Premetto che il sottoscritto non ha mai nutrito soverchio interesse e tanto meno simpatia, per i Cinesi e la loro cultura nonché per i fenomeni migratori in Italia di tanti di loro. Tuttavia il progetto di un breve viaggio turistico nell’ex celeste impero l’ha indotto a riprendere alcune considerazioni. In primis si può parlare degli apporti indoeuropei alla civiltà cinese, qui non si potrebbe che rimandare ad altri più validi autori e soprattutto agli studi del sempre ottimo Fabio Calabrese. Tuttavia sarà, forse, utile proporre ai lettori alcuni appunti ricavati da svariate letture.
Sulle probabili componenti “bianche” all’origine della civiltà cinese rimando innanzitutto a Giovanni Monastra <Gli indoeuropei nell’antica Cina> in Percorsi III (1999), n. 23.
Lascio da parte, in questa occasione, la questione delle “mummie bionde” del Tarim, limitandomi a citare da Wikipedia “La scoperta ha suscitato notevoli dibattiti politico-culturali e mediatici perché dimostrerebbe che i primi abitatori della regione furono di origine caucasoide od europea e non asiatica; non manca la suggestiva ipotesi che siano stati questi popoli indoeuropei a far conoscere alla futura civiltà cinese la ruota, l’uso del carro e del cavallo ed i primi oggetti metallici”. Se codesta ipotesi risultasse vera ci si potrebbe chiedere cosa sarebbero riusciti a realizzare gli avi dei Cinesi se fossero rimasti “soli”!
Per un successivo periodo storico, successivo scriveva C.D. Darlington in <L’Evoluzione dell’Uomo e della Società> (Longanesi, Milano, 1969 pag. 734) “Stando a Coon gli Shang avevano capi occidentali e anche stando a Wissmann un Dio Sole occidentale e ariano. Inoltre la loro casta patrizia, aveva una forma di culto degli antenati che ricorda le religioni ariane del mondo classico occidentale”. Traggo, poi, qualche spunto da un interessante libro che tratta dei rapporti tra l’America pre-colombiana e l’Europa: (un altro passo verso le demolizione del “mito” di Cristoforo Colombo!) <L’America dimentica – I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo> di Lucio Russo (Mondadori, Milano, 2013) è un testo che ripropone alcune tesi “diffusioniste”, a volte è un po’ troppo “tecnico” e, riguardo all’antica Roma, non troppo “simpatico”. Tuttavia trattando dei rapporti tra le varie civiltà nel mondo antico presenta interessanti note non solo riguardo ai contatti tra l’Europa e l’America pre-colombiana a pag 32 l’Autore nota che “Il quadro che emerge dalla tradizione testuale e dall’archeologia finalizzata a convalidarla è quello di una storia caratterizzata sin dalla più remota antichità da una spiccata identità culturale <cinese>, da uno Stato unitario e da una diffusione autonoma di civiltà irradiantesi da un centro situato presso il medio corso del Fiume Giallo. La Cina, senza alcun contatto con l’esterno, avrebbe seguito un percorso molto simile a quello delle civiltà del Medio Oriente, introducendo prima l’agricoltura e poi la metallurgia e in particolare la fusione del bronzo, per sviluppare successivamente architettura monumentale, città, scrittura e uno Stato centralizzato”. Ricerche e studi più recenti hanno mutato radicalmente questo quadro pag.34 “Il sorgere della civiltà urbana in Cina è caratterizzato dallo sviluppo dell’industria del bronzo. Intorno alla metà del II millennio a.C., la quantità dei bronzi trovati e la loro mole sale enormemente, dimostrando la presenza di una complessa stratificazione sociale, con una èlite in grado di controllare una vasta mano d’opera”. Notoriamente, molto spesso, le stratificazioni sociali si formano quando una stirpe di conquistatori impone il suo dominio su popoli sconfitti e asserviti.
Ma vi è altro (ibidem) “… i più antichi prodotti metallurgici trovati entro gli attuali confini cinesi, risalenti a circa il 2000 a.C. provengono da Dunhuang, nella regione di Gansu, molto più a occidente di quello che è considerato il cuore dell’antica civiltà cinese… È stato pienamente dimostrato che la metallurgia, in particolare del bronzo, non è stata riscoperta dai cinesi indipendentemente, ma che si è diffusa da occidente a oriente, fino alla Mongolia e alla Cina nord-occidentale e settentrionale, lungo le steppe eurasiatiche e le foreste settentrionali”. Per questo autore(pag.34) inoltre appare del tutto verosimile che l’uso dei carri sia arrivato in Cina “da occidente” e la stessa “idea” della scrittura sarebbe giunta dall’esterno.
A pag. 37 leggiamo “Oggi l’ipotesi di una Cina isolata non può più essere detta solo improbabile, essendo contraddetta da fatti pienamente documentati: i contatti con l’occidente non solo sono stati essenziali per lo sviluppo tecnologico cinese, come abbiamo visto nei casi della metallurgia, dei carri e dell’addomesticamento del cavallo, ma hanno riguardato anche altri aspetti della cultura, come la religione”. Sono tutti aspetti da approfondire ulteriormente, ma possiamo, già ora concludere che ben lungi dall’aver “inventato” tutto, da soli e prima degli altri, come paiono vantarsi, i Cinesi hanno avuto dei “maestri” stranieri!
Già H.F.K. Günther nel suo <Die nordischen Rasse bei den Indogermanen Asiens> del 1934 (trad. francese <La Race Nordique chez les Indo-Européens d’Asie>, L’Homme Libre, Paris, 2006) aveva dedicato interessanti pagine a codesti problemi e si può ritenere che questa opera del noto studioso tedesco conservi una certa sua validità
Venendo ad autori più recenti, chi scrive, per quel che ricorda, ebbe a leggere accenni alle possibili influenze indo-europee sulle origini della civiltà cinese nei libri di Guido Giannettini, un personaggio, a suoi tempi, “famigerato” che probabilmente, al pari di tanti altri, si trovò invischiato in faccende più grandi di lui. In un suo piccolo libro che forse, varrebbe la pena andare a ripescare (<Le Origini Storiche della Libertà> Volpe, Roma, 1980) si poteva leggere (pag.70) di una espansione avvenuta intorno al 1700 a C. “di elementi indoeuropei misti ad altri gruppi etnici verso la pianura turanica, fino a raggiungere l’alto corso dello Yenisei e i Monti Altai; da questa profonda penetrazione nel cuore dell’Asia derivarono probabilmente la discesa sulla Cina settentrionale e la sua conquista da parte degli Shang(1500 circa), una cultura in cui sono riconoscibili anche elementi di origine indoeuropea” Peccato che nel libretto, appena di 76 pagine, l’Autore non abbia potuto approfondire.
In tempi successivi il Giannettini dedicava due libri alla Cina e soprattutto a problemi geopolitici, ma anche alla cosiddetta “rivoluzione culturale” (leggendo la storia di quegli accadimenti si viene a dubitare della grande intelligenza attribuita agli abitanti del defunto “Impero di Mezzo”).
Il primo di questi due testi è <Pekino tra Washington e Mosca> edito, sempre da G.Volpe, nel 1972; l’autore faceva riferimento ai “popoli uralo-altaici” anche in questo caso si passerebbe da una definizione linguistica a una etnico razziale. Con lingue uralo-altaiche, infatti, viene indicato un gruppo linguistico che include le lingue altaiche (turco, mongolo, kazaco, usbeco, manciù e i suoi derivati) e le lingue uraliche (ungherese, finlandese, estone, eccetera).
Per il Giannettini, tra i popoli che, in origine, parlavano queste lingue, vi sarebbero stati anche elementi indo-europei, infatti, essi sarebbero forse ancor oggi costituiti da “turchi, mongoli, tibetani e perfino ariani” (pag.132.)
Comunque egli riteneva di poter scrivere (pag.133) “Esiste una profonda differenza di razza, di lingua, di civiltà, di storia, di costumi, di carattere, tra gli uralo-altaici ed i cinesi. Sotto tutti questi aspetti, i primi sono più vicini agli indo-europei, con i quali durante i millenni si sono talvolta mescolati… Lo Stato cinese è nato storicamente dalla conquista del paese da parte di stirpi uralo-altaiche (e in un caso arie)”.
Il Giannettini, perciò, riteneva inoltre di trovare differenze tra uralo-altaici e cinesi anche sul piano fisico (ibidem) “Il cinese presenta il volto rotondeggiante, la fronte tendente all’indietro, il naso corto e schiacciato con narici dilatate, l’occhio a mandorla, una più o meno pronunciata tendenza al prognatismo”. Invece, da parte sua, “Il tipo uralo-altaico ha generalmente testa lunga, fronte alta e diritta, naso forte e lungo (simile all’europeo) con narici talvolta leggermente dilatate, occhio a mandorla, assenza di prognatismo. Anche il giapponese di tipo superiore, detto di Shoshu – diversamente dal tipo inferiore di Satsuma, più vicino al cinese e al giallo del Pacifico – presenta gli stessi caratteri degli uralo-altaici.
E il Giannettini riteneva di poter trarre le seguenti conclusioni (pag.133) “gli uralo-altaici, sembrano essere stati all’origine una razza mista, derivata dall’unione di popoli ariani con popoli gialli […] nel tipo uralo-altaico, la struttura ossea del volto è spesso simile a quella del tipo ario; risultano invece diverse le sovrastrutture, se così si possono chiamare gli occhi e i capelli, entrambi tipici delle razze gialle, e in parte il colore della pelle, che varia da popolo a popolo (dal chiaro al giallo). Del resto dal terzo millennio a C., erano ariani e uralo-altaici i cosiddetti Reitervölker (popoli cavalieri) che per lungo tempo si spostarono attraverso le stesse eurasiatiche, lanciandosi a più riprese alla conquista del mondo cinese, mediterraneo e sud-asiatico”. Come ci ha anche ricordato più volte il Calabrese elementi simili agli Europei erano nel passato presenti anche molto più ad Est che nei periodi successivi, e tutto fa pensare che la loro ritirata di fronte ai “gialli” continui!
Il Giannettini poi proseguiva che, tenendo conto anche di queste caratteristiche razziali “…ne risulta” sul piano storico “…che la prima civiltà cinese, la civiltà Shang, veniva imposta dal di fuori: verso il 1500 a.C., un popolo nord-mongolo (uralo-altaico) montato sui carri da guerra il cavallo, addomesticato nell’Eurasia verso il quarto millennio, era l’animale tipico dei popoli ariani, e ciò rende evidente il contatto fra questi e gli uralo-altaici, penetrava in Cina e fondava un regno nella valle dello Hoang-Ho soggiogando le popolazioni cinesi …”. In seguito il regno Shang sarebbe stato rovesciato da altri popoli nord mongoli, turchi, tibetani…”.
Le tesi del Giannettini non possono non apparire talvolta un poco “forzate” e alcuni punti andrebbero verificati con maggiori competenze in quanto vi si potrebbero trovare alcune imprecisioni. Comunque il Nostro continuava (pag 134) “Anche l’unificazione della Cina (221 a.C.) veniva compita da popoli guerrieri non cinesi, i Ch’in…” Anche in seguito elementi uralo altaici avrebbero svolto un notevole ruolo nella storia cinese soprattutto come guerrieri (1).
Nell’altro libro <Dietro la Grande Muraglia – La rivoluzione culturale, il conflitto russo-cinese, la liquidazione del maoismo> (Ciacci, Catanzaro, 1979) ritornava sulle popolazioni uralo-altaiche, la loro somiglianza con gli indo-europei, ne ricostruiva la storia fino a giungere alla dinastia Shang: leggiamo a pag.176 “Gli Shang presentavano una serie di caratteristiche tipiche dei popoli indoeuropei e siberiani, e ignote alla Cina di quel tempo: il cavallo e il carro da guerra ippotrainato, armi e oggetti in bronzo, città murate (a pianta quadrata come la Roma delle origini), monarchia sacrale e culto degli antenati (come a Roma, in Iran e in India), divinità celesti(Ti) e solari, simbolismo della svastica, sacrifici rituali del tipo romano suovetaurilia. La maggioranza dei reperti indica un tipo razziale asiatico, forse proto-uralo altaico, ma non manca neppure la evidente raffigurazione del tipo ario, come ad esempio quello espresso da una scultura intagliata in osso di Anyang. Non si sa tuttavia chi fossero con precisione gli Shang comunque stranieri per i Cinesi e di livello civile a loro nettamente superiori. È probabile che si sia trattato di un’ondata mista-come in Asia Occidentale gli Hurriti, Hyksos e Popoli del Mare- comprendente popoli asiatici e indo-europei; questi ultimi costituenti presumibilmente l’ala orientale del gruppo indo-iranico, trasmigrato in più ondate dalla regione pontico-caucasica, verso il sud e l’est, tra il 1700 e il 1000 a.C.(circa). Dopo aver accennato ai Ch’in, “di origine uralo-altaica con probabili componenti etniche arie e tibetane”, il Giannettini notava (pag,177) “Wang e huang-ti, titoli attribuiti ai sovrani cinese fino dalla prime dinastie, attraverso la mediazione del termine (forse paleo iranico) chuan o chűan, derivano dall’antico indoiranico wan; essi denotano peraltro la discendenza dalla stessa radice da cui originava il miceneo(indo-europeo) wànaks (re) sostituito solo in un secondo tempo dal pre-ario basileus.”
Sarebbe certamente interessante verificare quanto vi sia ancora di valido nelle tesi del Giannettini che comunque, per certi versi, potrebbero offrire interessanti punti di partenza per ulteriori studi.
In anni più recenti, Alain De Benoist nel suo <Visto da Destra> (Akropolis, Napoli, 1981, pag,727) “L’elemento indoeuropeo non ha potuto essere assente dalla formazione e dallo sviluppo di questo impero. Alcune tribù indoeuropee sembrano esser emigrate all’Est partendo dall’Asia centrale (Turkestan, alte pianure dell’Iran e regione del Pamir). Tenendo conto degli scavi effettuati nel 1924 dallo svedese Anderson, ricercatori come H. Schmidt e O. Kmmel hanno postulato l’esistenza di un legame tra la cultura indoeuropea e la cultura cinse ai suoi inizi. Conclusioni analoghe sono state tratte da F. von Richtofen (1877) nel campo delle conoscenze astronomiche e, in quel che concerne la linguistica, da Koppelmann (1928,1933) e da Güntert (1930). In particolare, si è posto l’accento sul ruolo delle tribù Hia e Ta Hia, identificate da O. Franke (1926) con i Tokhariani. Che possedevano un modo di vita agricolo e una struttura sociale di tipo patriarcale. Queste tribù, la cui ceramica rassomiglia in modo sorprendente alla ceramica decorata( Bandkeramik) indoeuropea, si opposero agli indigeni delle tribù Miao, la cui struttura familiare era di tipo matriarcale, e li respinsero verso il Sud.”(2)
Non è qui il caso di occuparsi più a fondo di un certo sistema a caste che fu in vigore nell’antica Cina e posso perciò, concludere codesti appunti rifacendomi al volumetto di Marino Corona <La Civiltà dell’Antica Cina> edito da Libritalia nel 1996. Riferendoci al periodo detto Ch’un Ch’iu durato dal 772 a.C. al 481 a.C. e così denominato dagli <Annali di Primavera e Autunno> (tradizionalmente attribuiti a Confucio). Durante tale periodo i vari regni e principati che si erano formati nel precedente periodo Chou divennero stati indipendenti spesso impegnati in guerre tra di loro, conflitti che come spesso accade, decimarono la nobiltà cinese, e così, gli stati principali e più grandi poterono ingrandirsi a spese dei più piccoli con un conseguente indebolimento dell’istituzione dei feudi ereditari e dell’aristocrazia stessa.
Una premessa (pagg 52-53) “fin dall’inizio della sua storia il mondo cinese ci appare rigidamente diviso in due caste. Da una parte i contadini, chiamati anche min che significa <gente del popolo> o <uomini inferiori>, i quali vivevano nei villaggi sparsi fra i campi fuori della cittadella. Dall’altra i nobili che trascorrevano la vita nei loro palazzi lignei, all’interno delle loro mura di terra battuta. Gli storici cinesi si sono abbandonati a lunghe disquisizioni, hanno formulato complesse e controverse teorie per cercare di ricostruire il meccanismo che avrebbe portato alla nascita di questi due gruppi sociali rigidamente separati fra loro. Senza perderci nelle sottigliezze delle varie teorie, diremo che le ipotesi attuali sono sostanzialmente due: c’è chi dice che la casta dei nobili discenda in realtà da un popolo di conquistatori, i quali avrebbero sottomesso le popolazioni cinesi dedite all’agricoltura e avrebbero finito per tenerla in uno stato di minorità sociale: c’è al contrario chi sostiene che sia stata la spontanea evoluzione sociale a creare, in seno alle primitive popolazioni rurali, queste due classi fra loro così distinte.” Naturalmente, la concezione del mondo; di chi scrive, lo farebbero propendere verso la prima ipotesi, ma si può dubitare che se essa fosse confermata, quelli che una volta venivano definiti “figli del Celeste Impero”, lo renderebbero noto!(3)
Alla pag. Pag.85 leggiamo “La società feudale… è essenzialmente una società guerriera.” Ha scritto Julius Evola: “Il mondo feudale… resta l’esempio più caratteristico di una costituzione sociale conforme alla casta dei guerrieri” <Rivolta contro il Mondo Moderno> Hoepli, Milano, 1934, pag 389.
A pag.88 rifacendosi agli studi di Marcel Granet il nostro nota che il “signore” traesse il suo potere da una forza mistica presente contentata in lui ma che diffondendo anima tutto il paese a lui sottoposto. Intorno a lui i vassalli lo difendono da ogni contatto che potesse in qualche modo contaminarlo.
Naturalmente (pag.88) “Il signore feudale appartiene sempre ad una famiglia nobile, a una famiglia cioè che annovera alle sue origini un antenato di sangue divino”.
Proseguendo il Corona parla di <rito della guerra> e scrive (pag.102) “La battaglia costituisce il momento culminante, l’episodio più significativo di tutta la vita feudale; la società del periodo Ch’un Ch’iu è infatti, […], innanzitutto una società guerriera, il signore feudale è innanzi tutto un capo militare…” Le guerre dovevano essere combattute secondo un preciso codice cavalleresco, pag.104 “Per i cinesi antichi la guerra poteva essere di due tipi. Vi erano, innanzi tutto, le guerre contro i barbari, guerre in cui le regole cavalleresche non dovevano essere tenute in nessun conto, perché durante questi scontri non si combatteva contro uomini ma contro selvaggi non dissimili dalle bestie… Le battaglie contro i barbari si concludevano spesso con stermini e carneficine. Nessun atto sembrava allora troppo crudele, perché il popolo cinese non aveva assolutamente quel concetto di rispetto per l’uomo in quanto uomo, che è, tipico della cristianità.” (Lasciamo perdere le vittime di inquisizioni, conversioni forzate e compagnia bella! (4)
Conclusasi, speriamo, l’era delle guerre civili tra europei non è certo da escludersi che gli ultimi europei degni di tal nome debbano, in un futuro più o meno prossimo, combattere contro le orde di “barbari” che si riversano nel nostro continente e allora quali saranno le “regole” da osservare? Magari quelle che la sanguinaria divinità del’ “Antico Testamento” imponeva a quella masnada di sanguinari razziatori che era il suo popolo “eletto”?(5)
Invece la guerra tra Cinesi, peg.105 “…è più che altro un rito e il suo primo fine sembra essere, non tanto la conquista di un determinato territorio o la conferma di una propria supremazia su uno stato, nemico, quanto la possibilità di ritrovare o riaffermare attraverso lo scontro la propria identità di gruppo”.
Un particolare interessante e simpatica: nella società feudale dell’antica Cina vi era una casta disprezzata; quella dei mercanti. Pagg. 79/80 “…nessuna categoria sociale in Cina fu mai tanto mal vista come quella dei mercanti. La ragione è molto semplice: in una società feudale basata….sull’etica guerriera, i mercanti erano gli unici esclusi dalle battaglie. Perfino i contadini… partecipavano come semplici fanti alle azioni belliche; i mercanti, al contrario, ne erano esonerati; essi non conoscevano i profondi legami di fedeltà e di dipendenza che legano i contadini alla sorte dei propri feudatari; in un certo senso i mercanti erano dovunque stranieri, dovunque soli e sciolti dal comune interesse”.
Oggi il popolo cinese, tramontate da tempo le sue antiche tradizioni, svanito, dopo aver causato milioni di morti, pur impregnato da un certo qual sentimento nazionalistico, pare occuparsi solo di aumentare il proprio benessere materiale, non si può dire quanto tutto ciò potrà durare. Su di esso si appuntano gli sguardi delle varie chiese cristiane che sperano di trovarvi masse di convertiti che permettano loro un’ulteriore sopravvivenza.
ALFONSO DE FILIPPI
1) Questo agile volumetto contiene anche accenni al fatto che alla fine degli anni 60 del secolo scorso i circoli ebraici statunitense ebbero a proibire all’URSS di sferrare un devastante attacco alla Cina, attacco che avrebbe posto fine per secoli, al “pericolo giallo” a vantaggio di tutti i popoli bianchi!
2) Segnalo anche un libretto firmato Ali Aliabadi(!) <On Martial Arts, Zen and the Blue-Eyed, Red Bearded Barbarian> edito da Ostara Publications nel 2012, vi si sotiene che appartenessero a codesti “barbari dagli occhi azzurri e dalla barba rossa” i maestri delle arti maziali cino-giapponesi, e che tipi simili fossero frequenti tra la nobiltà dell’estremo oriente
3) Possiamo fare delle utili riflessioni sul problema delle aristocrazie “Faremo osservare…, come la classe cosiddetta aristocratica rappresenti qualche volta un elemento antropologico estraneo, almeno originariamente, alla compagine razziale nazionale, poiché può essere immigrata per ragioni politiche, militari, e perciò i suoi rappresentanti si distaccano, come tipo, dalla massa della popolazione. Questo fatto può generare degli errori di interpretazione antropologica, facondo credere ad una differenziazione prodotta da una particolare selezione nell’ambito della compagine razziale, selezione che non esiste per la ragione detta.”. Su di un piano più generale cfr. G Pullè <Razze e Nazioni> Vol.I pag.43.(CEDAM, Padova,1939) “L’elemento razziale costituisce un fattore di primo piano nell’evoluzione dei popoli e delle nazioni come in particolare della formazione delle classi dominanti e delle aristocrazie”. R.Battaglia in <Razze e Popoli della Terra> a cura di R. Biasutti, UTET, Torino 1967, Vol I pag.333. Il riscoprire il “concetto” di “aristocrazia” (naturalmente a noi interesserebbero soprattutto le aristocrazie guerriere) dovrebbe, a giudizio di chi scrive, far parte dell’elaborazione delle dottrina di quello che si potrebbe definire “Fascismo dorico” e, a tal riguardo, anche chi fosse preoccupato del “pericolo giallo” potrebbe trarre qualche suggerimento anche dall’antica Cina!
4) “Per propagare il verbo dalla pace di Gesù, i Cristiani hanno fatto più morti di Attila, e Gengis Khan messi assieme” Indro Montanelli in <Il Giornale> 10/7/1990
5) “Or dunque uccidete ogni maschio tra i fanciulli, e uccidete ogni donna che ha avuto relazioni carnali con un uomo; ma tutte le fanciulle che non hanno avuto relazioni carnali con uomini, serbatele in vita per voi” Numeri cap.31 17-18. “Nelle città di quei popoli che il Signore, il tuo Dio, ti dà come eredità, non conserverai nulla che respiri” Deuteronomio 20-16 “La Chiesa trae il suo sostentamento dalla radice di quel buon albero d’ulivo, il popolo d’Israele, sul quale sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico dei Gentili.(cf. Rom.11:17-24) Fin dai primi giorni della Cristianità, la nostra identità e ogni aspetto della nostra vita e del nostro culto sono stati intimamente legati con l’antica religione dei nostri padri nella fede.” Benedetto XVI
6 Comments