11 Ottobre 2024
Tradizione Valentini

Quando ad Eleusi Dioniso rinasceva in Apollo

La consapevolezza, quella di una dimensione intellegibile, di un’Unità primaria che non possa essere in alcun modo analizzata né considerata con i riferimenti profani dell’umana esistenza, cioè utilizzando i parametri del tempo e dello spazio o del volume, ha sempre assunto con sé l’idea simbolica di una caduta, di un cedimento, di uno smembramento, ma con una conseguente rinascita, un’eroica affermazione di potenza, di volontà dominatrice che riconduce il molteplice alla primordialità Unità. Tali realtà hanno avuto come aristocratica manifestazione il mondo al quanto criptico, volutamente e significatamente occulto, dei Misteri Antichi, che, attraverso le loro tante e diversificate forme – da quelli orfici a quelli egizi, ai più celebrati di Eleusi, fino a quelli solari, imperiali e di stato di Mithra – e attraverso i diversi autori che ce ne hanno tramandato le mitologie di fondo e le vive esperienze seppur limitate dallo status iniziatico e riservato degli stessi, hanno esplicitato una comune origine trascendente, un comune riferimento archetipico, quindi un simile fine magico-realizzativo. Non è casuale, la stretta correlazione mitologica che si può instituire tra diversi rami della misteriosofia, aventi differenti divinità di riferimento, anche e soprattutto per le diversa tradizioni a cui appartenevano, ma con simili funzioni simboliche, come, per esempio, accadeva nelle iniziazioni egizie ed in quelle eleusine: ”Dioniso fu anch’egli figlio di Giove, ed ebbe per madre Semele; fu lo stesso che Osiride presso gli Egizi, e Bacco presso i Romani; e perciò io lo chiamerò indifferentemente Dioniso, Bacco e Osiride” [1].

Tale è la presenza dell’Uno plotiniano nella figura di Zeus o di Giove, padre degli Dei in Grecia ed a Roma, o di RA, Dio Uno e creatore degli dei in Egitto. Tale è l’Assoluto alla massima potenza[2], avendo allo stesso tempo un’alterità immateriale, una presenza “una in molti”, fondamento della teologia che determina un’illusoria molteplicità in ciò caratterizza la conoscenza umana, quindi, discendente e non più cosciente di tale potenza: vi si manifesta l’idea della “trascendenza immanente”, momenti dialetticamente diversi, ma non separati, natura naturans e natura naturata, sempre riconducibili all’ermetico chiusura del Tutto, dell’Ordine Cosmico, rappresentato in alchimia dal serpente Uroboros. Qui vi è il segreto di ciò che procede, dell’unità organica dell’universo, della sua composizione, delle potenze varie ed infinite che lo compenetrano, da un’apparente frammentazione del potere supremo, del potere di Giove in potenze secondarie, che si caratterizzano per la mancata identità con se stesse, per un moto di propensione verso l’esterno, per l’acquisita e caduca capacità di generare altro da sé, quindi la diminuzione della potenza per il suo frantumarsi.

In ciò si configura la ροπή neoplatonica, il cammino ricurvo, la caduta, la persa stabilità ed identità, l’entrata in ciò che nel Timeo di Platone viene denominata la χώρα, “il ricettacolo di tutto ciò che si genera”, “nutrice della generazione”, che possiede le stesse indeterminazioni dell’Ente Supremo, essendo l’infinito Vuoto, contenente la materia che non ha forma e che solo la trova per la partecipazione in essa di ciò che proviene e si compone dall’alto, che le conferisce un limite: nella dottrina ermetico-alchemica è ciò che si riferisce al Dragone Verde, è la Materia Prima dell’Opera, la ΰλή aristotelica. Come Osiride era manifestazione del supremo RA, parimenti Dioniso era figlio e manifestazione di Zeus, essendo entrambi la figurazione simbolica dell’essenza demiurgica, dell’Intelletto, del νόυς, principio indivisibile che andrà a comporre l’anima. Osiride, ingannato dal fratello Seth, personificazione delle forze ctonie ed infere, viene catturato ed ucciso: sarà smembrato ed i suoi resti dispersi nel Nilo, come Dioniso dopo la sua lotta contro i rivoltosi Titani.

dionisio

A tal punto la riflessione sulla potenza del Divino si connette direttamente a ciò che comunemente si definisce la “passione dell’anima”, come dispersione energetica che non permettendo un forza centripeta né favorisce il dilatamento nello spazio, nel volume e nel tempo, quindi caratterizza un graduale ma preciso processo di umidificazione e di successiva solidificazione: ”E’ impossibile che la mente nuda possa prender dimora in un corpo terrestre, dato che questo non potrebbe essere susciettibile d’immortalità né possedere una tale virtùLa mente si veste dell’anima; l’anima, essendo divina, si veste dello spirito e governa il corpo…”[3] Si configura per l’anima, pertanto, una serie di acquisizioni che la letteratura antica ed esoterica ha associato alla formazione del soffio vitale, del veicolo, del porfiriano spiritus, cioè quel procedere nelle diverse dimensioni astrali e planetarie, assumendone le varie caratteristiche proprio di quel mondo acquatico, umido e lunare che sempre precede la pura incarnazione terrestre. Non è un caso, infatti, che proprio determinate divinità femminili, come Demetra, la figlia Persefone o Core, rappresentanti del potere germinante e di natura ctonia, come Priapo, associato al potere seminale, o Dioniso che li ricomprende tutti, siano associati a tale dimensione transeunte, mercuriale, che nel ciclo delle generazioni, nel suo eterno ritmo di vita e morte trova la propria vitale giustificazione. Con l’incarnazione in un corpo fisico si conclude ciò a cui abbiamo fatto già riferimento, cioè la ροπή, il cammino ricurvo, durante il quale progressivamente la memoria di ciò che si era andava e va man mano disperdendosi, essendo l’attenzione tutta polarizzata sulle casualità e le apparenze del mondo fenomenico, quindi, kantianamente, del mondo che non conosce in sé l’essenza del proprio esistere e che non reputa possibile andar oltre a quelle che sono le percezioni normali e profane dei sensi.

A tal punto dobbiamo affrontare la quaestio fondamentale dei Misteri, l’essenza viva della loro così celebrata ed importante esistenza nel mondo antico e ciò si riconnette alla profonda sensibilità che si aveva per il Sacro, per le sue determinazioni, per quanto era riconducibile all’origine stessa non solo della propria vita, ma anche della propria città, del proprio regno, dell’Impero: accedere all’iniziazione misterica significava volersi riunire con la radice prima e luminosa di sé, con quel Dioniso che era stato smembrato[4] e ciò era possibile farlo solo volendo deliberatamente ripercorre il processo di caduta al contrario, quindi una rinascita, una risalita verso quel monte ove si scorge il Sole all’alba. E’ d’uopo comprendere, perciò, che il neofita preliminarmente doveva attuare interiormente una morte rispetto al mondo profano, al mondo dei sensi e delle passioni. Non sarà inutile riprendere un approfondimento ed un preciso riferimento di Arturo Reghini[5], in cui si rammenta come argutamente Plutarco avesse messo a confronto i due verbi τελευτάν e τελείσθαι, che designavano rispettivamente il morire e l’essere iniziato, riportando, di seguito, un significativo passo di Apuleio: ”…Mi accostai al limite della morte, e calcata la soglia di Proserpina, viaggiai tratto attraverso tutti gli elementi; a mezzo la notte vidi il sole coruscante di un candido lume; mi accostai di presenza agli Dei inferi e superni e lì adorai da vicino…”[6]. La catarsi iniziatica era, a tal punto, il primo passo verso la vera iniziazione: essa si caratterizzata di diverse purificazioni, come la σΰστασις, che comprendeva riti espiatori, lustrali e preparatori. Simbolicamente si trattava di risalire la ripide parete del monte, partendo dalla più profonda vallata ed in questi termini crediamo sia al quanto utile ricordare come Dioniso dormì per tre anni presso Proserpina prima di danzare con le Ninfe, divinità che sovraintende sui morti ma che possiede anche un forte potere generativo. Nella dottrina ermetico-alchemica ci si trova di fronte all’intrapresa dell’Opera, dinanzi a quel Dragone Verde a cui abbiamo già accennato, col compito di resistergli, di non farsi imprigionare dalla sua massima capacità di corruzione e di generazione: ”Come il medico con le sue medicine purga e netta l’interno del corpo, da cui caccia il sudiciume, così i nostri corpi devono essere lavati e purgati da ogni impurezza, perché possa essere raggiunta la perfezione nella nostra generazione” [7]. Si ritrova in queste prime operazioni misteriche quella sfera umida, con le sue divinità, Demetra, Core, Proserpina, le Ninfe, ma con un sostanziale cambiamento di polarità. E’ espresso benissimo da Porfirio[8] come il valore operativo dell’umidità, dell’acqua abbia una duplice valenza, a seconda dell’attività o della passività con cui ci si pone verso di essa.

Abbiamo scritto abbondantemente circa il secondo senso polare che le figure lunari, acquatiche assumono nel processo di caduta, di smembramento del νόυς e di ciò che lo precede, nell’accoppiamento dell’anima col proprio veicolo, col proprio soffio vitale, ma ora è necessario sottolineare come il potere generativo, l’elemento acqua abbiano una valenza palingenetica, di purificazione, che non a caso sono associati al simbolismo dell’antro, della caverna, del mitreo, simboli del mondo in rivoluzione, che si rigenera. Ad Eleusi vi erano i Piccoli Misteri, celebrati nel mese di Anthesterion, rappresentanti una preliminare purificazione, ed i Grandi Misteri, essendo la vera e primaria iniziazione, celebrati dopo sei mesi dai primi, nel mese di Boedromion. In entrambi Dioniso presiedeva alla purificazione e se i primi erano associati a Persefone, i successivi lo erano alla madre Demetra[9].

Infatti, alla preliminare discesa negli inferi è riferito il mito di Persefone, rapita per nove notti da Ade, che era apparso da una voragine ed aveva trascinato la giovane ninfa nel suo regno sotterraneo, simboleggiando la prima operazione dell’opera al nero, la prima putrefazione del composto umano, è la vittoria di Seth, è il grado di Corax nell’iniziazione mithriaca, ove si annulla la volontà profana, il sentirsi ed il vivere in un mondo illusorio per avvertire primariamente e terribilmente la dimensione altra rispetto a quella fenomenica. Di seguito, in Demetra, dea delle messi, della primavera, nei Grandi Misteri eleusini si esplicita il principio di rigenerazione che dona vita non più mortale ma spirituale, iniziando quel processo di riconversione, di “centramento”, di ricomposizione del corpo smembrato di Dioniso[10]. E’ il passaggio, ricordato da Porfirio nella già citata Sentenza XXXVII, attraverso l’uso di differenti virtù, al corpo lunare, il quale, tramite adeguata ingnificazione, potrà elevarsi al corpo solare e poi a quello etereo, in un cangiamento ed in un avvicinamento sempre maggiore all’immaterialità, alla spiritualità perduta e ritrovata: ”Le anime che cambiano di corpo, appaiono ora sotto una forma, ora sotto un’altra: ma quando riesce a tenersi fuori dalla generazione, l’anima è unita all’anima universale” [11]. Una vibrazione che non si manifesta senza un ricordo, senza un’anamnesi, senza aver invertito la polarità della potenza, che torna a guardare a sé, a rivolgersi su di sé, nella sua stabilità, nella sua identità, che infrange la generazione, la nascita mortale, nel cui superamento vanno inquadrati sia l’evirazione di Attis sia la ricomposizione osiridea senza il proprio fallo, a voler, quindi, escludere il potere seminale, che precedentemente abbiamo associato a Priapo. La rigenerazione misterica, pertanto, era rivolto ai pochi che sapevano dignificarsi ed operare tale cambiamento di polarità magnetica e ciò si rifletteva su un preciso insegnamento circa le condizioni del post-mortem, che si presentava come riflesso dei vari gradi iniziatici, quindi, per nulla pervaso dalla desertica immortalità dell’anima, potendosi attribuire l’immortalità solo al Principio Supremo ed a chi vi si identifica, o dalla democratica reincarnazione di tutti: ”Felice chi possiede, fra gli uomini, la visione di questi Mysteria; chi non è iniziato ai santi riti non avrà lo stesso destino quando soggiornerà, da morto, nelle umide tenebre “[12]. Se all’iniziato dopo la morte era riservato un destino diverso dal comune mortale, allo stesso in vita era concesso il potere, davvero aristocratico, di realizzare gli stati di riascensione al Divino in piena attività e piena coscienza. Ad Eleusi al grado dignitario di Holokleros, in cui si sublimava la purificazione umida, si ridonava, secondo l’insegnamento di Eraclito, secchezza all’anima ed integrità a Dioniso: è l’ignificazione del Mercurio, è la fissazione del volatile dopo la volatilizzazione del fisso, è il malato che torna ad essere uomo rigenerato e forte. Non a caso l’Holokleros viene associato ad Asclepio, quale medico di sé e per gli altri, di colui che rigenerato può conferire l’iniziazione ad altri. Il medico, come l’auriga, è colui che ha saputo dominare le due forze, le due entità polarmente opposte di Zolfo e Mercurio, non eliminandole, ma armonizzandole o eroicamente sottoponendole alla propria superiore volontà ed indirizzando l’iniziato e la nostra analisi verso l’ultima trasmutazione.

L’ultima palingenesi ad Eleusi e nella gerarchia mithriaca era l’iniziazione regale, il divenire Pater, riconquistare alchemicamente la Regalità Saturnia Primordiale, attuare la Rubedo, quindi operare l’identificazione direttamente con ciò da cui lo stesso νόυς procedeva, cioè l’Uno. Egli è, secondo quanto riporta Porfirio, nella sua opera Sulla filosofia degli oracoli, Aiòn, l’Eternità, il Bene Supremo di Platone, l’Essenza Originaria, da cui si sono emanate le varie divinità della tradizione greco-romana. Nelle misteriosofia antica, a tal punto, si attua la Realizzazione Ultima, procedendo al di là delle statue dell’Anima e del Nous: ”Egli entra in intimo rapporto col Divino… egli si vede diventato il Divino stesso… vita degli Dei e degli uomini divini e perfettamente felici: lungi dagli altri che sono quaggiù, superiore ai piacieri di questo mondo, fuga dell’Uno verso l’Uno” [13]. Miticamente Dioniso, reintegrati tutti i pezzi del proprio corpo, torna a risiedere sul trono del padre Zeus, ma a tal punto non essendo più soggetto a determinazioni esterne, non più soggetto, come al sole naturale, ad un alba e ad un tramonto, trasmuta la propria essenza solare in essenza polare, quella del Sole di Mezzanotte che non conosce tramonto, si identifica nell’Apollo Iperboreo di Delfi, che è la via verso la dimora del Nume Supremo, dello stesso Padre degli Dei: ”Perciò sta bene al dio il primo dei nomi e così pure il secondo e il terzo: Apollo, infatti, per così dire, rifiuta la pluralità e nega la molteplicità, Ieios vuol dire che è uno e solo; quanto a Febo, è certo che gli antichi così chiamavano tutto ciò che fosse pure e casto”[14].

 

Luca Valentini

 

NOTE

 

[1] Dom A.G. Pernety, Le favole egizie e greche, p. 228, Edizioni all’insegno del Veltro, Parma 1999.

[2] Giandomenico Casalino, La prospettiva di Hegel, p. 58 , Edizioni Icaro, Lecce 2005, in cui l’autore specifica come l’Assoluto non sia cosa diversa dall’Essere, dimensione altra, ma come accade nella dottrina ermetico-alchemica, espressione di un’accresciuta fissità, di ancor più elevata presenza calorica dello Zolfo filosofale:”Porfirio intuì, infatti, che nell’ambito del logos apofatico il Bene-Uno è sempre essere, al massimo di potenza-δύναμις (Plotino), ma sempre essere…”.

[3] Ermete Trismegisto, Il Pimandro, p. 100, Sear Edizioni, Borzano (R.E) 1993.

[4] In tal senso risulta molto interessante e significativo un frammento di un rituale orfico che brevemente riportiamo di seguito:” Come s’agitano nell’Immenso Universo, come turbinano e si ricercano queste anime  innumerevoli che sgorgano dalla grande Anima del Mondo!  Esse cadono da Pianeta in Pianeta e piangono nell’Abisso la Patria dimenticata……sono le tue lacrime oDionysos…..Grande Spirito, divino Liberatore, riprendi le tue figlie nel tuo seno di Luce”.

[5] Arturo Reghini, La resurrezione iniziatica e quella cerimoniale, in Le parole sacre e di passo dei primi tre gradi ed il massimo mistero massonico, Edizioni Atanor, Roma 2002.

[6] Apuleio, Metamorfosi, XI, 23.

[7] Basilio Valentino, Le dodici chiavi de la filosofia, p. 75, Edizioni Mediterranee, Roma 1998.

[8] Porfirio, L’antro delle Ninfe, p.60-1 , Edizioni Adelphi, Milano 2006:”il miele viene adoperato per purificare, per preservare contro la putredine, e come simbolo della forza seduttiva del piacere che induce alla generazione; per questo è appropiato anche alle ninfe dell’acqua, come simbolo della purezza incontaminata delle acque, cui le ninfe presiedono, della loro virtù purificatrice e della loro cooperazione al processo generativo”.

[9] Sull’iniziazione eleusina rimane sempre una guida insuperabile il saggio di Victor Magnien, I Misteri di Eleusi, pubblicato dalle Edizioni di Ar.

[10] “…si trova, nella misteriosofia ellenistica, l’espressione ‘seminarium’ per il corpo magico, per il fatto, dunque, che questo non è un corpo particolare e fisso, ma piuttosto la possibilità attiva, il seme per infiniti corpi suscettibili, in via di principio, ad essere formati e ‘proiettati’ dalla sostanza mentale, per congrua trasformazione”, EA, La dottrina del corpo immortale, in Introduzione alla Magia, Vol. I, p. 219-20, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987.

[11] Plotino, Enneadi, III, 2, 4

[12] Inno omerico a Demetra 480-482, a cui possiamo associare il “non è dato immergersi due volte nello stesso fiume” di Eraclito.

[13] Plotino, Enneadi, VI, 9, 11

[14] Plutarco, op, cit., p. 190-1.

 

6 Comments

  • Anonymous 30 Ottobre 2011

    Quando considero i miei scritti, quelli che io stesso definisco “articoli da combattimento”, sono conscio di essere un guerriero della parola che ingaggia battaglia con i nemici della tradizione olimpica e indoeuropea, ma quando leggo un articolo come questo di Luca Valentini, mi rendo conto che, come insegnava Platone e conformemente alla tradizione indoeuropea, il guerriero deve inchinarsi al sapiente.
    Fabio Calabrese

  • Anonymous 30 Ottobre 2011

    Quando considero i miei scritti, quelli che io stesso definisco “articoli da combattimento”, sono conscio di essere un guerriero della parola che ingaggia battaglia con i nemici della tradizione olimpica e indoeuropea, ma quando leggo un articolo come questo di Luca Valentini, mi rendo conto che, come insegnava Platone e conformemente alla tradizione indoeuropea, il guerriero deve inchinarsi al sapiente.
    Fabio Calabrese

  • Anonymous 18 Agosto 2012

    Grazie Fabio. Luca

  • Anonymous 18 Agosto 2012

    Grazie Fabio. Luca

  • Anonymous 27 Aprile 2013

    Ieios – è un pyla iranico-indiano termine ante-quem nato dalla morfo-radice aios con significato di Rame da cui si ottiene il termine auves (rilucere) in relazione alla lavorazione dei Metalli . Pokorny

  • Anonymous 27 Aprile 2013

    Ieios – è un pyla iranico-indiano termine ante-quem nato dalla morfo-radice aios con significato di Rame da cui si ottiene il termine auves (rilucere) in relazione alla lavorazione dei Metalli . Pokorny

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