Nella Bhagavadgītā leggiamo: «vi sono nel mondo due Puruṣa, l’uno distruttibile, l’altro indistruttibile: il primo è ripartito fra tutti gli esseri, l’altro è l’immutabile. Ma vi è un altro Puruṣa, il più alto, che si chiama Paramātmān , e che, Signore imperituro, penetra e sostiene questi tre mondi. Ora, poiché supero il distruttibile ed anche l’indistruttibile, io sono celebrato nel mondo e nel Veda col nome di Purushottama». [1]
Ora prima di andare oltre daremo qualche nozione su questo importante testo commentato da Śaṅkara. La Bhagavadgītā è uno dei testi che mette in evidenza il punto di vista advaita; ma il fatto che essa si presenti come un episodio presente nell’epopea Mahābhārata, che troviamo nella Smṛti non dobbiamo dimenticare che è un testo che tradizionalmente fu rivelato da Kṛṣṇa al suo discepolo Arjuna. Dove al momento della grande battaglia sul campo di kurukshetra o Dharmakshetra cioè campo dove si realizza il dharma si sfidano due eserciti quello dei Kaurava e i Pāndava, dove c’è Arjuna l’ottavo Avatār di Viṣṇu. Kṛṣṇa nella Bhagavadgītā è il «Sè» come vediamo in diverse raffigurazioni ha in mano le briglie simbolo della manas strumento attraverso cui può esercitare il controllo dei sensi. Messo volutamente da Arjuna alla guida del carro che è il «supporto» su qui stanno il «Sè» ( Kṛṣṇa) e «Io» (Arjuna) trainato dai cinque cavalli che sono i sensi. Arjuna rappresenta l’«Io» perché esita e trema al pensiero di dover combattere e uccidere membri della sua famiglia. Kṛṣṇa a quel punto gli ricorda i doveri del suo ordine: non sei forse un kṣatriya (guerriero) e non è forse il suo compito combattere quando il dharma è minacciato? Arjuna riprende coscienza di sè e chiede ad Kṛṣṇa su come agire. Kṛṣṇa gli risponde che tutti devono seguire il dharma, Arjuna, deve quindi agire. Vengono trattati tutti i problemi metafisici dell’Essere e del non-essere, l’azione e la non-azione, come anche il significato del sacrificio come simbolo del rito vedico. Poi spiega una nozione dialettica importante inerente al nostro studio, ovvero la differenza sostanziale tra il Puruṣa «essenza» e Prakṛti la «sostanza» o «forza motrice primordiale». L’unione di Puruṣa e Prakṛti che non deve farci cadere nel dualismo «spirito» e «materia» perché esso è ātman polarizzato in due principi complementari che producono lo sviluppo integrale dello stato individuale. In tale contesto Puruṣa è assimilato a Prajāpati «Signore degli esseri prodotti» espressione di Brahma da intendere come volontà divina e «Ordinatore Supremo». Questa volontà si esprime con il Manu «l’intelligenza cosmica» presente in ogni ciclo come Legislatore Primordiale Universale immagine riflessa di Brahma che da la legge divina il dharma. Così possiamo dire che Manu e il prototipo del primo uomo, Purusa-Prakṛti sono rispettivamente il macrocosmo Universale e il microcosmo Individuale. Prakṛti è il primo dei venticinque tattwa elencati nel Sāṅkhya uno dei sei sistemi darśana più antichi e ortodossi nella cultura religiosa hindu. Prakṛti è la grande madre natura da qui tutto trae origine; i tre guna sono i suoi attributi. Elemento determinante della manifestazione così come tutte le cose manifestate sono prodotte da una «miscela» di Prakṛti e Purusa. Purusa come venticinquesimo tattwa è totalmente indipendente dagli altri ventiquattro dipendenti dal Prakṛti. Sette di questi tattwa sono prodotti produttivi di Prakṛti: buddhi, ahamkāra e i cinque tanmatra. Gli altri sedici tattwa sono produzioni improduttive: undici indriya non escludendovi il manas o «mentale», ed i cinque bhūta. Purusa essendo indipendente nè prodotto nè improdotto ma la sua azione «non agente» determina tutto ciò che produzione sostanziale in Prakṛti. Mulaprakriti contiene in se una triplicità che si attua sotto l’influsso ordinatore di Purusa. Questa triplicità sono i tre guna: sattwa, la conformità all’essenza pura dell’Essere (Sat), che è identificata alla Luce intelligibile od alla Conoscenza, ed è rappresentata come una tendenza ascendente; rajas l’impulso espansivo, secondo il quale l’essere si sviluppa in un certo stato e, in qualche modo, ad un livello determinato dell’esistenza; infine, tamas, l’oscurità, assimilata all’ignoranza, e rappresentata come una tendenza discendente.
Ma ora torniamo al passo iniziale della Bhagavadgītā quando dice che esistono due Purusa ma anche un terzo chiamato Purushottama. Il primo «distruttibile» è jīvātman, la cui esistenza distinta è infatti come abbiamo detto è transitoria e contingente come quella della stessa individualità.
L’«indistruttibile» è Īśvara in quanto personalità divina. Infine Purushottama non è altro che Paramatman che è Brahmā\Ātman. Purusha non è mai sottomesso alle condizioni dell’individualità, e, anche se paragonato ad essa come jīvātman, resta inalterato da modificazioni del «divenire», non essenziali all’essere, e che provengono tutte da Prakṛti. È Prakṛti, che come abbiamo detto contiene tutte le possibilità di manifestazione, il «divenire» è nell’ordine manifestato. «Qualsiasi modificazione, dice Vijnana-Bhikshu, dalla produzione originale del mondo alla sua dissoluzione finale, proviene esclusivamente da Prakriti e dai suoi derivati», vale a dire dai ventiquattro primi tattwa del Sankhya, Purusha è il principio essenziale delle cose, poiché determina lo sviluppo delle possibilità di Prakriti; ma Purusha mai entra nella manifestazione, in quanto sono distinte da lui, e il «divenire» non potrebbe mai pregiudicare la sua immutabilità.
SCHEMA RIASSUNTIVO
I 25 tattwa elencati dal Sāṅkhya
Purusa – Prakriti
Buddhi (Intelletto)
Ahamkāra (ciò che fa «Io»)
Manas (senso interno mentale)
Buddhindrya (sensi di percezione) sottomessi al guna Sattva
Orecchio – Pelle – Occhio – Lingua – Naso
Karmendriya (sensi d’azione) sottomessi al guna Sattva
Parola – Mano – Piede – Organi escretori – Organi sessuali
Tantamatra (corpo sottile) sottomesso al guna Tamas
Suono – Tatto – Forma – Sapore – Odore
Bhūta (corpo grossolano) sottomesso al guna Tamas
Etere – Aria – Fuoco – Acqua – Terra