Nel quartiere in cui viviamo non manca quasi nulla. Un numero sterminato di bar, e supermercati, commerci, parrucchieri cinesi, ortolani nordafricani, una biblioteca all’interno di un elegante palazzo nobiliare. Librerie no, le due che ci provarono hanno chiuso. In compenso possiamo vantare una sede dell’ANPI – ospitata negli uffici del PD (ex PCI, PDS, DS) – specializzata nella presentazione di testi e documenti sulla guerra civile. L’ultimo tratta di una Spoon River partigiana, tanto per far capire come la “kultura” sia il pane quotidiano di lorcompagni. Pochi metri a monte possiamo contare anche su un circolo ARCI. Intitolato allo Zenzero, giusto un pizzico di trasgressione casalinga per attirare gli appassionati dei corsi di danza, da qualche tempo esibisce un variopinto lenzuolo su cui una mano malferma ha scritto con lo spray “Ius soli, una legge di civiltà”.
Non vogliamo qui impancarci in giudizi sulle norme relative alla cittadinanza, saranno gli elettori, speriamo, a fare giustizia degli spropositi sinistrorsi e clericali, bensì riflettere sullo slogan utilizzato. Legge di civiltà, proclamano all’Arci, musicanti di fila di un’orchestra stonata e sinistra organizzata, eterodiretta dai chierici del progressisticamente corretto. Eviteremo anzitutto di distinguere tra civiltà (kultur) e semplice civilizzazione (zivilisation), che è ciò di cui parliamo, troppo difficile da capire per i cervelli depositati gioiosamente all’ammasso del conformismo, delle parole d’ordine, della condizione ovina del “perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto” (Dio è morto, testo di Francesco Guccini).
Il compito che ci assumiamo è di riflettere su un tema che potremmo definire “essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà”, per citare di nuovo la celebre canzone resa più bella dalla voce suggestiva di Augusto Daolio. La prima impressione rimanda ad una frase di un’icona progressista, Barack Obama, il quale parlò una volta della “parte sbagliata della storia”, a proposito dei nemici degli Usa. Ovviamente, egli, insieme con l’America e il carro di Tespi libertario, liberale, democratico, progressista eccetera eccetera è schierato dalla parte giusta. Come se la storia avesse una direzione definita, la tessera di un partito o di una associazione culturale. Tutto è già scritto, l’astuzia della storia (Hegel) è nota solo a lorsignori, tutto è già determinato, inserito in un cloud informatico di cui essi soli conoscono la crittografia, talché il compito dell’umanità è unicamente quello di attenersi al copione, alla recita programmata. Applausi del pubblico, civiltà è fatta.
Passiamo gioiosamente dal meno al più, dal vecchio – orrore – al nuovo, dal prima (oscuro) al dopo (illuminato dalla luce della “civiltà”). Fu Leibniz, con ben altra maestria ad affermare che viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma non si riferiva ai segni dei tempi. Gli occidentali abbagliati dalla narrazione liberale e progressista predisposta dai superiori (i padroni del denaro e di tutto il resto) si sono persuasi di vivere in una sorta di luccicante mondo di Narnia. Nella saga fantasy di Clive Staples Lewis Narnia è “la felice terra con le montagne coperte di erica e le colline coperte di timo. Narnia dai molti fiumi e dalle splendide valli, con le foreste muschiose che risuonano del lavoro dei nani (probabilmente extracomunitari sfruttati, N.d.R.). Come è dolce l’aria. Una sola ora trascorsa laggiù vale più di mille giorni passati in qualsiasi altro luogo”. Come non condividere tanta felicità, dunque, attribuendo la cittadinanza a chiunque nasca qui, anche per caso, persino a chi non la volesse, e comunque a qualunque essere umano in grado di apprezzare la meraviglia e sorte di essere capitato, per scelta, necessità o fortuna, nel mondo incantato di Italnarnia.
Un musicista straordinario e sfortunato, Rino Gaetano, cantava a squarciagola “Il cielo è sempre più blu”. Intendeva il contrario, ovviamente, giacché l’incipit è chiarissimo “Chi vive in baracca, chi suda il salario chi ama l’amore e i sogni di gloria, chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria chi mangia una volta, chi tira al bersaglio chi vuole l’aumento, chi gioca a Sanremo chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno, chi ama la zia, chi va a Porta Pia, chi trova scontato, chi come ha trovato.” Che importa, il cielo è sempre più blu, o soldatini in marcia trionfale verso la civiltà.
Per la milionesima volta, hanno sequestrato il linguaggio ed impongono al significante (la parola) il significato opposto a quello vero. Quale sarebbe, dunque, questa magnifica civiltà che abbiamo conquistato e verso cui continuiamo ad avanzare con moto accelerato, nonostante l’opposizione dei retrivi, dei retrogradi e perciò incivili?
La prima cosa che ci viene in mente è una notizia apparsa nelle ultime pagine dei giornali ed in coda ai notiziari. Il giovinastro pugliese di 17 anni che per puro divertimento gettò in mare dalla scogliera due anziani del luogo, uno dei quali annegò, è stato condannato ad anni tre “di scuola.” Avete letto bene, tre anni, non di carcere né di riformatorio, ma di scuola. E’ giovane, poverino, non roviniamolo, la galera è brutta e certamente non lo rifarà quel brutto gesto. Strano davvero: si è giovani, ragazzi, fanciulli quando conviene per non pagare il conto, ma maturi, maturissimi in tutte le altre situazioni, compreso il tentativo imbarazzante di abbassare a 16 anni la maggiore età. La parola giusta nella fattispecie è omicidio; la vita umana, specie di un vecchio di Monopoli a carico dell’INPS, vale tre anni di scuola del suo assassino. Questa si è civiltà, ma certamente è scritto in qualche codicillo, in qualche piega nascosta di una delle norme – civilissime– che reggono la nostra convivenza. Ragazzi stranieri, rifiutatela la cittadinanza italiana, finché siete in tempo!
Gli appassionati di arte conoscono le opere di Francisco Goya, il massimo pittore tra il Settecento e l’Ottocento, tempo di rivoluzioni, rivolgimenti, grandi cambiamenti. Ne ricordiamo alcune del periodo in cui l’artista aragonese era preda dei suoi incubi peggiori: Crono divora i suoi figli, Il sonno (o il sogno) della ragione genera mostri, che ci sembrano assai adatti alla presente overdose di “civiltà”. Un altro quadro, enigmatico ed inquietante, suscita emozioni opposte da duecento anni: è “Il cane interrato nell’arena”, universalmente noto come il cane di Goya. Il muso di un povero cane fa capolino dalle tenebre, costituite da una superficie scabra che sa di terra e ocra. Cerca di emergere o sta per essere sopraffatto dal buio? Le orecchie sembrano abbassate (paura) o alzate (attenzione) a seconda di come lo si guardi. A questo assomiglia la civiltà tanto orgogliosa di sé da scavalcare ogni logica, cancellare ogni traccia, gigante dinanzi ai nani che sono tutti coloro che vi si oppongono. Anche l’eccesso di ragione ha generato mostri.
Credere che tutto si equivalga, che non si debba prendere posizione, affidarsi agli “esperti”, non pensare più con la propria testa, credere solo in ciò che può essere dimostrato e, per converso, a tutto quello che ci vomita addosso la civiltà dell’immagine, del consumo, della tecnica elevata a criterio di verità. Dicevamo del diritto che si trasforma in rovescio fatto di norme, sentenze, provvedimenti. No, non sono episodi di malagiustizia o disfunzioni, ma un sistema ideologico che parte da lontano. Lo chiamano civiltà, ma è “lenta, metodica corrosione dell’etica della responsabilità [che] ha portato ad una vittimizzazione generalizzata, per cui gli autori di atti anche gravi non entrano più nel circuito di colpa ed espiazione, ma in quello di disagio e di cura. Il libero arbitrio, la decisione sul controllo dei propri atti vengono ormai considerati parametri superati da una concezione terapeutica della società e delle relazioni tra i suoi membri” (Adriano Segatori, psichiatra e scrittore).
La psicologizzazione della giustizia è definita civiltà, le leggi che l’hanno permessa monumenti del nuovo diritto. Iniziò Michel Foucault negli anni 70, e la sinistra al caviale, intellettuale e “civile” ha fatto il resto, da salotti, cattedre e scrivanie di giornali, diffondendo lo stato di spirito che ha permesso la produzione di un apparato giuridico, nonché di un orizzonte di senso del tutto nuovo. E’ facile ricordare la tolleranza (un altro intangibile mantra del nostro tempo) nei confronti di ogni deriva, la perdita di pudore civile, la banalizzazione e la giustificazione nei confronti dei consumatori di sostanze tossiche (droghe, pasticche chimiche e simili), le retoriche sulle devianze, di cui è invariabilmente imputata una non meglio identificata “società”, l’indifferenza verso chi devasta, imbratta, sporca la convivenza quotidiana.
La civiltà di cui cianciano non è altro che la maschera della penetrazione scellerata del pensiero relativista e della sua amoralità distruttiva. Lo scopo è la disintegrazione di un ordine, per quanto imperfetto, con un caos diffuso e praticato, un’anestesia generalizzata intervallata dallo scatenamento delle pulsioni elementari, a cui va data una risposta innanzitutto spirituale e personale prima di attivare una resistenza morale ed il necessario contrattacco politico e civile. Per la mentalità corrente, costruita, manipolata e inclinata verso il basso con ferrea determinazione, civiltà significa, ad esempio, che la legge dell’uomo può tutto, trasformando in diritto qualsiasi idea, sproposito o capriccio. Il soggetto è l’unico sovrano, Io è Dio e si fa la sua legge, quella che lo gratifica più e meglio delle “proibizioni” di cui sarebbe fatta la vecchia (in)civiltà di cui ci siamo felicemente liberati. Un giorno aboliranno per legge la morte, già nascosta, tabuizzata, relegata in igieniche morgues affidate a personale specializzato, e la gente finirà per crederci.
Oggi la civiltà è tanto banalizzata da essere confusa con la moda, i bei vestiti, financo l’igiene personale (il nonno è incivile anche perché ignorava il deodorante), la capacità nell’ uso degli strumenti tecnici – di cui peraltro si ignorano i fondamenti – e naturalmente con il relativismo morale, la (falsa) mitezza comportamentale, la propensione ossessiva al dialogo, l’accettazione supina e avalutativa di ogni comportamento, l’abolizione del criterio di giudizio.
Nel caso dello Ius Soli, al di là di ogni considerazione di merito, la verità celata è un devastante miscuglio di buonismo e di impotenza. In un quadro nel quale si ha orrore delle decisioni quanto delle conseguenze dei propri atti, l’illusione drammatica, che diventa un crimine storico, è quella di risolvere il problema dell’immigrazione e quello dell’integrazione con un bollo sopra un documento. Siamo tutti cittadini, gli stranieri non esistono più, il mondo è uno solo, l’integrazione è cosa fatta: tutti italiani per legge. Questa è la modalità di soluzione dei problemi: negarli – pensiamo al messaggio mediatico e governativo secondo cui non vi è violenza o insicurezza, ma “percezione” della violenza e dell’insicurezza- o inserirli in un giudizioso disegno di legge che scaricherà la coscienza ma caricherà la società di problemi e drammi sempre nuovi. Se derubrichiamo il furto a semplice illecito amministrativo, non scompariranno certo i ladri, ma si smaltirà il lavoro dei tribunali e le statistiche si incaricheranno di dimostrare che la società è divenuta più onesta, ergo più civile. Il cielo è sempre più blu…
Anche il matrimonio omosessuale, spacciato come unione civile per non turbare troppo i parrocchiani, è una legge di civiltà. E’ davvero irritante, per il civilissimo uomo postmoderno, dover ammettere che la natura prevede per la riproduzione l’intervento di ambo i sessi, tanto più che i generi (sesso significa ormai attività sessuale!) non sono due, ma molti di più, sensazionale scoperta della nostra civiltà; ciascuno può scegliere per sé liberamente il genere che vuole assumere, anche più volte nella vita, come la marca delle scarpe e i gusti del gelato. Inoltre, per quale ridicolo motivo legato ad un buio passato ci vogliono un genitore maschio, detto anticamente padre, ed uno femmina, l’antiquata madre per l’educazione dei nuovi membri della società, una volta chiamati figli? Che siano due o anche più, tanto che lo Stato civile, riadattato attraverso altrettante leggi di civiltà, può parlare di genitore 1, 2, 3, a piacere e scelta individuale. Un supermercato dell’amore, della riproduzione e delle inclinazioni sessuali (chi siamo noi per giudicare l’attrazione?) da cui è proibito per legge dissentire.
E’ la civiltà, bellezza, e chi si oppone, oltre ad essere arretrato, ignorante ed incivile, è anche reazionario, populista e, ça va sans dire, fascista. Nessuno vuole essere dalla parte sbagliata della Storia, questa esigente signora che tutto sa e avanza imperiosa verso il regno del Bene, anzi del Meglio. Tuttavia, anche se tutti… noi no. Siamo ancora seduti dalla parte del torto, e proseguiamo con una breve meditazione sul concetto di civiltà.
Civile, da civis, è la persona che si riconosce membro di una comunità, ci sta dentro, prende posizione, decide entro un sistema di valori tendenzialmente stabile ma non cristallizzato. Sta diventando al contrario un’ossessione di massa la necessità compulsiva di negare le leggi di natura, fare a pezzi tutto quanto elaborato nel passato, costruire un universo totalmente altro, trasgredire per obbligo. Assurdità, ossimori, come il partito di potere in Messico, che si chiama Rivoluzionario Istituzionale.
Non è nuova, naturalmente, la tensione prometeica, palingenetica, ma è forse la prima volta che il fuoco viene attizzato e continuamente rilanciato da chi detiene il potere, ovvero da chi dovrebbe essere piuttosto interessato a conservare, mantenere l’ordine vigente, o, come il Conte Zio manzoniano, “troncare, sopire”. L’anomalia è tale che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per i civilissimi adoratori del progresso, magari far sorgere qualche sospetto, alimentare il dubbio, destare allarme. No, l’oligarchia al comando ha lavorato benissimo, cancellando con un perfetto lavoro di deculturazione i sensori intellettuali, il pensiero critico, la capacità volitiva della maggioranza. Scambiata l’istruzione con la cultura e l’informazione con la conoscenza, il gioco è fatto.
Siamo tanto civili che consideriamo arte il Taglio di Lucio Fontana, i barattoli della Merda d’artista di Piero Manzoni, geniali creazioni l’espressionismo astratto alla Jackson Pollock – sostenuto dalla Cia in opposizione al realismo socialista – ignorando, o peggio, non sapendo più riconoscere per chiusura mentale Leonardo, Dante, Shakespeare, un violento, antisemita e maschilista, dicono all’Università di Cambridge! Anticaglie, simboli estetici di un passato segnato dalle preferenze dei “maschi defunti europei bianchi”, come recitano le litanie dei necrofori della nostra civiltà, quella vera. Questo tempo innalza rapper e musicisti drogati, ignora Bach e considera scienza la tecnologia.
Sono leggi di civiltà anche quelle che hanno fatto della scuola ciò che è, non solo in Italia. Un distributore a gettone di lauree e diplomi che non educa e neppure insegna, impartisce stancamente un sapere basso, disincarnato, strumentale, impermeabile al ragionamento critico, che sostanzialmente impedisce la circolazione delle élite, i cui rampolli studiano all’estero o negli istituti di eccellenza, spreca il capitale umano della nazione e abbandona i figli dei ceti meno abbienti al punto di partenza. Ciò che viene diffuso è l’acquiescenza alla nuova dogmatica del declino spacciato per crescita, della cancellazione di ogni traccia di decoro, decenza, educazione al bello. Tutte impronte dell’evo oscuro da cui ci ha liberato la trionfante civiltà, la Nuova Atlantide capovolta di Bacone che ha fatto dell’Occidente la sua decadente Bensalem.
La civiltà di cui allo Zenzero sono vassalli, anzi servi della gleba è la stessa di chi si guarda nell’acqua inquinata dello stagno come Narciso e si trova bellissimo, tanto da immortalare l’evento con un “selfie”. E quando non si piace più, si maltratta sino all’autodistruzione, come le modelle anoressiche, i dipendenti da droghe, sostanze e paradisi artificiali. Al pari del personaggio di Oscar Wilde, il ritratto di Dorian Gray resta eternamente bello e giovane, mentre il corpo mostrerà rapidamente i segni del decadimento fisico e della corruzione morale del protagonista. Nella società dello spettacolo, la realtà è la sua immagine, ma alla verità non si sfugge, come fa capire lo stesso Lord Wotton, il cattivo maestro di Dorian Gray: “Ora, ovunque andiate, voi incantate il mondo. Sarà sempre come oggi?”.
Diventiamo ogni giorno più simili alla debosciata nobiltà di Versailles del XVIII secolo: una continua vacanza esotica tra i giardini, feste, emozioni sempre più forti, vestiti eleganti e bizzarri, parrucche, belletto, trucco, profumo a coprire il cattivo odore della sporcizia materiale, spia di quella interiore. Oppure, somigliamo alle zucche vuote con i buchi di Halloween, la ricorrenza che ha sostituito senza colpo ferire Ognissanti senza neppure che i più ne conoscano origini e significati; esattamente come per tutto il resto, ci si lascia vivere in un lindo, civilissimo vuoto.
Una corruzione morale favorita anche dalla diffusione delle droghe. E’ ampiamente dimostrato che l’acido lisergico (LSD), beniamino della generazione del 68 fu sintetizzato, reso popolare e distribuito attraverso i canali dei servizi segreti americani. Lo ammise esplicitamente il suo stesso guru, Timothy Leary. Le responsabilità di costoro sono immense, nella destrutturazione di intere generazioni, nel degrado e nella morte di un numero incalcolabile di giovani europei ed occidentali. In nome della civiltà, l’uso di diverse droghe è stato depenalizzato, le conseguenze sulla salute – fisica, morale e psichica – banalizzate e minimizzate dai più vari ambienti, il cosiddetto proibizionismo è stato screditato o schernito. La cocaina è di uso comune tra i ceti dirigenti – renderebbe, dicono, più sicuri, attivi, performanti – le mille droghe chimiche sono pressoché generalizzate nel santuario per eccellenza dei più giovani, la discoteca, vietare non sarebbe in linea con l’orientamento libertario dominante e, manco a dirlo, con la civiltà.
Altra legge di civiltà è sicuramente quella che ha legalizzato l’aborto, ribattezzato interruzione volontaria di gravidanza, un eufemismo che farebbe sorridere se non si trattasse della vita. Non siamo tra i talebani dell’anti abortismo, sappiamo come in talune circostanze esso sia una triste necessità, ma non accetteremo mai che sopprimere una vita nel suo nascere sia un diritto soggettivo ed indisponibile della madre (genitore 1), senza diritti per il padre (genitore 2, o incerto, o eventuale), senza alcuna possibilità per la società di dire la propria. Poiché, in fin dei conti, la riproduzione sociale si basa sulla nascita dei nuovi membri.
Ormai rassegnati i cattolici, restiamo sempre stupiti del silenzio dei laici e degli atei. L’aborto espelle un grumo di cellule, un feto che è in potenza un essere umano e loro tacciono, negando a quel soggetto l’unica possibilità a disposizione, nascere alla vita materiale. Immaginiamo tuttavia che riconoscere come sovrano ed inviolabile il diritto soggettivo della madre sia un gesto di civiltà. E sì che in un tempo tanto istruito, informato, colto, sapiente e riflessivo non dovrebbe essere difficile evitare con mezzi diversi le gravidanze indesiderate. Ma astenersi da fornire qualsiasi criterio di giudizio, prospettare, non diciamo imporre o divulgare, valori o principi generali, norme di comportamento è considerato l’atto di suprema civiltà. A questo siamo.
Infine, leggi di civiltà devono essere pure quelle che costringono al precariato, alla sotto occupazione o all’emigrazione le generazioni presenti, e, se ci saranno, quelle future. E’ civilissimo costringere al lavoro sino ad età avanzata e fornire un’assistenza sociale e sanitaria in rapido declino. Attese di mesi per visite ed esami che rendono un inferno la vita quotidiana di milioni di persone, le più anziane, le più deboli, le più povere. Intanto, dovunque si diffonde l’ipocrita, bugiarda preoccupazione per gli “ultimi”, una categoria assai dubbia e flessibile. Ma ai penultimi, ovvero alla gran massa delle persone normali, quelle che non rubano, pagano il dovuto, fanno il biglietto sull’autobus della vita e pagano tutti i loro conti esistenziali a piè di lista e con gli interessi nessuno pensa. Devono essere loro, gli incivili evocati dal lenzuolo del circolo Arci. Viviamo nella più civile, perfetta ed organizzata delle società umane: chissà perché si avverte dovunque il senso della fine imminente, della caduta finale. Stiamo morendo di civiltà.
E’ come nella malattia fatale di Ettore Petrolini, il grande attore romano deceduto a soli 50 anni. Era ormai allo stremo e la famiglia chiamò a consulto i migliori medici dell’epoca. Petrolini, al termine della visita, chiese loro il responso. Pietosi, i familiari risposero che l’avevano trovato in buone condizioni. “Meno male, almeno muoio sano!” replicò lui con l’ultima fulminante battuta di una gloriosa carriera.
ROBERTO PECCHIOLI