È da circa quarant’anni che io mi dedico allo studio della lingua etrusca, però assieme a quello di altre lingue vicine nello spazio e nel tempo, cioè il latino, il greco, il protosardo o paleosardo. Sia pure per il semplice effetto della mia salute e della mia longevità, io sono il linguista storico o glottologo che ha dedicato un così ampio lasso di tempo alla lingua etrusca. Ed ho pubblicato su di essa 18 libri e un centinaio di studi. Di fatto io ho analizzato, studiato e tentato di interpretare e spiegare tutti i relitti di questa lingua, epigrafici e letterari, i quali assommano alla cifra di circa 12.000. Questi adesso sono registrati nel Corpus Inscriptionum Etruscarum (CIE) e ormai anche nel Thesaurus Linguae Etruscae (ThLE, I edizione 1978, II edizione 2009). E non si può negare che si tratta di una somma quasi stupefacente di vocaboli, di gran lunga superiore a quella di molte altre lingue frammentarie antiche, che sono assai lungi dal presentare una documentazione così ampia e anche così varia. Tutto ciò premesso, con la mia acquisita esperienza di un quarantennio circa di studi, mi sento del tutto in grado di poter formulare un giudizio motivato sulla situazione dello “studio della lingua etrusca” nel momento attuale. Giudizio che espongo con le considerazioni seguenti.
1. Lo studio della lingua etrusca nel momento attuale è in una situazione che non si può non definire “paradossale” oppure “sconcertante”, perfino “buffa”, senz’altro “disastrosa” e comunque “antiscientifica”. Ciò è esatta e necessaria conseguenza del fatto che della lingua etrusca si sono impadroniti da un settantennio gli archeologi. Ed è chiaro a tutti che fra la archeologia e la linguistica esiste un oceano di differenze. In linea molto generale si deve affermare che l’archeologia studia “cose” od “oggetti”, mentre la linguistica studia “parole” o “vocaboli”. Ed è alla portata di tutti coloro che abbiano un minimo di cultura classica costatare l’abissale differenza esistente tra queste due discipline, le quali pure hanno il comune fondamento della ricerca storiografica.
2. Come si spiega la circostanza che soprattutto qui in Italia, patria della civiltà degli Etruschi, gli archeologi siano riusciti a impadronirsi dello studio della lingua etrusca e ad esercitare su di essa una forma di assoluto monopolio? La questione è che gli archeologi hanno dappertutto, ma soprattutto qui in Italia, patria delle arti visive, un grande potere politico e un conseguente grande potere economico. Essi infatti interloquiscono continuamente coi poteri politici, coi Ministri, alti burocrati, Presidenti di Regioni e di Province, Sindaci di città grandi e piccole. Sono infatti gli archeologi “i consegnatari e i conservatori dei beni artistici” dell’Italia, quelli che decidono sulla loro conservazione ed esposizione, ragion per cui essi sono ascoltati, ubbiditi, aiutati e vezzeggiati dalle amministrazioni di tutte le comunità locali italiane. Dalle quali gli archeologi ottengono sempre grandi mezzi economici per tutte le iniziative che essi propongono ed attuano. Mai gli archeologi hanno trovato difficoltà ad organizzare mostre, convegni e ad effettuare la pubblicazione delle loro opere. Su questo specifico argomento delle pubblicazioni di valenza artistica gli archeologi sono bene accolti dai grandi editori, i quali, come sono in genere pronti a respingere le opere noiose dei linguisti costituite da grammatiche, vocabolari e da noiose riviste specialistiche, così sono sempre pronti a pubblicare edizioni artistiche di lusso, fatte di bellissime fotografie e di bellissimi disegni. E molti archeologi hanno pure fatto la loro fortuna economica con le loro splendide e lussuose pubblicazioni.
3. Gli archeologi hanno anche un immenso potere nel mondo universitario: ad esempio essi non hanno mai consentito che si aprisse in qualche Università italiana un insegnamento particolare denominato “Linguistica Etrusca”. La “Linguistica Etrusca” è da loro conglobata nell’insegnamento generale della “Etruscologia” e di questa essi ovviamente sono i padroni assoluti. E sono tanto sicuri di questo loro “paradossale” monopolio culturale, che sono essi stessi ad insegnare nelle Università italiane la lingua etrusca, facendo uso di manualetti del tutto privi di valore scientifico, che è perfino mortificante vedere entrare nelle aule delle nostre Università. Con questa indecorosa circolazione di quei manualetti e inoltre dei semplici capitoli che si trovano nelle opere generali di etruscologia, si spiega come sia ancora molto frequente perfino fra individui di elevata cultura classica, il concetto secondo cui “la lingua etrusca è tutta un mistero!”
4. Come finora hanno reagito e reagiscono i linguisti italiani e forestieri a questo monopolio culturale esercitato dagli archeologi sulla lingua etrusca? Quei linguisti che si sono adattati a questa posizione di umiliante sudditanza sono ben accolti dagli archeologi nei loro convegni di studio, nelle loro riviste e pubblicazioni, sia pure sottostando alle vedute e alle imposizioni dei padreterni della archeologia italiana, ad esempio mai effettuando “traduzioni” di testi etruschi, ma solamente proponendo “interpretazioni” generiche, mai effettuando confronti e comparazioni dell’etrusco con altre lingue, dato che gli archeologi credono al dogma della impossibilità di confrontare l’etrusco con una qualsiasi altra lingua. E siccome il primo strumento di un linguista storico o glottologo è quello di effettuare confronti e “comparazioni” fra le lingue studiate, con un tale divieto gli archeologi impediscono ai linguisti di fare esattamente il loro mestiere. Invece i linguisti che non sottostanno a queste restrizioni e a questi divieti degli archeologi vengono da questi trascurati del tutto ed emarginati, mai invitati a tenere lezioni nei loro convegni, mai invitati a presentare scritti per le loro pubblicazioni e riviste … E non soltanto, ma col potere che gli archeologi hanno ottenuto anche nel campo della editoria, riescono pure ad convincere gli editori a rifiutare le opere dei “linguisti eretici”. Esattamente come è capitato allo scrivente quando propose ad un importante editore italiano la pubblicazione di questo suo “Dizionario della Lingua Etrusca”. Per il suo rifiuto di effettuare la pubblicazione della mia opera, alla quale pure egli aveva all’inizio manifestato un vivo interesse, l’editore mi comunicò – per interposta persona – che non poteva andare contro il parere negativo dell’“Istituto di Studi ….” col quale egli aveva continui rapporti di collaborazione e di lavoro….
5. È cosa abbastanza nota che intorno all’origine degli Etruschi si è dibattuta nell’Europa moderna e colta, ad iniziare dal secolo XIX, una lunga e travagliata questione imperniata sul quesito: «Si deve prestare credito a Erodoto e ritenere vera la sua notizia circa la provenienza degli Etruschi in Italia dalla Lidia, in Asia Minore, oppure si deve accettare la differente notizia di un altro storico greco, Dionigi di Alicarnasso, circa il fatto che gli Etruschi sarebbero stati “autoctoni”, ossia nativi proprio e soltanto dell’Italia?». Le due teorie antagoniste sull’origine degli Etruschi, quella migrazionista riferita da Erodoto e quella autoctonista prospettata da Dionigi, hanno per lungo tempo tenuto sotto pressione numerosissimi studiosi, storici archeologi linguisti e storici delle religioni. Negli ultimi decenni, nonostante che l’attuale scuola archeologica italiana sia nella sostanza favorevole alla teoria autoctonista di Dionigi, non si può negare che ormai si sono fatti più numerosi gli studiosi favorevoli alla teoria migrazionista di Erodoto e si tratta in particolare non solamente di archeologi, ma anche e soprattutto di storici propriamente detti, di storici delle religioni e di linguisti. Facendo riferimento al campo specifico della linguistica storica o glottologia, è un fatto che i più recenti interventi che i linguisti hanno effettuato sulla classificazione della lingua etrusca, cioè quelli di Albert Carnoy, Marcello Durante, Vladimir Georgiev, Onofrio Carruba, Francisco R. Adrados, Alessandro Morandi e Helmut Rix, hanno dimostrato significative connessioni fra questa lingua ed alcune antiche dell’Asia Minore. Ed anche l’autore della presente opera è dell’avviso che essa sia da connettere appunto con lingue anatoliche ed in particolare con quella lidia ed inoltre ritiene che la tesi erodotea della migrazione degli Etruschi/Tirreni dalla Lidia in Italia sia quella sola da accettarsi.
Riesce perfino difficile comprendere gli esatti motivi per i quali da tutto un gruppo di studiosi moderni sia stata rifiutata la tesi migrazionista di Erodoto ed accettata invece quella auctotonista di Dionigi di Alicarnasso. In primo luogo infatti è indubitabile che a favore di Erodoto interviene la priorità cronologica rispetto a Dionigi, dato che il primo era vissuto nel V secolo a. C. e quindi era molto più vicino nel tempo agli avvenimenti narrati, mentre il secondo ne era molto più lontano, essendo vissuto nel I secolo a. C. In secondo luogo Dionigi era tutt’altro che portato ad approfondire a dovere la storia degli Etruschi ed a simpatizzare con essi, dato che invece era tutto inteso a sminuire il loro apporto alla creazione di Roma come grande potenza ed a tentare di dimostrare che invece Roma era una creazione o fondazione dei Greci.
In terzo luogo, mentre la tesi auctotonista di Dionigi non è stata confermata da alcun altro autore antico, quella migrazionista di Erodoto è stata accettata, condivisa e confermata da altri 30 autori antichi, greci e latini, e questi sono: Ellanico di Mitilene, Timeo di Taormina, Anticle di Atene, Scimno di Chio, Scoliaste di Platone, Diodoro Siculo, Licofrone, Strabone, Plutarco, Appiano, Catullo, Virgilio, Orazio, Ovidio, Silio Italico, Stazio, Cicerone, Pompeo Trogo, Velleio Paterculo, Valerio Massimo, Plinio il Vecchio, Seneca, Servio, Solino, Tito Livio, Tacito, Festo, Rutilio Namaziano, Giovanni Lorenzo Lidio, C. Pedone Albinovano. Anche dando per scontato che molti di questi autori antichi in realtà si sono fatti la loro opinione su quella degli autori precedenti, pure questa loro adesione ai precedenti è già per se stessa molto significativa. Non solo, ma è molto significativo anche il seguente fatto: ancora in epoca romana gli abitanti della città di Sard(e)is (capitale della Lidia) avevano la convinzione di essere imparentati con gli Etruschi dell’Italia, dato che nel 26 d. C. chiesero al senato romano – senza però ottenerlo – l’onore di poter innalzare nella loro città un tempio da dedicare all’imperatore Tiberio; e chiesero questo in nome di quei vincoli di sangue che li legavano agli Etruschi, vincoli dei quali gli stessi Etruschi erano ancora consapevoli e convinti, come dimostrava un loro decreto ricordato dai Lidi (Tacito, Annales, IV 55,8).
E non è assolutamente accettabile l’ipotesi che tutti i citati 30 autori antichi e inoltre gli abitanti di una città anatolica e infine quelli dell’Etruria si limitassero a ripetere quella che sarebbe stata la “leggenda” di Erodoto, dato che è accertato che la notizia della trasmigrazione degli Etruschi è talvolta riferita da quegli altri autori con particolari che non risultano affatto nel racconto di Erodoto. Fra di loro mi piace citare il giudizio di un autore classico, molto noto ed autorevole anche in termini culturali e scientifici, L. A. Seneca (ad Helviam matrem de consolatione, VII 2): Asia Etruscos sibi vindicat «L’Asia rivendica a sé gli Etruschi». E c’è da osservare e da sottolineare che nei tempi antichi «Asia» significava «Asia Minore» ed in maniera particolare indicava la «Lidia» (LISNE 165); toponimo il quale trova esatto riscontro anche nella lingua etrusca, sia pure come antroponimo: AŚIA, ASIA (ThLE²). A me sembra logico ed evidente che la testimonianza di 31 autori antichi, col padre della storiografia greca ed occidentale in testa, sia da privilegiare senza alcuna esitazione rispetto a quella del solo Dionigi di Alicarnasso. Inoltre non si può fare a meno di osservare che sorgono perfino molti e forti dubbi circa la “sensibilità storica e storiografica” di quegli studiosi moderni che invece sostengono la ipotesi autoctonista, che cioè di contro a 31 testimoni antichi preferiscono privilegiarne uno solo. A meno che non sia appropriato il giudizio che pure è stato formulato che la ipotesi autoctonista in realtà sia stata determinata dalla adesione di qualche autorevole studioso italiano alla dottrina fascista della “purezza della razza italica”.
6. Nelle mie ricerche sul sostrato linguistico prelatino della Sardegna, cioè sul Protosardo o Paleosardo, con mia notevole sorpresa mi imbattei in casi di concordanza di lessemi protosardi con lessemi etruschi. Soprattutto notai che i Greci chiamavano gli Etruschi Tyrrhenói, Tyrsenói intendendoli come «costruttori di torri» (da týrris, týrsis «torre») e inoltre l’autorevole geografo e storico greco Strabone (V,2,7) definisce Tyrrhenói anche gli antichi Sardi. Considerato poi che nella loro isola i Sardi hanno costruito circa 8.000 nuraghi in tutte le sue zone e considerato che nell’intero bacino del Mediterraneo non esiste alcun altro popolo al quale spetti, più di qualsiasi altro, il titolo di «costruttori di torri, di torriani, torrigiani, turritani», ho concluso che i veri ed originari Tirreni sono da intendersi i Sardi costruttori delle 8.000 «torri nuragiche». Più tardi la denominazione di Tirreni è passata ad indicare anche gli Etruschi in virtù del fatto che questi erano parenti dei Sardi, dato che gli uni e gli altri erano arrivati prima in Sardegna e dopo anche nell’Italia centrale partendo dalla loro lontana sede nell’Asia Minore e precisamente dalla Lidia, dalla cui capitale Sard(e)is i Sardi o Sardiani hanno pure derivato il loro nome. E in senso inverso anche i Tusci od Etrusci hanno derivato il loro nome da týrsis, týrris «torre», secondo questa trafila fonetica: Tuscus < *Turs-c-us < *Tuss-c-us; Etruscus < E-trus-c-us < *Turs-c-us < *Tuss-c-us. A questo punto però tengo a precisare che il protosardo non coincide esattamente con l’etrusco per il motivo che il primo è arrivato in Sardegna attorno al 1250 a. C. ed è quindi più arcaico, mentre il secondo è arrivato in Etruria nel sec. VIII a. C. ed è quindi più recente.
7. Disattendendo del tutto dal diktat degli archeologi, che hanno sempre definito “la lingua etrusca non comparabile con nessun’altra lingua”, io ovviamente ho continuato col mio mestiere di “linguista comparatista” e pertanto ho proceduto a comparare e confrontare l’etrusco col latino, cioè con la lingua dei Latini e dei Romani, coi quali essi sono vissuti quasi in “simbiosi” per tanti decenni. Sia sufficiente ricordare che la dinastia etrusca dei Tarquini ha regnato sulla città di Roma per più di 100 anni e che, a parere del pur malevolo Dionigi di Alicarnasso (I,29,2), «molti degli scrittori sostennero che la stessa Roma era un città Tirrena» (cioè Etrusca). In primo luogo ho indirizzato la mia attenzione comparativa alla terminologia religiosa dei Romani, sapendo già da fonti storiche che la religione dei Romani era stata fortemente influenzata da quella degli Etruschi. E di fatto sono riuscito ad individuare un discreto numero di vocaboli latini di carattere sacrale, in genere privi di etimologia, che trovano riscontro in altrettanti vocaboli etruschi.
8. Sempre nella mia attività comparativa ho constatato che circa 2.000 antroponimi etruschi corrispondono, più o meno esattamente, ad altrettanti antroponimi latini. Questa vistosa circostanza da una parte sottolinea la stretta simbiosi che si era determinata col passare dei decenni fra le gentes o famiglie gentilizie etrusche e quelle romane, dall’altra questa quasi stupefacente corrispondenza offre un’ottima opportunità per individuare il “significato” di molti dei circa 2.000 antroponimi etruschi. È senz’altro ben appropriato il forte rammarico che moltissime delle iscrizioni funerarie etrusche siano costituite solamente da antroponimi, ma questi, prima di essere solamente “antroponimi”, erano altrettanti appellativi, i quali offrono appunto l’opportunità di individuare il “significato” originario del precedente appellativo etrusco. Il frequente prenome o nome personale etrusco LARCE è testimoniato in una recente iscrizione in alfabeto latino come Large, ed allora dall’aggettivo lat. largus «largo, generoso, magnanimo» (finora privo di etimologia) è possibile dedurre che anche l’etrusco LARCE in origine significasse «largo, generoso, magnanimo». Dal prenome etrusco SPURIE, corrispondendo chiaramente all’aggettivo latino spurius «figlio spurio o illegittimo» è facile ed ovvio dedurre che anche l’etrusco SPURIE in origine significava «figlio spurio o illegittimo». Siccome il gentilizio etrusco SATURE corrisponde chiaramente all’aggettivo lat. satur «saturo, sazio», è facile dedurne che anche l’etr. SATURE significava «saturo, sazio».
9. Gli Etruschi hanno convissuto nel medesimo ambito spaziale e nel medesimo torno di decenni sia coi Latini e coi Romani nell’antico Lazio (Latium vetus), sia con i Greci del golfo di Napoli e della Magna Grecia. Sommati i vocaboli delle rispettive lingue latina e greca si arriva ad un Thesaurus greco-latino probabilmente superiore ai 200.000 lemmi. Ebbene, è pressoché assurdo, dal punto di vista statistico, che gli 8.000 lemmi che figurano nel Thesaurus etrusco non trovino riscontri anche numerosi coi 200.000 lemmi del Thesaurus greco-latino. E in linea di fatto io questi riscontri li ho trovati, consentendomi di dare un significato a vocaboli etruschi che ne erano finora privi, in virtù del significato dei rispettivi vocaboli greco-latini.
10. Un analogo discorso mi sono fatto rispetto al Thesaurus indeuropeo ed un analogo risultato ho ottenuto rispetto agli 8.000 vocaboli del Thesaurus della lingua etrusca. Anche da questo punto di vista era stato dagli archeologi imposto un altro diktat e ripetuto fino alla noia un analogo ritornello: l’“etrusco non è una lingua indoeuropea”. Per il vero, non pochi linguisti, anche autorevoli avevano già sostenuto la tesi opposta. Sì, proprio con la grande famiglia delle lingue indoeuropee od indogermaniche l’etrusco è stato connesso ed inserito da numerosi linguisti, come W. Corssen, S. Bugge, I. Thomopoulos, E. Vetter, A. Trombetti, E. Sapir, G. Buonamici, E. Goldmann, P. Kretschmer, F. Ribezzo, F. Schachermayr, A. Carnoy, V.I. Georgiev, W.M. Austin, R.W. Wescott, A. Morandi, F.C. Woodhuizen, F. Bader, F.R. Adrados, ecc.
È cosa abbastanza nota che ciò che soprattutto aveva spinto non pochi studiosi nel passato a dichiarare che l’etrusco non era una lingua indoeuropea, era la constatazione – che si riteneva di aver fatto – della mancata corrispondenza dei numerali etruschi della prima decade con la serie dei corrispondenti numerali indoeuropei. In quel periodo infatti si era ormai a conoscenza del fatto che lo stesso primo impianto della linguistica indoeuropea e cioè la prima formulazione della famiglia delle lingue indoeuropee aveva preso il suo avvio iniziale proprio dalla circostanza che già alcuni uomini di cultura, ad iniziare dal fiorentino Filippo Sassetti (1540-1588), avevano visto e segnalato alcune chiare corrispondenze fra i numerali latini e greci da una parte e quelli dell’antica lingua religiosa dell’India, il sanscrito, dall’altra. Ed allora si era ragionato nel seguente modo: «Siccome i numerali etruschi della prima decade non si inquadrano nella serie di quelli indoeuropei, si deve concludere che l’etrusco non è una lingua indoeuropea». Senonché in uno studio del 1994 io ritengo di avere dimostrato che ormai si deve considerare come acquisito dalla linguistica il fatto che la maggior parte dei numerali etruschi nella prima decade trova un congruente riscontro fonetico con altrettanti numerali indoeuropei; come dimostra il seguente quadro:
1 θun, tun lat. unum
2 zal, sal, esal, esl german. zwa, ted. zwei
3 ci, ki ——
4 huθ, hut lat. quattuor
5 mac, maχ ——
6 śa, sa lat. sex, sanscr. ṣáṣ
7 semφ lat. septem
8 cezp ——
9 nurφ lat. novem
10 sar, śar, zar, θar, tar ——
Ragion per cui d’ora in avanti si deve sostenere la seguente tesi del tutto opposta a quella su riferita: «Siccome anche i numerali etruschi della prima decade in maggioranza si inquadrano nella serie di quelli indoeuropei, si deve concludere che anche l’etrusco è una lingua indoeuropea».
11. I risultati da me ottenuti riguardo alla traduzione – non semplice interpretazione – di testi etruschi sono ormai ragguardevoli: ho proposto di tradurre I) Numero 624 iscrizioni etrusche; II) Quasi tutte le defixiones. III) La Tabula cortonensis; IV) Il Cippus di Perugia; V) Le Lamine auree di Pyrgi, VI) Il Fegato di Piacenza; VII) L’elogio funebre di Laris Pulenas; VIII) La scritta di San Manno di Perugia; IX) La scritta dell’Arringatore; X) La scritta sepolcrale dei Claudii; XI) L’iscrizione del Guerriero; XII) Il piombo o “cuore” di Magliano; XIII) Ampli brani del Liber linteus di Zagabria; XIV) Ampie delucidazioni della Tavola di Capua (vedi M. Pittau, I grandi testi della Lingua Etrusca – tradotti e commentati, Sassari 2011, Carlo Delfino editore; ovviamente da me perfezionati negli ultimi anni).
I quali non sono risultati di poco conto!
Massimo Pittau
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