L’ultima fatica di Gianfranco de Turris, Qualcosa d’altro. Racconti 1986-2000, nelle librerie per Bietti, è opera davvero importante. Nelle sue pagine de Turris ha trasferito una messe enorme di letture, una sorta di borgesiana Biblioteca di Babele del fantastico, rielaborata in modo originale e trasferita al lettore in una prosa affabulatrice e coinvolgente.
Lo scrittore bellunese sapeva che il mistero, l’irrisolvibile enigma della vita, è sempre davanti ai nostri occhi. Si pensi al suo racconto che ha per protagonista una goccia d’acqua che, sottraendosi alle leggi della fisica, sale le scale! La letteratura fantastica italiana è sorta attorno alla consapevolezza, tutta shakespeariana, che le cose non sono mai quello che dicono di essere e la loro “sostanza” è il sogno! Il libro di de Turris è articolato attorno a tale visione.
Nei racconti, inoltre: «sono quasi sempre adombrate esperienze personali […] Gli spunti sono nati quasi sempre da sensazioni ed esperienze […] dalla suggestioni di luoghi, persone ed eventi insoliti» (p. 244). Sia chiaro, la vera protagonista del narrato è la natura, la physis, esperita nella sua ambiguità di potenza creatrice e distruttrice. Essa è il “luogo” nel quale il Principio si concede e, allo stesso tempo, si sottrae, in un gioco cosmico di continui rimandi. Lo si evince con chiarezza in Meridies, racconto nel quale sono incastonate gemme letterarie tratte dalle Bucoliche. Nell’assolato pomeriggio estivo, tra campi di grano ed avena, il protagonista segue strani movimenti d’aria che si mostrano tra le spighe. Giunge presso i resti di un antico ponte e scopre un’iscrizione rinviante al Genius loci degli Equi, che avevano abitato quell’area prima dell’arrivo dei Romani. L’atmosfera panica, rende il personaggio partecipe di qualcosa di indefinibile, lo apre al Principio agente nella realtà.
In Ferragosto, il lettore si trova, invece, al cospetto dell’inaspettata prossimità del perturbante. E’ la storia di un uomo che spera di godere di libertà e solitudine, in quanto la moglie, come ogni anno, parte per le ferie. Solo le telefonate della donna, indotte dalla gelosia, avrebbero potuto distrarlo dal meritato otium. Si approvvigiona, per evitare inutili uscite, di un numero rilevante di scatole di carne. Oggetto usuale, inoffensivo, simbolo della modernità. All’improvviso, prova una sensazione inquietante: gli pare di essere assediato e circondato. Un rumore sordo, proveniente dalle scatole, aumenta di intensità e la carne inizia a uscire dai contenitori, spandendosi sul pavimento. Lo strano materiale rosato aumenta di volume, al centro sembra palesarsi una bocca. L’uomo si ricorda della pubblicità: «Meat vi piacerà e voi piacerete a Meat! Diventerete inseparabili», ma non fa in tempo ad avvedersi che due enormi fauci si spalancavano ormai davanti a lui… Centrale e bellissimo il racconto, Il vecchio che camminava lungo il mare. Il protagonista, incuriosito da un vecchio che sulla battigia, da trent’anni, raccoglieva pezzi di vetro levigati dal mare, vuole saperne di più. Si reca, pertanto, alla baracca dell’uomo, che pareva attenderlo. Questi gli rivela il proprio segreto: stava costruendo con quei vetri l’immagine del proprio Paradiso perduto, quello a cui solo lui era destinato e che avrebbe raggiunto di lì a poco, a lavoro concluso. Trovare la “porta” verso l’Altrove, questo il senso della vita. In, Spettacolo di marionette, de Turris mette in luce la struttura profonda della temporalità, la sua dimensione ciclico-sferica e non lineare. Lo fa presentando una storia d’amore intrecciata alla ricerca, dai tratti onirici, del Necronomicon da parte di un cronista, in una libreria antiquaria di Roma.
L’impossibile si mostra in modo esemplare nelle pagine di, Autobus, in cui si narra di un bus del servizio pubblico sul quale, in un giorno di sciopero, salgono dalla porta posteriore un numero considerevole di persone, ma quelle che scendono, spariscono alla vista del narratore. Per di più: «L’autista crumiro guidava imperterrito ma davanti a lui […] Francesco non vide nulla. C’era soltanto il vuoto» (p. 39). Ne, Il manoscritto trovato in un cimitero di automobili, emerge un’evidente critica del macchinismo moderno. La modernità quale epoca di pauperismo spirituale, come ha scritto de Giglio, de Turris cerca di sconfiggerla: «con la parola, che mette l’essere “in relazione”, spinge fuori dall’isolamento e trasmette il vissuto personale, l’emozione […] come la “nostra” tradizione» (p. 258).
Ci auguriamo, allora, che questa silloge narrativa non sia l’ultima firmata da de Turris, né prova finale di un solitario pessimista. In sintonia con lui, siamo convinti della possibilità dell’impossibile.
Giovanni Sessa