In questi giorni di grave lutto nazionale, nel pieno di una lotta senza armi contro un nemico oscuro e poco conosciuto, il Covid-19, un virus sulla cui provenienza e natura siamo tuttora incerti, il popolo italiano ha trovato il modo di riscoprire il senso della famiglia e delle abitudini più tradizionali e folkloristiche, facendo ricorso a quell’immenso bagaglio culturale che conserva e mantiene ancora viva da millenni.
La pandemia che ha colpito il nostro paese, prima che gran parte dell’Europa e dell’intero pianeta, non è la prima della Storia e probabilmente non sarà l’ultima: la Natura che ci circonda e di cui siamo “ospiti” e tutori al tempo stesso è foriera da sempre di calamità e pericoli contro i quali la razza umana è sovente in difficoltà, perché impreparata o semplicemente indifesa, obbligata quindi a trovare rimedi per sopravvivere.
È un meccanismo, questo, che gli scienziati chiamano “evoluzione” e serve agli uomini (sia individui che in gruppi sociali organizzati) per rendersi migliori e più capaci nell’affrontare gli imprevisti della vita terrena e nel proporsi nuove mete ambiziose e perigliose.
Quindi l’uomo ha appreso da tantissimo tempo che, un po’ come la gazzella e il leone nella savana, ogni giorno deve trovare il modo di sopravvivere ai pericoli che la vita gli oppone e inventarsi nuovi metodi per rendersi l’esistenza più piacevole, comoda, significativa. E fatalmente, come recita un mantra che circola spesso ultimamente, l’uomo è costretto a uscire dalla sua “comfort zone” per darsi una opportunità di sopravvivenza, di crescita, quindi di evoluzione.
Nei momenti di crisi esistenziale, l’uomo spesso ricorre alle risorse più profonde e ancestrali, quelle che gli provengono dalla memoria inconscia o dalla cultura più antica che ha appreso. E quindi riscopre abilità e conoscenze che probabilmente derivano dall’esperienza dell’età megalitica, oppure si affida agli affetti più intimi o a quel senso di “amor patrio” che sembra riempire il cuore cantando l’inno nazionale o guardando un video delle acrobazie delle Frecce Tricolori. Tutte tracce del nostro antichissimo passato che riemergono nel “momento più buio” e, senza nemmeno che ce ne accorgiamo, ci guidano e ci accompagnano verso la soluzione del problema e l’accrescimento della nostra consapevolezza.
È come se in realtà noi conoscessimo già ogni cosa, avessimo già ogni risposta già scritta nella nostra mente o iscritta nel nostro animo. Tali erano le conclusioni cui era giunto Platone quando riteneva che le idee che albergano nel nostro cervello, in realtà, hanno origini altrove, nell’aldilà, nella grande saggezza degli Dèi e nella conoscenza spesso dimenticata che costituisce la più preziosa eredità degli antenati.
Il passato ritorna sempre, dunque. Anche se siamo proiettati verso le più inimmaginabili possibilità che il progresso tecnico può offrirci, in realtà sembra che compiamo un viaggio a ritroso nel tempo, nella nostra memoria: rivolti verso l’infinito (l’omega) ci ritroviamo al punto di origine (l’alfa).
Per esempio, tornando alla stretta attualità, si ricomincia a parlare di “eroi” che si sacrificano per il bene di tutta la comunità. Un concetto che in tempi moderni è stato accantonato perché troppo connesso all’età più antica, quella dei guerrieri e degli esseri divini che riempiono l’epica e la mitologia classica indoeuropea.
Ma chi sono in realtà gli eroi? I primi furono senza dubbio gli Argonauti, un gruppo di personaggi mitologici di estremo valore fra cui eccellevano Ercole e i Dioscuri: oltre all’impresa di recuperare il “vello d’oro” della fortuna tanto caro a Ermes, nel viaggio di ritorno intrapresero la circumnavigazione dell’Europa, che per alcuni scrittori dell’antichità corrispondeva all’area balcanica e italica, per altri invece allo spazio geografico che noi moderni identifichiamo con il nostro continente, delimitato a Oriente dalla pianura sarmatica.
Quindi, gli eroi classici greci cominciarono a delineare la dimensione della nuova terra emergente che la dea Afrodite aveva indicato come “la terra promessa” degli Europei, appunto. Un’eredità che dobbiamo al mito e alla cultura ellenistica, che per secoli fu il punto di riferimento di tutte le civiltà dell’area mediterranea e dei nuovi popoli che essi incontravano nei loro viaggi commerciali e nelle missioni di colonizzazione. Ecco, il percorso dell’evoluzione dell’Europa era già definito: una solida cultura di base da diffondere nel mondo, la ricerca di nuovi spazi da occupare per poi integrarli nella civiltà della madrepatria, il senso degli affari e dell’avventura per spingersi oltre la “comfort zone” (esponente eccellente di tale attitudine è certamente Odisseo).
Vennero dunque i Romani: sebbene più rozzi e sedentari dei Greci, ne ereditarono presto la conoscenza e la tradizione religiosa, li sostituirono nel controllo dell’area strategica del Mare Nostrum e ne proseguirono la missione civilizzatrice verso l’Europa continentale e settentrionale. Un popolo votato all’amor patrio, che si incarnava nel culto per la dea Roma e dell’Augustus, ma anche a lasciare spesso la “comfort zone” per mete nuove e pericolose, come si rivelarono essere la Britannia o la Germania, ad esempio.
Ma il contatto con quei mondi ormai era avvenuto e la storia medievale tracciò l’evoluzione del continente nel segno della religione cristiana e del mito degli antichi e dei classici. Perché senza ricorrere al senso di appartenenza ad una famiglia di popoli con origine comune, seppure frazionati in tribù stanziali in luoghi ben definiti, alle tradizioni culturali più antiche e ancestrali che facevano riferimento al culto delle origini della stirpe o della terra (la Scizia), la comunità europea emersa stabilmente a partire dal V secolo d.C. a occidente della pianura sarmatica e del Bosforo non avrebbe potuto fondarsi. Infatti, ogni popolo europeo era consapevole della sua ascendenza divina così come della sua appartenenza ad una famiglia più ampia di popolazioni che condividevano miti, culti e lingue simili. In questo humus fertile, fu facile per il Cristianesimo attecchire e trasformare l’Europa nel Regno di Cristo o del “popolo di Cristo”. A quel punto, gli europei avevano una dimestichezza strutturata con la relazione fra il potere politico e la legittimazione di natura religiosa, proveniente dalle antiche tradizioni greche, romane, celtiche, germaniche o slave: le figure del Vescovo o del monaco itinerante, nonché del sovrano e del cavaliere cristiani, divennero decisive per fare il salto di qualità ed evolversi verso la forma di una comunità omogenea e integrata.
Gli Europei avevano fatto esperienza di convivenza prolifica con la Natura, sviluppando eccellenti tecniche agricole, sfruttando appieno le energie dei corsi d’acqua o i materiali disponibili, costruendo città, strade, monumenti e palazzi, migliorando i mezzi di navigazione e di trasporto. Anche perché l’innato senso del commercio e dell’avventura non è mai venuto meno. Fecero esperienza anche delle pandemie che, in più occasioni, portarono la morte e la disperazione fra gli uomini del Medioevo, ma li spinse anche a cercare nuovi rimedi medicali e a migliorare la dieta e lo stile di vita.
Dopodiché lo spirito di Odisseo tornò a dare fuoco all’animo degli Europei che cominciarono ad affrontare lunghi viaggi in tutte le direzioni non tanto per necessità quanto per quel bisogno di superare la “comfort zone” che spesso si trasforma in avventurismo e senso di sopravvivenza. Sempre sotto la protezione e la guida degli Dèi, che ispirano le migliori imprese e ne nascondono agli umani il senso ultimo. Però lasciano ad essi l’opportunità per crescere, evolversi, guadagnare in consapevolezza e divenire più coscienti.
Ma tutto questo ebbe una brutta battuta d’arresto con la crisi religiosa della Protesta, che scatenò tremende guerre cui ne seguirono altre per secoli, fino alla metà del XX secolo d.C., quando gli Europei erano sul baratro dell’estinzione. E ancora una volta fecero ricorso al proprio antico bagaglio culturale e religioso e ipotizzarono di poter costruire insieme una comunità unita e integrata.
Non è un caso se proprio in questi giorni, a Bruxelles, i capi di stato e di governo europei proveranno a fare un passo in avanti nel percorso di unificazione del continente e di evoluzione rispetto alla Natura e alle loro possibilità di sopravvivenza terrena. Solo che questa volta il pericolo non viene da un virus o da una calamità naturale: il vero problema ha a che fare con la finanza e il desiderio del profitto. Probabilmente, gli Europei dovranno nuovamente uscire dalla “comfort zone” in cui si sono accomodati negli ultimi decenni e dovranno riscoprire le loro antiche origini, il rapporto col divino, il senso profondo di appartenenza e della politeia.
In questo caso, potrebbe essere loro di aiuto un interessante saggio intitolato STORIA
Roberto Amati