7 Ottobre 2024
Punte di Freccia

Rimini, Rimini – Mario Michele Merlino

Da qualche parte ho letto una considerazione di Giulio Cesare. Egli afferma che non si necessita attendere il mattino successivo per stabilire se e come si è ben condotto il giorno appena trascorso. Di sera, chiusi nella propria tenda, presa la tavoletta e lo stilo trascrivere come s’è trascorsa la giornata. Come in uno specchio. E’ sufficiente? Non sempre l’immagine che si riflette e ci viene rimandata conserva fedelmente la realtà (esiste?) – quanti inganni illusioni gioco delle maschere ci accompagnano fino a confondere la presunzione di saper distinguere il vero dal falso… Nietzsche e i tanti ‘disvelatori’ (Schopenhauer, ad esempio, chi poi vi inserisce Marx e Freud, io penso a Max Stirner) ci hanno educato a percorrere le vie della conoscenza – e non soltanto queste chè la lezione vale per l’esistenza in sè – con la leggerezza (verso le cose non dell’essere, come rileva Brasillach) e la cautela e l’audacia di cui parla lo Zarathustra quando eleva a suoi simboli l’aquila e il serpente. Filosofia del sospetto.

Ripeto sovente che siamo orfani felici e fortunati delle ideologie, in particolar modo dell’illuminismo e del marxismo che tanta parte hanno avuto ed hanno nel dominare i passi della storia (in negativo il più delle volte). Non si tratta di dispregiare il ruolo della ragione, ma di diffidare della sua pretesa – e presunzione – d’essere interprete esclusiva e dominante, giudice severo, d’ogni nostra azione. Fino a trasformarsi nella ‘dea Ragione’ il cui compito principale era stabilire chi doveva far rotolare la propria testa nel cesto ai piedi della ghigliottina… Già Platone ed Aristotele, pur artefici di sistemi fondati sul Logòs, parlavano dello stupore di origine divina e della meraviglia che genera la filosofia. Prima, dunque, i sensi e i sentimenti e le emozioni gli occhi e le mani – il mondo magico delle vibrazioni, l’oscuro linguaggio de corpo –; poi norme numeri regole il più e il meno le descrizioni di universi possibili autogiustificazione e pensieri rasserenanti. Dioniso ed Apollo in contrasto e pur facendosi sponda con la nascita e la scoperta del senso tragico. Andare ‘al di là del bene e del male’ proprio per liberarsi da questa onnivora arroganza.

Il marxismo, già. Noi veniamo dal socialismo siamo per il socialismo del socialismo ci facciamo vanto e merito. O, forse, noi abbiamo inteso andare oltre il socialismo così come la storia ci ha mostrato uno dieci cento volti e sotto forme deformate, spesso, scomposte decrepite… ‘Come per andare più avanti ancora’, così Filippo Corridoni, questo ‘Don Chisciotte del sovversivismo’, chiudeva una delle sue ultime lettere dal fronte, prima di scomparire nel rovente incendio di uomini e mitraglia sotto monte San Michele. E, trent’anni dopo, Giuseppe Solaro, il giovane ed ultimo federale di Torino, prima di contrapporsi, nobile ascesi verso la morte, con la canea assassina, terrigna e bestiale ed orrida: ‘Dalla guerra che è oggi universale dipende l’esito della rivoluzione sociale, la sconfitta o il trionfo del lavoro sul soffocamento plutocratico’. E la guerra – quella eterna del sangue contro l’oro – continua. E’ questa l’eredità e questo il ruolo e l’impegno del ‘nostro’ socialismo – fascista e libertario. Di fronte, dunque, ad uno specchio ideale, chiusi in una tenda ideale, scriviamo con l’inchiostro oggi, ieri e forse domani con il sangue, se con lo zaino e l’arma in spalla siamo stati capaci di condurre ‘la bella battaglia’ – liberi felici fortunati. Come, però, sottrarci alla tentazione di assolverci e giustificarci, di lasciarci andare a sterile lagna o a porci su stupidi piedistalli? Testimoni di un tempo eroico. Guardare verso tutti coloro che seppero scegliere per non essere scelti (e questa, va da sé, è una lezione che trascende la storia il tempo le circostanze). Divenire ciò che con termine latino si indica ‘magnanimo’, grandi cioè di animo, appartenere al destino e di questo destino farsi carico come se fossimo stati noi – deliberatamente – artefici e non vittime. Ecco perché mi piace rovesciare l’assunto del Manifesto futurista ove si indica la volontà di glorificare ‘le belle idee per cui si muore’ in glorificare tutti coloro che sanno bene condurre la propria esistenza e se occorre ben morire. Amor fati, scrive Nietzsche; le idee sono in fondo un pretesto anche se, aggiungo, meglio tenerne strette in pugno alcune che nessuna. (Max Stirner confidava di poter trovare altri con cui condividere un tratto del cammino – nemesi: morì da solo e reietto in una Berlino che l’ignorava – senza che dovessero per forza agitare il medesimo vessillo. Eppure vi scorgo i segni di una maggiore grandezza in questa solitudine che in colonne in marcia vocianti…).

E mi vengono a mente i brevi versi di Franco Fortini riportati da Giano Accame nel suo libro edito postumo La morte dei fascisti: ‘Quel fascista a Torino – che sparò per due ore – e poi scese per strada – con la camicia candida – con i modi distinti – e disse andiamo pure – asciugando il sudore – con un foulard di seta’. Eleganza, certo, stile di vita, soprattutto consapevolezza che ‘solo la bellezza ci salverà’.

Allora ben vengano descrizioni del ‘migliore dei modi possibili’ idee tutte vere giuste belle sistemi organici concetti – ‘le radici profonde non gelano mai’, frase di Tolkien abusata, scavando si trova sempre qualcosa e, se non proprio un tesoro, certo ci si consola con origini miti leggende saghe – insomma ciascuno eleva il suo ‘iperuranio’, la ‘politeia’, ove ci si rende sommo governante, sacerdote e filosofo e re… Eppure prioritarie le emozioni i sentimenti le passioni – ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo per poi andare a riprenderlo’, ad esempio –, quelle ossa e carne e sangue, quel sudore e sperma, che sono doni finiti, esseri in divenire, esseri in cammino, esseri contro, il nostro destino, la misura del nostro valore, scomparire. E’ tutto; è già tanto.

Non le parole uscite dal cilindro come conigli, abili a nascondere (illusione inganno rinuncia) e a nascondersi (alibi impotenza frustrazioni), ma dottrine capaci di ergersi dall’azione – Benito Mussolini volle apporre sotto il titolo del suo nuovo giornale, Il Popolo d’Italia, una frase di Napoleone ‘La rivoluzione è una idea che ha trovato delle baionette’ -, vessilli lacerati e resi simbolo perché vi furono martiri ed eroi che si gettarono nelle piazze nelle strade in trincea (la bandiera della UE è brutta perché non vi è nessuno che per essa è pronto a sacrificarsi, solo mercenari a contratto o per ottenere straordinari). Nobile è Platone non tanto perché scrive La Repubblica, ma perché per ben due volte osa sfidare il tiranno di Siracusa proponendogli la sua realizzazione impossibile… Scrive lo scrittore giapponese Mishima Yukio: ‘Io sono un uomo che ha sempre provato interesse unicamente per i margini del corpo e dello spirito, per le frontiere’ ed io condivido con lui il medesimo sentire.

La giovinezza, quella fragile ed effimera dell’anagrafe, quella amara e immortale del nostro cuore e della nostra mente. Solo noi possiamo tradirla… Ovunque si vada a cercare i confini dell’identità, le radici della tradizione basta volgersi indietro là dove questa giovinezza s’è dichiarata s’è imposta s’è donata. (Poi viene tutto il resto con le vicende solari e l’onda del Mediterraneo – ‘il cavallo e la spada, la rosa e l’Onore mi furono compagni, Fedeli d’Amore’ – o le brume e le foreste del grande Nord – ‘Intorno al fuoco bevono buon vino i cavalieri ed il chiaror riflette i loro profili neri’).

E questa giovinezza deve essere la barra ove condurre fra i marosi del quotidiano la barca delle nostre lotte, in rotta verso ‘l’isola che non c’è’, pirati dal nero vessillo – come definiva il ‘nostro’ spirito, lo spirito fascista, già negli anni ’30 il poeta Robert Brasillach ‘anticonformista per eccellenza, antiborghese sempre, irriverente per vocazione’.

Filippo Tomaso Marinetti e i futuristi gettarono il seme – ‘Ritti su la cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!’ – e vennero i ragazzi del ’99 e gli arditi spavaldi e scanzonati ad attraversare il Piave con il pugnale fra i denti e le bombe a mano; poi Fiume l’irredenta, la Fiume di D’Annunzio, dei legionari tutti poeti e ,avanguardia estrema, della bellezza e della musica fattasi politica; ed ecco i reduci i combattenti salire su i BL 18, stornelli squadristi randelli revolver e qualche bottiglia d’olio di ricino, correre per stradicciole sassose e mettere in fuga sovversivi e cialtroni d’ogni specie; infine l’ultima leva, i balilla andare a Salò per l’Onore dopo l’8 di settembre con poche speranze e nessuna certezza di vittoria con l’emme rossa cucita sulla giubba o lo scudetto della Decima sulla manica della divisa. E anch’essi resisi poeti e assassini al servizio dell’Ideale, prima d’essere scannati come torelli al macello del 25 aprile… E la generazione successiva alla guerra perduta, bastoni e barricate, davanti le scuole e sulle scalinate di Valle Giulia (non resistevo a citarmi!), pronti ad un sì e ad un no. ‘Perché non vogliamo più essere i gladiatori della borghesia e del conservatorismo, e amiamo la libertà della nostra vita’…

(Rilettura degli spunti emersi dal mio intervento all’incontro su Identità e Tradizione svoltosi a Rimini, martedì 12 aprile, grazie all’invito dell’amico Ludovico Ciccarelli. Una sorta di tornare là dove ho trascorso tanta parte della mia infanzia adolescenza giovinezza).

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