26 Giugno 2024
Attualità

Questione di vita o di morte – Enrico Marino

Khadija, al secolo Lara Bombonati, è una lombarda di 26 anni convertitasi all’Islam radicale che ha spinto il marito, Francesco Cascio di Trapani, ad andare a combattere e morire in Siria. Khadija è stata arrestata e sarà processata ma, in ogni caso, non potrà mai essere espulsa in quanto è italiana, come il resto della sua famiglia e, in particolare, le sorelle che le sono state complici durante la sua latitanza.

Ecco, questo sarà esattamente quello che accadrà, grazie allo ius soli, se un domani qualche immigrato naturalizzato divenisse un terrorista o un foreign fighter. Saremmo costretti a tenercelo (sarebbe italiano e quindi dovrebbe restare nelle nostre carceri, il luogo in cui più si alimenta il fanatismo) insieme a tutti i suoi parenti oltre il quarto grado, arrivati nel frattempo in Italia grazie ai canali privilegiati delle ricongiunzioni familiari e tutti immediatamente inseriti, a spese nostre, nel traballante e sempre più insufficiente sistema di welfare italiano.

Del resto, si è figli in primo luogo dei genitori e, tramite loro, degli avi e della storia da cui provengono. Poi si diventa figli del luogo e del tempo in cui si nasce. In linea di principio, invece, lo ius soli considera irrilevante la famiglia in cui un soggetto nasce o comunque meno rilevante il ruolo del padre e della madre rispetto al luogo in cui un bambino si è trovato a nascere e a vivere. Per questo la follia progressista ha pensato di collegare una sorta di ‘ius culturae’ alla cittadinanza data agli under 12 che abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola. Ma davvero si ritiene che possano essere sufficienti per una reale integrazione un riassunto fatto bene all’esame di quinta elementare, delle tabelline citate a memoria o le divisioni? E se anche fosse così, qualcuno ha avuto il dubbio che qualora il bambino, con regolare licenza elementare e successiva cittadinanza italiana, frequentasse predicatori di odio, in famiglia, in moschea o da qualunque altra parte, sarebbe integrato solo formalmente?

Sul piano pratico possiamo pur ritenere che chi nasce in Italia e qui cresce, va a scuola e ha come sua prima lingua l’italiano, possa essere considerato cittadino italiano, ma non semplicemente in virtù del fatto di essere nato da genitori stranieri, su suolo italiano, bensì perché a quel dato di partenza, che non attiene a nulla di costitutivo della sua identità, si è aggiunto un percorso di vita pluriennale e un’adesione via via consapevole alla cittadinanza italiana.

Ecco perché il fatto che giornali e Tv intervistino bambini nati in Italia da genitori stranieri, cogliendo il lato umano e drammatico di quelle esperienze, è un’operazione volgare e indegna, portata avanti con spregevole cinismo da chi, facendosi vergognosamente scudo con le facce e le storie di bambini, propaganda in realtà un sistema incontrollato di flussi migratori in cui anche coloro che non hanno alcun diritto a rimanere in Italia, seppure formalmente espulsi, di fatto restano nel Paese andando a sommarsi a tutti i vecchi e nuovi arrivi, contribuendo a formare un imprecisato esercito di irregolari, clandestini, accattoni, potenziali spacciatori e criminali. Per questo, mai come ora, la questione dello ius soli appare strettamente connessa a quella dell’immigrazione selvaggia perché la stragrande maggioranza di coloro che scappano dai loro paesi sono migranti economici, cioè futura mano d’opera a basso costo che è spinta a inserirsi nel nostro sistema economico e a rendere ancor più labili le certezze del diritto del lavoro grazie alla percezione reale di poter diventare in un breve-medio periodo cittadini.

Tenuto conto di ciò, dal punto di vista simbolico, approvare lo ‘ius soli’ sarebbe un formidabile affare per coloro i quali ci ritengono ‘il paese del bengodi’. L’idea di partorire in Italia per ottenere una futura cittadinanza sarebbe un incentivo incredibile per i poveri e i diseredati dell’intero Mediterraneo.

Nel frattempo, sono anni che i cittadini di questo Paese sono costretti a subire l’invasione senza alcuna possibilità di opporsi, senza che si possa affrontare il problema senza che coloro che si dichiarano contrari all’immigrazione vengano pregiudizialmente etichettati come razzisti e xenofobi e non scatti immediatamente il ricatto della carità evangelica e della solidarietà verso chi ha perduto tutto.

Carità e solidarietà che diventano un alibi quando l’accoglienza è messa da parte e si pensa alla ‘sostituzione’ di un popolo con un altro, quando emergenze che dovrebbero essere temporanee si trasformano in situazioni permanenti e in stanziamenti definitivi, quando nelle periferie piccole e grandi arrivano in massa clandestini, senza nessun ordine, disciplina, legalità, ed entrano immediatamente in concorrenza con i residenti, con pretese su beni realizzati e pagati dagli italiani.

Alla colonizzazione armata dell’Africa, praticata in passato dagli europei e tanto vituperata dai progressisti, oggi s’è sostituita la colonizzazione africana dell’Europa, sostenuta e incentivata dagli stessi progressisti, attuata non con la forza delle armi ma portata avanti con la sottile violenza di una non rifiutabile richiesta di aiuto.

Un aiuto, però, che più che chiesto è preteso e imposto come obbligatorio.

Si dimentica che, se esiste un diritto a emigrare, esiste un pari diritto dello Stato a gestire, regolare e respingere l’afflusso di gente che vuole entrare ad ogni costo.

Si dimentica che ogni popolo ha il diritto al proprio spazio, ai mezzi e alle condizioni che gli consentano di esistere e svilupparsi. Si ignora volutamente che ogni specie difende il proprio territorio e per quella umana, in particolare, questo è indispensabile non solo alla sopravvivenza biologica, ma costituisce un elemento fondamentale della sua identità di ‘popolo’. Perciò, quando ci viene ripetuto che i numeri degli immigrati sono esigui e sopportabili, non solo non è vero in assoluto, ma anche come percezione generale non è necessario che tutti i Comuni italiani siano strapieni di richiedenti asilo, perché è sufficiente e naturale a scatenare un giusto e naturale fenomeno di rigetto una presenza di stranieri comunque ‘ritenuta e percepita’ come eccessiva. Ho diritto a sentirmi invaso e a respingere anche un solo estraneo che mi entri a forza in casa, senza aspettare che arrivino a centinaia.

Peraltro, quando i vescovi italiani, assieme alla Caritas e alla fondazione Migrantes, sostengono che il nostro Paese non accoglie troppi immigrati affermano anche il falso. Ne “Il cambiamento demografico”, Editori Laterza 2011, a cura del Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, a pagina 174, si legge: “In alcuni decenni i figli di immigrati supereranno il numero dei figli di autoctoni. Allo stato delle cose, ciò è previsto in molte zone d’Italia intorno al 2050. La cosiddetta ‘italianità’ sarà solo un ricordo. Il paese è avviato a diventare multietnico e multiculturale in modo radicale.”

Questo progetto abominevole è quello che anima e coniuga le istanze convergenti di certo clericalismo progressista, radicato nella Chiesa di Bergoglio, e certa sinistra radicale, mondialista e filocapitalista.

Dietro queste compagini agiscono forze incompatibili con una concezione di Nazione e di Popolo intesi come un’unità imprescindibile, una comunità organica, come un insieme di individui dotati di un’anima e di un destino comuni; forze che gestiscono i poteri politici, di controllo e di informazione e che manipolano la verità e i numeri pur di conseguire i loro obiettivi. E’ notizia recente che secondo le stime ‘segrete’ del Viminale i clandestini in arrivo in Italia alla fine dell’anno non saranno i 250mila preannunciati (un numero già di per sé enorme) ma ben 400mila.

L’Italia non è l’America o l’Australia, non è una landa deserta e semidisabitata, senza storia, senza tradizioni, senza una propria fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio di umanesimo e civiltà che non si deve distruggere. Per questo, occorre che sussistano condizioni precise affinchè i pochi che possono essere accolti siano sufficientemente acculturati circa la realtà storica, umana, civile, culturale e giuridica del Paese e siano selezionati sulla base anche delle loro effettive e concrete condizioni di partenza.

Se è indubitabile che le prime vittime dell’integralismo e del terrorismo islamista sono gli stessi islamici, è altrettanto innegabile che la gran parte degli islamici arriva da noi risoluta a restare estranea alla nostra società e alla nostra realtà, sia religiosa che culturale, fermamente decisi a restare diversi da noi, ma con l’intima ambizione di farci diventare come loro. Si avvantaggiano delle opportunità concesse loro dalle società laiche e democratiche, ma intimamente le disprezzano e aspirano a modificarle. Inoltre, laddove esistono realtà di un islamismo temperato di laicità, come nella Siria di Assad, ovvero anche società teocratiche ma non inclini all’espansionismo, come l’attuale Iran, l’Occidente atlantista e la sinistra radicale hanno scelto di combatterli.

Questo ci espone alla convivenza con filoni islamici integralisti, che avanzano sempre nuove pretese, che già teorizzano la possibilità di un partito islamico, che interferiscono nelle nostre tradizioni, che rivendicano sempre nuovi luoghi di aggregazione, circoli culturali e moschee, che si rifanno a loro precetti religiosi in chiave giuridica, che richiedono il riconoscimento sociale dei loro esercizi rituali e dei loro momenti di preghiera, con i quali dovremmo stabilire rigide demarcazioni in chiave di diritti e doveri da un punto di vista civico, senza che ci si impegni oltre misura nel prestare positive collaborazioni alla loro pratica religiosa.

Va, infine, respinto il tentativo dell’Europa di confinare in Italia il problema dell’immigrazione mediante un irrisorio e offensivo aumento dei contributi nel recupero dei migranti e nella gestione dei flussi. Rischiamo in tal modo di diventare la Libia dell’Europa, aperta a sud e con le frontiere a nord rigidamente chiuse. Invece di soldi, abbiamo bisogno di una flotta europea che controlli le frontiere di mare, che blocchi e respinga i barconi e di rimpatri gestiti a livello europeo.

Qualunque ricetta che si discosti dallo scopo di bloccare ogni ulteriore ingresso di clandestini, in realtà, è solo un trucco per eludere il problema e rinviarne la soluzione. Se si verifica un’inondazione, occorre far defluire l’acqua e non razionarne l’ulteriore arrivo o cercare di spargerla ovunque. Se non vogliamo essere travolti dall’ondata dei clandestini e non vogliamo finire come popolo, dobbiamo recuperare un’iniziativa politica e strategica troppo a lungo lasciata nelle mani di un establishment profondamente antinazionale e determinato a distruggerci.

Enrico Marino

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