Abbiamo già visto che ciò che serve per manifestare (carta e penna) ha una natura differente e può essere abissalmente distante da ciò che si manifesta (il pensiero e il suo significato), assurda quindi la pretesa di certi filosofi e dei soliti immanentisti di stabilire rapporti egualitari e interdipendenti tra i due fattori; il fatto che io sia anche l’inchiostro della penna, oltre al mio pensiero, questo non fa sparire la differenza della loro natura, né invalida il rapporto gerarchico a cui sono soggetti. L’unità posso realizzarla solo io e in me (come principio superiore), diventa assurda se è la penna che pretende di realizzare tale unità al suo livello, affermando che essa è anche il pensiero espresso e colui che lo ha concepito, mentre in realtà è un semplice elemento che serve per manifestare.
Il semplice far notare che ciò che serve per manifestare non ha nulla a che vedere con ciò che si manifesta, è “altra cosa” rispetto ad esso, questo equivale a sferrare un colpo allo scientismo modernoche èquasimortale, poiché esso è caratterizzato da un inguaribile riduzionismo (riduce tutto all’inferiore e al più elementare) a causa del suo invasamento quantitativo, riduzionismo favorito dal fatto che la quantità monta dal basso e quindi sembra essere la causa di tutto, mentre è solo un elemento d’appoggio, da qui le divergenze d’opinioni tra il fisico e il metafisico. Per il fisico l’atomo materiale
La questione sorta in filosofia tra l’idea “pensata” e l’idea “partecipata”, cioè realizzata esteriormente (manifestata), risente della solita impostazione sbagliata e per questo è stata risolta col solito immanentismo, mentre si tratta del banale processo manifestativo. Prima si concepisce un’idea, o meglio, un senso o un significato, poi si decide di realizzarlo a un certo livello, cioè di manifestarlo. La famosa questione dell’uovo e della gallina, se è nato prima l’uovo o la gallina, è una classica impostazione sbagliata. Dal punto di vista simbolico, l’uovo e la gallina simboleggiano l’essere “in potenza” e l’essere “in atto”. L’uovo è la possibilità suscettibile di manifestarsi contenuta potenzialmente nel principio informale iniziale, la gallina è tale possibilità manifestata. In tale questione si dimentica il “terzo incomodo”, il principio iniziale padrone dell’uovo e della gallina, che per questo non è né uovo né gallina. L’“idea assoluta” di Hegel è un tentativo di risolvere la questione dell’uovo e della gallina a livello puramente orizzontale o manifesto, senza far intervenire alcun “terzo incomodo” di tipo trascendente o non manifesto, e il tutto si è risolto nel solito circolo vizioso orizzontale, che però non risolve un bel nulla e rimanda tutto all’elemento inferiore. La “manifestazione” implica sempre rendere autonomo ciò che si manifesta e l’elemento quantitativo serve appunto a questo, a dare un’esistenza autonoma alla cosa pensata. Perché Hegel assolutizza l’idea, parla di “idea assoluta”? Perché se parlasse di “senso” o di “significato” sarebbe costretto a rimangiarsi l’intera sua filosofia. L’ “idea” è una semplice costruzione del mentale, mentre il “senso” o il “significato” sono potenzialità contenute nello Spirito; questo a un certo punto decide di dare una forma a queste potenzialità e fa questo servendosi del mentale, nascono così il pensiero e l’idea, i quali a loro volta possono rivestirsi di una forma sostanziale, dando forma all’elemento quantitativo informe. L’intero processo è gerarchico, procede dall’alto verso il basso, appunto per questo si parla di “realizzazione discendente”, da qui l’assurdità di negare il rapporto gerarchico e il rapporto trascendente, che sono la stessa cosa, perché la presenza dell’uno implica sempre la presenza dell’altro; la presunta “separatività”è relativa solo a un punto di vista inferiore, è conseguenza dell’assunzione di un punto di vista inferiore, perciò il mirare a risolvere tale separatività in orizzontale e in basso, questo implica già un sottile inganno, perché significa obbligare tutti a sottostare a questo punto di vista inferiore.
Il secondo principio metafisico fondamentale afferma che: “Un qualsiasi principio o potere creativo permane sempre trascendente e incondizionato rispetto alle cose che crea o manifesta, pena cessare di essere “principio” e di essere “creativo”. Molti non accettano la trascendenza perché l’accettarla, questo equivarrebbe a fare delle concezioni al Dio dei cristiani, ma questo significa essere vittima della nevrosi anticlericale; lo stesso vale per coloro che hanno avuto la geniale idea di mettere sul trono il caso e la necessità, sempre in polemica col Dio dei religiosi, e vale pure per la religione dell’uomo o umanismo dei massoni. Altri non accettano la trascendenza perché il vecchio paganesimo era panteista e siccome loro sono pagani, allora accettare la trascendenza equivarrebbe a rinnegare la religione dei padri, senza rendersi conto che se il vecchio paganesimo è stato surclassato dal cristianesimo, potrebbe anche essere perché era orientato troppo unilateralmente e troppo “crudo”, oltre che troppo limitato nelle sue vedute. Il “Grande Equilibrio” che governa il tutto non fa sconti a nessuno, ribatte colpo su colpo, ogni esagerazione è pagata con una esagerazione opposta e ogni errore è pagato con un errore opposto, è nell’interesse di tutti avere una visione equilibrata della realtà, cosa che si può ottenere solo ponendosi dei limiti, per esempio, non esagerando troppo nel tirare acqua al proprio mulino. Il “Grande Fratello” che stiamo subendo ha tutta l’aria di essere la grottesca parodia del “Grande Equilibrio”, è la solita imitazione scimmiesca, vogliono sostituirsi al “Grande Equilibrio” come amministratori della giustizia cosmica, questo è il senso del loro ridicolo e stupido buonismo e del loro “politicamente corretto”, ed è pure il senso della loro mania unificatrice. Il Vero, il Giusto e il Reale innanzitutto, indipendentemente da chi lo professa e dalla forma assunta, però tenendo presente che la verità incolore, a questo livello, è impercepibile e inesprimibile e il colorarla, fa venire in esistenza la questione dei gusti. La religione è un semplice rivestimento di qualcosa di più profondo, ma quest’ultimo è per sua stessa natura inesprimibile, perciò il pretendere di sostituire le tante religioni con un’unica religione, questo serve a poco ed è un assurdo logico, perché equivale ad imporre un governo monocolore delle coscienze, avendo la religione anche una funzione sociale (si tratta più che altro di impedire che gli individui danneggino troppo sé stessi a causa della loro ignoranza metafisica). Non si deve nemmeno credere che gli agnostici, gli atei, i razionalisti, i positivisti, ecc. possano risolvere la questione, perché anche costoro sono delle mentalità ristrette; i veri “spiriti liberi” sono coloro che lasciano le porte aperte, non quelli che si divertono a chiudersi le porte in faccia, questo implica una buona dose di umiltà, sul tipo: “Attualmente il mio grado di comprensione arriva fin lì, però non escluderei che di là dei miei limiti possa esistere dell’altro”. È molto più producente imparare a estrarre il “succo”, sapere andare di là dalle apparenze e dalla forma esteriore per percepire direttamente l’essenziale, il “succo”, che è il senso sottile che bisogna estrarre perché non è esteriormente evidente, questo implica possedere una facoltà intuitiva molto sviluppata. Dicono gli orientali: “Non si deve buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”; l’acqua sporca si può far corrispondere all’aspetto esteriore degenerato o alla forma consunta di una qualsiasi forma religiosa o tradizionale.
Dice il Guénon che ciò che è chiamato “Atto” e “Potenza” in senso aristotelico corrisponde all’ “Essenza” e alla “Sostanza”, che sono termini più corretti e suscettibili di un’applicazione più estesa degli ambigui “Forma” e “Materia”. In ogni essere vi è partecipazione di “Atto” e “Potenza”, l’”Atto” è ciò per cui egli partecipa all’Essenza e la “Potenza” ciò per cui partecipa alla Sostanza. L’”Atto puro” e la “Potenza pura” non possono trovarsi in alcun modo nella manifestazione, poiché essi sono gli equivalenti dell’Essenza e della Sostanza, che essendo il basamento della Realtà manifesta, non possono “apparire” esteriormente, restano immanifesti. Quando ci sono di mezzodiversi livelli di realtà, interviene sempre la trasposizione di significati: ciò che là è il “non manifesto”, che è tale per natura propria, trasposto analogicamente di qua diventa “l’immanifesto”, così la Realtà manifesta riproduce in sé, sia pure per semplice analogia, la distinzione originaria fra la Realtà non manifesta e la Realtà manifesta, che qua diventa la distinzione fra l’informale immanifesto e il formale manifesto.Allo stesso modo l’“Infinito” di là, trasposto di qua corrisponde meglio all’indefinito più che al finito, perciò si dirà: l’Universo ha un’estensione indefinita; la serie indefinita di numeri ecc.; i due tentativi opposti di chiudere completamente il finito (razionalismo enciclopedico) o aprirlo completamente (l’Universo è infinito), sono entrambi erronei.
Una certa filosofia moderna considera reale solo tutto quanto è “realizzato”, cioè è stato manifestato esteriormente in forma fisica definita, perciò l’ideale, l’informale, l’immanifesto e la Realtà non manifesta per tale filosofia sarebbero irreali o realtà virtuali; naturalmente per il metafisico è tutto l’opposto, vera e reale è solo la Realtà non manifesta, che costituisce il principio stabile e immutabile di tutto il resto. Facciamo un grossolano esempio. All’apice di tutto c’è una iniziale libertà di volere e di potere che esiste di per sé, senza essere obbligata a volere o a fare (Realtà non manifesta); più in basso c’è la mano con la penna che può muoversi liberamente sulla carta (informale immanifesto o indefinito che però appartiene già alla Realtà manifesta); più giù ancora c’è il testo scritto sulla carta, che è il formale e il definito e quindi è la vera Realtà manifesta. Quel che complica la comprensione è che ciò che è manifestato non è qualcosa di fisso come lo scritto sulla carta, ma è qualcosa di esistente e vivente in continuo movimento e cambiamento, ed essendo in grado di esistere in forma autonoma, questo ha determinato l’abbaglio in cui sono incorsi i moderni; però è evidente che la valenza e la potenza iniziale è incomparabilmente superiore a tutto il resto che segue, che non avrebbe mai potuto esistere senza quella, quindi è il vero Reale.
Antonio Filippini