Racconti squadristi – titolo o sottotitolo di ‘Se non ci conoscete…’ –, gusto un po’ naif della parola, eco di quel fascismo da ‘strapaese’ tanto caro a Mino Maccari e Curzio Malaparte, eresia spavalda irriverente e un po’ cialtrona, diciamola tutta, erede diretto di alcune delle pagine più esaltanti di libri quali, ad esempio, il Diario di uno squadrista toscano di Mario Piazzesi o de Il soldato postumo di Marcello Gallian. Con animo fedele attento partecipe alla ricostruzione storica di uomini e accadimenti che furono il principio. Ecco, fra i tanti, Vecchia guardia, il diario di Ernesto Daquanno, di recente in nuova veste editoriale, da cui ha tratto particolari della giornata del 23 marzo 1919 anche se – nella legittima libertà dello scrittore – attribuiti ad un improbabile Sherlock Holmes presente. (Già dal titolo del secondo racconto Sherlock Holmes a piazza San Sepolcro). E non poteva essere diversamente il richiamo al romanzo picaresco ed epico per eccellenza, letteratura nazional-popolare, di quell’Emilio Salgari che ha nutrito la fantasia di più generazioni di giovani e giovanissimi e di adulti eternamente bambini. (Mio padre mi teneva sulle ginocchia, nel salotto ‘buono’ e mi leggeva di Sandokan e del Corsaro Nero ancora io incapace di leggere per mio conto).
Nel primo racconto, Fascio di paese (dove, in effetti, è la Bologna di Leandro Arpinati a fare da scenario), il giovane Achille scopre in Sante, altro giovane antesignano dello squadrismo della provincia emiliana, la comune passione per il ‘Ciclo dei pirati’ anche se il primo è attratto dal ‘fedele’ Kammamuri ed il secondo da Yanez de Gomera, il portoghese intento ad accendersi ‘l’ennesima sigaretta’. Così Giacinto, di lui si sta parlando, l’autore appunto di questi Racconti squadristi, si rende discepolo nello spirito e nella scrittura tra storia e favole, entrambe epiche. La biblioteca nella sua casa, i libri in disinvolte piramidi, fanno eco alle mie parole con i titoli gli autori le biografie il saggio le riflessioni e i tanti spunti e, seduto in poltrona, ci si ritrova a correre su strade polverose tra filari di vite e rigagnoli di scolo, sassi e buche a far sobbalzare il BL 18, con indosso la camicia nera, ‘pugnal fra i denti, le bombe a mano’… come, da bambini, bastava un giunco un ramo per saltare all’arrembaggio di galeoni spagnoli o sfidare le fauci della tigre.
Domenica scorsa, di tarda mattinata, siamo all’Ass. Naz. Volontari di guerra a presentare il libro di racconti Nei Meandri con due degli autori, Roberta ed io, in questa piccola sede da poco restaurata e che, tra labari e fotografie alle pareti, emana atmosfere di un tempo eroico ormai dimenticato dai più. Penso ai ‘nostri’ due marò in India da anni, prigionieri contro ogni diritto internazionale, a cui mandiamo sporadici messaggi di solidarietà via Facebook – il governo indiano trema! – o esterniamo minacce contrapponendo i bucatini all’amatriciana al riso al curry – e, sempre, il governo di New Delhi trema! -… Sanno, pur se politici stampa e quant’altro fingono di ignorarlo, che noi siamo gli eredi legittimi, stupidi e vili, di quel verbo inglese coniato subito dopo l’8 settembre del ’43 ‘to badogliate’. E pesa, per più generazioni, come aveva intuito Borghese, il Comandante della X MAS. Questa, però, è altra storia, quella che siamo costretti a subire, non la nostra, che di altro s’è nutrita ha creduto e per essa è andata ‘a cercar la bella morte’…
Viene anche Giacinto – me l’aveva anticipato – con una copia con dedica del libro e ci concordiamo per la presentazione, sempre qui dai Volontari e sempre in una domenica di mattina. Leggo: ‘A Mario squadrista, di ieri e di sempre con cameratesca simpatia’. E mi tornano a mente, sfogliando questi Racconti squadristi, gli stornelli dello squadrismo (strafottenti come sarà ‘canzone strafottente’ quella di Mario Castellacci dopo l’8 di settembre dove ‘le donne non ci vogliono più bene…’) che ho imparato a cantare, sedicenne troppo inquieto e tanto irrequieto. Già, uno fra i tanti, ‘Se non ci conoscete… guardateci all’occhiello – noi siamo gli squadristi del santo manganello! ’. E di zuffe ho cominciato fin da subito nonostante il fisico esile e un paio di occhiali dalla montatura spessa. E mi sentivo tutto fiero nel portare all’asola della giacca il distintivo della Giovane Italia, con il pugno serrato intorno alla fiaccola ardente. Ognuno di noi conosce l’inizio e il perché della propria storia. Così il libro di Giacinto ci racconta il tempo e i luoghi da cui si è preso l’avvio, ciò per cui molti di noi hanno affidato la propria giovinezza e non l’hanno più dismessa. (Ne Le Leggi, ultimo scritto di un Platone, ormai tardo e stanco, si legge: ‘L’inizio è sempre una divinità e, finché abita tra gli uomini, salva ogni cosa’). Sì, ci siamo messi la camicia nera e non ci va più di togliercela…
Fra i racconti non poteva mancare la Fiume dannunziana – titolo Il miele di Keller –, luogo storico e mitico al contempo dove tanto il fascismo fece suo in simboli e rituali e, purtroppo, anche fece meno di alcune delle proposizioni della Carta del Carnaro che l’avrebbero reso realmente ‘la poesia del XX secolo’ come l’ebbe a definire il poeta Robert Brasillach. Ed ecco spiccare la figura di Guido Keller, già pilota nella squadriglia di Francesco Baracca, (famosa la fotografia, riproposta anche qui, di Keller tutto nudo con un tridente in mano a imitare il dio Nettuno) e Giovanni Comisso, che divenne scrittore di rilievo nella prima metà del XX secolo. E suppongo che il nostro autore abbia tenuto a mente e preso spunto dal saggio Alla festa della rivoluzione di Claudia Salaris, artefice fra coloro che hanno ‘sdoganato’ Marinetti e il futurismo… E, tramite la tecnica del raccontare all’interno stesso del racconto, quasi un gioco di scatole cinesi, emergono episodi noti, quali, ad esempio, il sequestro del generale Nigra da parte di un manipolo di legionari, ed altri che appartengono, si può ipotizzare, al libero estro dello scrittore, pur sempre fedele ai dati raccolti. Un gioco, comunque sia, riuscito. Si legga del comizio di Mussolini in piazza Belgioioso tra uno scintillio di torce accese o a Lodi con i primi inevitabili scontri tra i fascisti, pochi, e i ‘rossi’, tanti.
Ci sono, poi, gli ultimi due racconti. Un libro di narrativa non si svela, sebbene non sia un romanzo noir o giallo ove solo nell’ultima pagina si scopre come, inevitabilmente, l’assassino sia il maggiordomo. Ed io mi attengo a questa regola. E d’altronde è sottinteso l’invito a leggere lasciarsi coinvolgere ritrovarsi fra uomini e accadimenti perché non scrivo se non di ciò che condivido amo stimo (raramente mi lascio trascinare dal gusto sterile della polemica o della critica. Ho pagato di recente sul piano del rapporto umano il prezzo di condividere la mia ‘penna’ e non intendo ritrovarmi a correre analoghi rischi). Ciò vale per questi Racconti squadristi… Essi sono sul fronte del Sì.
Dei due ultimi racconti, dicevo. Di questi due ultimi racconti – Venti anni dopo (e, sebbene precisa sia la temporalità, il richiamo al Dumas dei Tre moschettieri appare immediato) e Fascista, sì, fascista – che, pur conservando il medesimo stile, il taglio picaresco e il tracimare l’amore per il genere poliziesco (un racconto di Giacinto è contenuto in Sbirri di regime, antologia di genere), ti lasciano il sapore amaro di una storia, la Storia, che poteva doveva e noi avremmo voluto fosse diversa. E quel ‘noi’ va alla memoria di Berto Ricci e dei giovani della scuola di Mistica fascista e di Giuseppe Solaro (qui, rappresentato) e di Alessandro Pavolini con il sogno di dare vita ad un ‘partito di combattenti e di credenti’ insomma di quel fascismo ‘immenso e rosso’ (per citare di nuovo il poeta Robert Brasillach, a me caro).
‘Fascista, sì, fascista!’ (e perdonami, Giacinto, per l’accostamento), mi ritrovo di fronte l’immagine, l’ultima, de Il maestro di scuola in Atmosfere in nero. Scrive Aristotele come l’animo degli amici si fa unico… Così il comune sentire si rende e si manifesta in ciò che conta in ciò che vale nonostante vi siano cose che possono averci diviso (quel 16 marzo del ’68 alla Sapienza, ad esempio, bastoni e barricate… ahahah!). E qui l’autore abbandona le tante scene descritte, ruvide e incisive, di quello squadrismo beffardo e gaglioffo e irriverente del ’19 e degli anni antecedenti la Marcia su Roma; qui l’autore entra mani e piedi – meglio: con la mente e con il cuore – nella esaltante e nobile tragedia di quel ‘ritorno alle origini’ che fu di tanta parte del fascismo repubblicano. Vecchi squadristi e i balilla dell’ultima ora fianco a fianco per l’Onore d’Italia e per avviare la realizzazione di una compiuta giustizia sociale. Destinati a precipitare nel lavacro di sangue purificatore di tante scorie che avevano appesantito il Regime, che comunque seppe dare tanto al confronto dei cialtroni di oggi.
Un sacrificio inutile, preda della menzogna e dell’ottenebramento? Sì, se lo misuriamo con i grandi numeri della volgarità presente. No, se siamo noi qui, a scrivere (e mi viene voglia di rimproverare l’Editore per certe sue affermazioni troppo frettolose sull’assenza di narrativa ‘nostra’. Confesso che – non – mi sento offeso! Ahahah…) e a leggere e a presentare libri quali, appunto, ‘Se non ci conoscete…’. Non sarà tutta letteratura raffinata, tale da ricevere il consenso della critica i trafiletti sui giornali e qualche targa-premio, l’ammetto, ma ben vengano qualche incertezza espressiva e qualche modesto strafalcione e lo zoppicare di congiuntivi e punteggiatura. Come scriveva un poeta, allo starnazzare del pollaio preferisco lo stridio della rondine ferita o, icasticamente, alla Merlino: ‘Faccia al sole e in culo al mondo! ’. Sorrisi qualche lacrima e, grazie Giacinto, ‘se non ci conoscete…’, beh, meglio per voi ché siamo ancora lesti di lingua come lo fummo di mano…
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