Poveretto, dev’essere proprio allo sbando. Evidentemente i sondaggi per il referendum (quelli veri, quelli che affluiscono al ministero degli Interni) devono essere disastrosi. Disastrosi per lui, s’intende.
Non è servita la militarizzazione della RAI (oramai ridotta ad un megafono della propaganda governativa), non è servita la nuova campagna – inventata di sana pianta – sulle tasse che scendono, non è servito lo scandaloso “aiutino” dell’ambasciatore americano, non è servito nemmeno il servizievole impegno del presidente di Confindustria, giunto al punto di sconfessare praticamente le previsioni (realistiche) del proprio Centro Studi a pro di quelle (fantasiose) del Governo.
Non è servito tutto questo a intaccare la gagliarda maggioranza dei NO; e basta ascoltare la voce della strada per rendersene conto. Allora, vistosi perduto, il Vispo Tereso ha deciso di tentare il tutto per tutto: si è travestito da populista e si è gettato a testa bassa contro l’Unione Europea. Ma è una finta, chiaramente. L’Unione è la sua vita, lui esiste soltanto perché esiste l’Unione, a pranzo mangia pane e privatizzazioni, a cena pane e parametri di Maastricht, e durante la giornata ‒ quando avverte un certo languorino ‒ si fa un tramezzino con prosciutto cotto e “valori” dell’Europa. La sua credibilità come aspirante populista è paragonabile a quella di un Brunetta come aspirante corazziere.
Comunque, prima d’imboccare l’ultima, ripidissima china, il tapino aveva ripetutamente provato a percorrere sentieri meno accidentati. Prima aveva tentato di atteggiarsi a “grande”, invitando Merkel e Hollande a Ventotene per una gita fuoriporta gabellata per “vertice”. Pochi giorni dopo, era andato a dar man forte all’altro ragazzo della Via Pal ‒ l’ex ribelle Tsipras ‒ che fra le colonne del Partenone giocava anche lui a convocare “vertici”; lo accompagnava l’altro piroettatore latino ‒ il francese Hollande ‒ compagnone della Cancelliera ma pronto a recitare la parte dell’anti-Merkel alla scampagnata di Atene.
Alla fine, quando poi c’è stato un vertice vero (a Bratislava, con i capi di governo UE per la prima volta senza l’Inghilterra), Tsipras è tornato a fare il topolino, Hollande è tornato a fare la spalla della Kanzlerin, e il nostro mattacchione ‒ come s’è detto ‒ ha vestito i panni del contestatore, lanciando impropèri a dritta e a manca. Due le principali imputazioni che il Pifferaio dell’Arno ha mosso all’Unione: la politica di austerità e la politica dell’accoglienza. Naturalmente, la RAI e Mediaset si sono affrettate a rilanciare, con grandi squilli di tromba, le roboanti proposizioni renziane; e così anche la grande stampa, compresa qualche testata che teoricamente dovrebbe stare dall’altra parte.
Naturalmente, nessuno fra cotanto senno ha avuto l’impudenza di sollevare dubbi sulla sincerità della conversione renziana. I più arditi hanno dato notizia del benevolo buffetto della Merkel (“il documento conclusivo è stato approvato all’unanimità, quindi anche da Renzi”), ma nessuno ha osato chiedere al Pascolatore di Bufale Toscane dove trovare i soldi per passare dalla politica d’austerità alla politica di sviluppo. Eppure la soluzione sta lì, a portata di mano: basterebbe chiedere all’eccellentissimo governatore della Banca Centrale Europea di dare ai governi e non alle banche i miliardi di euro che mensilmente la BCE sforna con il quantitative easing, ed ecco trovati i soldi. Ma mi faccio prete se Renzi (o Prodi, o Napolitano, o Monti, o chiunque altro della specie) potrebbe mai trovare il coraggio di mettere in discussione i sacri comandamenti dell’alta finanza: i soldi alle banche, i debiti ai governi, i sacrifici agli Stati, la miseria ai popoli.
Quanto al secondo rimprovero di Renzi all’Unione Europea, ci sarebbe soltanto da ridere (ma anche da piangere). Il placido Cinguettatore, infatti, imputa all’UE la mancanza di una politica unitaria in materia di immigrazione, addirittura accusando i governanti degli altri paesi europei di provocare il caos. Fa finta di non capire ‒ lui che ritiene di essere furbo ‒ fa finta di non capire che a provocare il caos è in primo luogo lui, con la sua folle politica di “accoglienza”: continuando ad andare a prendere migliaia di cosiddetti profughi al limite delle acque territoriali libiche per portarli in Italia, facendo entrare un esercito di “migranti economici” che non sono “rifugiati” ma soltanto gente in cerca di una sistemazione, di un posto di lavoro (che non c’è), di una casa popolare (che non c’è), di un’assistenza sanitaria (che non siamo più in grado di assicurare neanche ai nostri).
Fino a poco tempo fa, il piccolo imbonitore fiorentino ha potuto farsi bello facendo entrare tutto e tutti, nella speranza che il maggior numero possibile di “disperati in fuga dalla miseria e dalle dittature” si spicciasse a varcare la frontiera e a dirigersi in un paese europeo un po’ più ricco del nostro. Ma poi, a poco a poco, i suoi colleghi degli altri paesi hanno cominciato a chiedersi perché cavolo dovevano continuare a perdere voti per consentire al ragazzotto toscano di fare bella figura con Bergoglio. Così, hanno cominciato a chiudere le frontiere. E non soltanto quei cattivoni dell’est (Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia), ma anche fior di democrazie occidentali: sia con referendum popolari che non lasciano scampo (dalla Svizzera all’Inghilterra), sia con semplici provvedimenti di tipo amministrativo; così ‒ per limitare il discorso ai nostri confinanti ‒ dopo la Svizzera, a chiudere i cancelli sono state anche la Francia e l’Austria.
Il risultato, naturalmente, è il caos. Il caos, in primo luogo, per l’Italia, che è ormai letteralmente invasa, oltre ogni ragionevole e tollerabile limite. E lui ‒ il ragazzino furbo ‒ continua ad assicurare la seconda parte del viaggio (gli scafisti si occupano della prima) a torme di nerboruti giovanotti, tutt’altro che smunti e emaciati. Sono loro che traboccano dai barconi, in attesa di trasbordare sui più confortevoli natanti della nostra Guardia Costiera. Li abbiamo visti tutti, in televisione: giovani, forti e minacciosi, di quelli che se li fai entrare non riuscirai più a “respingere” senza danni. Se ci fate caso, le riprese televisive “scivolano” su quelle poco rassicuranti truppe d’invasione, preferendo soffermarsi sulle poche donne (possibilmente con bambini piccoli o, meglio ancora, incinte) che ogni scafista che si rispetti include in ogni “spedizione”, così da fornire materiale “da commozione” per la regìa del buonismo televisivo.
Ecco il caos che il Vispo Tereso paventa, ben cosciente della sua realtà, della sua pericolosità. E ‒ da furbo quale si crede ‒ cerca di “pararsi la botta”, attribuendo ad altri le colpe che sono causate, in primo luogo, proprio da lui.