7 Ottobre 2024
Nietzsche Punte di Freccia

Ribellione e Disciplina – Mario Michele Merlino

Traggo spunto da un piccolo (senza volerne sminuire il senso) dibattito generato dall’amico Giacinto (ormai uso al gusto della provocazione), che, dopo aver postato un aforisma di Nietzsche, dal Così parlò Zarathustra, si dice poco convinto. Amante dello squadrismo, di quel primo fascismo becero e guascone, giocato sulla sfida il pugnale le bombe a mano e tante randellate, sentire che il termine ‘ribelle’ viene penalizzato, gli stringe il cuore e gli occhi vispi gli si iniettano di sangue. Infatti esso così recita: ‘Ribellione questa è la nobiltà nello schiavo. Obbedienza sia la vostra nobiltà! Un obbedire sia perfino il vostro comandare!’ (Della guerra e dei guerrieri, nella autorevole versione di Giorgio Colli e Mazzino Montinari). Chi mi conosce, sa come ami poco questa traduzione, forse filologicamente più rigorosa ma priva di ogni afflato poetico – e Nietzsche, dopo Platone e forse più di lui, è in primo luogo un facitore di poesia, nella accezione originaria del termine. Nella edizione del 1937, casa editrice Apuana, quella a cui mi rivolgo più volentieri, il sopra indicato discorso viene collocato in altra parte del libro, ma, ciò che più conta, al termine ‘nobiltà’ è sostituito quello di ‘distinzione’ e questo conta.

Il mio amico ed eroe, lo spadaccino dal grande naso, Cyrano de Bergerac, si rivolge al visconte (nella celebre scena a teatro e con il conseguente duello, accompagnato dal verseggiare) che s’era meravigliato e insultato (‘Ve’ che modi arroganti! – Uno zotico ch’esce perfino senza guanti, senza alamari, senza nastri, senza galloni!’): ‘Perché ce le ho di dentro le mie distinzioni! … io vo’ senza nulla che in me non splenda, senza – ombra, e mi son pennacchio franchezza e indipendenza –‘. Camicia nera, su il 18BL e per stradicciole polverose e tutte sassi, il giovane fascista descritto, ad esempio, da Marcello Gallian in Gente di squadra, ben s’accompagnerebbe con il protagonista della commedia di Edmond Rostand. Questione di stile, l’importante, e le distinzioni appunto.

Il definirmi ‘anarco-fascista’, che mi fa avere cari Robert Brasillach, come egli stesso si racconta ne Il nostro anteguerra, e un Berto Ricci (si ricordi le difficoltà che ebbe al momento di prendere la tessera per le sue frequentazioni ‘sovversive’) mi trasporta là dove la storia descrive quel mondo libertario, di questi folli e disperati e sognatori, ritratti con grandi barbe il cappello dalla tesa spiovente gli occhi spiritati… ma anche a Giuseppe Solaro, ad esempio, ultimo federale di Torino – ‘Nella guerra che è oggi universale dipende l’esito della rivoluzione sociale, la sconfitta o il trionfo del lavoro sul soffocamento plutocratico’ , di cui si ricordava recentemente il testo trasmesso via radio I ribelli siamo noi. E, poi, pur con qualche cedimento all’anagrafe – mai alla realtà che mi circonda di uomini vicende chiacchiere , spezzare la catena di servili accomodamenti rimane, romantico e anacronistico, il sogno di bastoni e barricate. E, sì, capisco l’insofferenza di Giacinto là dove il termine ‘obbedienza’ gli si confonde e, Pasolini docet (!), lo accosta al concetto di ‘omologazione’. L’ho scritto di recente, La locomotiva di Francesco Guccini e di Ivan Graziani Lugano bella, e se v’è in ciò della santa eresia, questa è lo schiaffo al mondo della destra borghese infida e vile, di cui il nostro Paese è pieno, lo rende soffocante e, di questo marciume, non ne avrebbe affatto bisogno…

Spartaco contro Crasso. La via Appia illuminata a giorno dai corpi degli schiavi ribelli, resi torce umane dopo essere stati crocefissi. Qualsiasi anelito a recidere le catene è sufficiente per nobilitare lo schiavo in rivolta? Forse no. C’è un richiamo di libertà dei bisogni, ma anche – e superiore, io credo – una pulsione di libertà dai bisogni. A chi rivolge gli strali il pensoso padre dello Zarathustra, nelle solitarie passeggiate lungo il lago di Selvapiana? E, poi – ipotesi ardita e al limite del paradosso –, le distinzioni tra colui che, schiavo, si rivolta e l’obbedire resosi nobile arte sono inconciliabili fra loro, nemici mortali (come sembrano divenire quando si trasformeranno in ‘morale’ – dei Signori la seconda degli Schiavi la prima) o sono stadi mutevoli dell’essere là dove il mondo è retto da principi (valori) gerarchici?

Ed, ora, accingiamoci a tratteggiare la distinzione dell’obbedire – invito di Nietzsche che ha amareggiato, sottile smorfia di disappunto, l’amico Giacinto. In E venne Valle Giulia, a conclusione, scrivevo, riportando un vecchio testo antecedente d’anni: ‘Tu sai cos’è la fedeltà, ti hanno detto che è servilismo’… Con il suicidio rituale (seppuku) di Mishima Yukio abbiamo rinnovato l’interesse verso la cultura del Giappone – non solo l’ammirazione stupita verso i kamikaze, ad esempio , attratti e coinvolti da quel mondo che ci si dischiudeva tramite la cinematografia di Akiro Kurasawa (dopo aver visto I sette samurai che delusione la sua versione western!). Il samurai è colui che si pone al servizio del daimyo, il signore feudale. Servire, questo il senso letterale degli ideogrammi che lo indicano – mentre bushi sta ad indicare il guerriero e ronin è quel samurai che è rimasto privo del suo signore. Nessuno scandalo. Fedeltà l’asse su cui ruota l’etica del bushi-do. D’altronde a cosa volgevano nel giuramento d’investitura gli ordini della cavalleria medievale (‘Il cavallo e la spada, la rosa e l’onore – furono compagni – fedeli d’amore’) e, in tempi più recenti e a noi cari, soldati con le rune a mostrina vantavano il motto ‘Il nostro Onore si chiama Fedeltà!’?

Tutto sta intendersi su ribellione e obbedienza – schiavo è colui che avverte esserlo e non colui che si pone gioioso e fidente al servizio di un’Idea, ripone la sua Causa… anche se questa è il Nulla, come voleva il filosofo Max Stirner, l’autore de L’Unico, testo caro al Mussolini socialista e al professor Merlino (alla faccia della modestia e degli imbecilli, suoi cultori!). Nelle celle di Regina Coeli mi sentivo ed ero un uomo libero, misurando tre metri per sei e avendo a confine sbarre e chiavistelli. E lo ero ben più rispetto all’oggi. Ancora: ammonisce Seneca: ‘Vivere militare est’. Dopo averci ricordato come dagli dei non occorre chiedere una esistenza priva d’affanni ma un animo grande (che in italiano diviene ‘’magnanimo’, ma con valenza di buonismo cristiano a declassarne il senso originario). E qual è lo zoccolo duro del soldato – del legionario di Roma o, si ricordino le parole dei granatieri di Federico II, di tutti coloro che in armi hanno fatto la storia di questa Europa – storia oggi miserrima ma che fu ricca di uomini di idee di lotte di vicende ? La disciplina. Disciplina formale, certo, d’apparente inutilità rozza brutale ma, come scriveva Aldo Salvo in Mal di Roma, un libro che avrebbe meritato più ampia divulgazione e maggiore ascolto, ‘La retorica, insegnavano, entra a calci in bocca ed esce pisciando, ma ciò che rimane dentro è parte di te’. Qui si rendono la forma e la sostanza – e ciò accade di rado – complementari. Ecco acquisire proprio senso l’affermazione di Seneca – simile all’uomo che indossa elmo e corazza ognuno di noi compie in vita un dovere, quello del cittadino e quello interiore – il dualismo, sovente conflittuale tra pubblico e privato è sconosciuto al mondo antico… Rivolta e dovere – entrambi assolvono ad un compito. Spezziamo, dunque, le catene d’ogni servaggio e ben saldi manteniamoci sulla prima linea della scelta ideale in cui possiamo ben riconoscere l’essenza aristocratica dello spirito. Le distinzioni saranno soltanto tappe della nostra battaglia – noi schiavi e non più servi; liberi nella nobiltà dell’impegno assunto. Nietzsche e i suoi aforismi sui labari in cammino…

Marcus Flavinius, centurione della II Coorte, Legione Augusta, al cugino Tertullius a Roma: ‘Ci avevano detto, quando lasciammo il suolo natale, che andavamo a difendere i diritti sacri che ci conferiscono tanti cittadini sistematisi laggiù, tanti anni di presenza, tanti benefici recati a popolazioni bisognose del nostro aiuto e della nostra civiltà. Abbiamo potuto verificare che tutto ciò era vero e, poiché era vero, non abbiamo esitato a versare il nostro sangue, a sacrificare la nostra giovinezza e le nostre speranze. Non abbiamo rimpianti, ma mentre qui ci anima questo spirito, mi dicono che a Roma si succedono cabale e complotti, che il tradimento fiorisce e che molti, esitanti, turbati prestano un orecchio compiacente alle peggiori tentazioni dell’abbandono e vilipendono la nostra azione.

Non posso credere che tutto ciò sia vero e tuttavia guerre recenti hanno mostrato a qual punto poteva, un tale stato d’animo, essere pernicioso e sin dove poteva condurre. Rassicurami al più presto, te ne prego, e dimmi che i nostri concittadini ci comprendono, ci sostengono, ci proteggono come noi proteggiamo la grandezza dell’Impero. Se le cose dovessero essere altrimenti, se dovessimo lasciare inutilmente le nostre ossa calcinate lungo le piste del deserto, stiano allora attenti alla collera delle legioni!’.

Nobiltà di ribellione e nobiltà dell’obbedienza.

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