione di Roma e al compimento dell’unità nazionale. L’ODIO IDEOLOGICO contro la Prussia di Bismark prevaleva sull’interesse nazionale in questi “patrioti”.
Come ebbe a dire il comandante prussiano von Moltke, “Ciò che abbiamo conquistato in sette mesi, lo dovremo difendere per settant’anni”. Considerato il successivo andamento della storia europea e mondiale, raramente una profezia è stata più azzeccata.
Ma vediamo, cosa che Colletti si è ben guardato dal dirci, in che consistevano questi forti elementi medioevali che ancora impregnavano la società, la cultura, l’identità tedesca. Non certo il feudalesimo, la distanza e l’incomunicabilità fra le classi sociali, perché da questo punto di vista il capitalismo usuraio, l’oligarchia del denaro che ha sostituito la nobiltà del sangue, è più radicale e peggiore di quanto le aristocrazie feudali siano mai state: nonostante tutte le chiacchiere sulla democrazia, tende ad accentuare al massimo la distanza fra dominatori e dominati, fra padroni e servi.
No, l’elemento “medievale” che ancora impregnava la società e la cultura tedesche, era l’idea dello stato e della società organiche in cui ciascuno aveva il suo posto, sia pure modesto, e in esso, in ragione di ciò, godeva di una sia pure modesta tutela. Idea “medievale” ma proiettata verso il futuro, base etica di qualsiasi forma di socialismo (non ha caso, qualcuno ha giudicato un pensatore “medievale” lo stesso Marx), laddove il liberal-capitalismo è il trionfo del meccanico e dei rapporti disumanizzati.
Tanto per fare un esempio, sarebbe un errore credere che negli Stati Uniti la lotta contro lo schiavismo e per conseguenza la guerra civile americana siano state dettate da motivi umanitari. Un piantatore schiavista, era appunto PROPRIETARIO della sua manodopera, dalla perdita di uno schiavo per incidente o sfinimento sul lavoro, riceveva un danno economico, preoccupazione che l’imprenditore che acquistava lavoro “libero” sul mercato delle braccia disponibili (e sottoponeva i lavoratori a uno sfruttamento più duro di quello di cui erano vittime gli schiavi), invece non aveva. Il vero scopo della guerra civile fu quello di sostituire lo schiavismo con forme più rapaci e spietate di sfruttamento.
La società organica, lo stato-nazione “grande famiglia” contro il capitalismo predatorio, affiancato in modo per nulla occasionale dal FALSO SOCIALISMO marxista che non ha ancora finito di promettere la liberazione dei lavoratori, quando ha bella che instaurato la società piramidale di tipo sovietico. La storia terribile del XX secolo si riduce tutta a questa antitesi.
Questa idea di socialismo nazionale, di società organica, dello strumento statale come mezzo per la preservazione e l’affermazione della stirpe, ha avuto in Italia la sua prima affermazione, ma è nata dalla cultura tedesca, e sul suo suolo d’origine ha avuto l’attuazione più piena e radicale, qualcosa di cui il vampiresco capitalismo usurocratico non poteva assolutamente permettere l’esistenza.
Io devo ora ribadire un concetto non nuovo, che ho già spiegato altre volte, ma sul quale è ora opportuno tornare: “destra” e “sinistra” sono termini che non hanno un vero significato o meglio partecipano del medesimo errore. “Destra” significa conservazione, immobilità sociale, mentre “sinistra” significa livellamento. Entrambe considerano i rapporti sociali e la collocazione sociale delle persone come un dato ovvio, non problematico, quando invece nelle nostre società la corrispondenza fra capacità, qualità e meriti delle persone e collocazione sociale è, quando si verifica, un mero caso. Selezione, la persona giusta al posto giusto è il correlativo della solidarietà sociale-nazionale, perché una società gestita bene è nell’interesse di tutti.
Società organica, socialismo nazionale e selezione, si vede bene a cosa si arriva: Platone l’aveva già spiegato eloquentemente venticinque secoli fa.
Fabio Calabrese
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