Ecco! 100 anni fa la guerra. Ecco! Le truppe italiane si apprestavano a raggiungere il confine con l’Austria-Ungheria “per fa contro il nemico una barriera”… così come ricordava la celebre canzone de “La leggenda del Piave”.
Il costo di vite fu veramente alto. Fu il primo grande evento a cui l’Italia dovette far fronte da quando era ritornata unita.
Un avvenimento pieno di atti di eroismo che fecero da “malta” per la costruzione di tante leggende che celebrano il coraggio dei militi italiani.
Coraggio: perché di questo si trattò. Ci volle un immenso coraggio per mettere alla prova con il fuoco uno stato che era da poco nato. Ci volle coraggio per mandare al fronte gente unita formalmente sotto un’unica bandiera, ma che di “unito” aveva ancora bene poco. Tanti sentimenti, tanti stili di vita, tanti dialetti. Coraggio! Perché un popolo che ancora non era popolo, dimostro un valore inaudito.
E forse è proprio lì, tra il fango, il gelo, il sangue dei compagni che arrivava fin sopra le ginocchia. Forse è proprio lì che il piemontese e il siciliano, il napoletano ed il romano, si riscoprirono italiani.
Triste che nel centesimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, di una guerra che poi avrebbe vinto, triste è notare un clima di ricordo molto mite se non quasi passivo.
Una passività che sfocia anche in atteggiamenti e toni deprecabili.
Della guerra, di questo immane conflitto che fu il “15 – 18” si cerca di ricordare soprattutto la tragedia. Ma non la tragedia dell’eroe, come veniva intesa nel mondo classico. Ma la tragedia che solerte para di fronte solo il negativo, solo l’orribile, che solerte espone il ricordo come un’esperienza da non ripetere.
Nessuno vuole ripetere un’esperienza dolorosa come quella, nessuno vuole tralasciare gli orrori della guerra, nessuno vuole che scorri altro sangue tra europei. Ma le guerre sono di per loro avvenimenti dolorosi, che in guerra muoiano degli uomini, che vengano fatte violenze è purtroppo certo perché fa parte della guerra. Ma proprio perché nei conflitti si paga un tributo di sangue enorme, quel sangue non può essere sminuito ne tradito con un esposizione solamente catastrofica. Quel tributo deve essere onorato, di esso si deve poter affermare che è stato un prezzo drammatico ma anche glorioso. Quei soldati non meritano di essere passati come sventurati, dei malcapitati sacrificati per qualche interesse nazionale. Quei soldati vanno ricordati per le loro imprese, per la loro vittoria. Così si rende giustizia reale a quei morti.
Ma allora perché continuare a ledersi in questo modo stigmatizzando totalmente quella guerra? Quale morbo attanaglia il senso virile dell’italiano?
Una campagna diffamatoria contro la Prima guerra mondiale di cui le istituzioni si fanno portabandiera. Ne è un esempio il Neopresidente della Repubblica, che nelle celebrazioni di domenica a Gorizia ha ricordato, fra tutti gli aneddoti che poteva menzionare, il triste caso delle decimazioni che l’esercito regio compì sui soldati per scoraggiare le diserzioni in battaglia.
Perché voler continuare a “gettare fango” sulla nostra storia nazionale? Perché ad ogni piè sospinto si sente il bisogno di turbare quel poco di orgoglio nazionale che è rimasto, portando in scena “zone d’ombra”, o oscurare le pagine gloriose della storia patria?
Il tutto poi accompagnato da una glorificazione oltremodo del concomitante settantesimo della “Liberazione”. In quest’altra occasione, tutte le istituzioni, tutti i media, tutto il mainstream, hanno fin troppo eccesso in zelo per la celebrazione della “Liberazione”. E qui il già citato Neopresidente della Repubblica Mattarella, a fronte di un invito di una più accurata ricerca storica nei confronti della “Grande Guerra”, ha prontamente ammonito qualsiasi equiparazione tra i “repubblichini” e partigiani, ha bandito qualsiasi revisionismo storico che andasse ad imbrattare l’opera della Resistenza. Riconfermando altresì, la parte giusta impersonificata proprio dai partigiani.
Due pesi e due misure, un’ipocrisia dilagante.
Ma come si può sminuire ed oscurare il senso di una guerra vinta e contemporaneamente innalzare ai massimi livelli un frangente della nostra storia che, comunque la si metta, fu infine uno scontro tra italiani?
Perché su ciò non ci deve essere ombra di dubbio. La Prima guerra mondiale è stata il più grande ed ultimo contesto in cui ogni italiani si può sentire affratellato. La Guerra civile italiana del 1943 – 1945, proprio nel nome, raffigura un conflitto fratricida ben lungi dal poter essere un glorificante ricordo.
Ogni italiano ha un antenato che ha combattuto nel Primo conflitto mondiale. Ogni italiano ha un nonno che è morto a Caporetto e un nonno che ha portato in trionfo il Tricolore a Trento. Nella Guerra Civile ogni italiano, per buona parte, o ha un avo “repubblichino” o ne ha uno partigiano.
Non è difficile intuire che la Grande Guerra unisce, mentre la Guerra Civile divide.
Ad oggi, in questo tempo dove i legami si fanno sempre più sottili, dove tra stessi conterranei ci si sente diversi, è importante ritrovare punti che rinsaldino gli antichi legami. E la guerra del ’15 – ’18 è e deve essere di aiuto in ciò.
Ed allora celebriamone l’eroicità divenuta mito. Ricordiamo con fierezza i giovani della classe del 1899. Rammentiamo la vittoria, anche per vincere le sfide del nostro tempo.
L’orgoglio prima di tutto, l’orgoglio soprattutto: l’orgoglio nazionale!
Celebriamo la vittoria e lasciamo da parte l’ignavia.
Ritroviamo lo spirito del ’15, quello spirito che portò anche a novità politiche impensabili. Chi del pacifismo e dell’internazionalismo proletario ne fece la propria fede, lo portò a ricredersi, in una parte sostanziosa, e allo scoppio della guerra non poté altro che accorrer al fronte da dove la Patria chiamava. Anche se quella che chiamava era una Patria dove la fame e le condizioni disumane di lavoro per la parti meno abbienti peggioravano giorno dopo giorno. Anche se quella era una Patria molte volte vestita da matrigna. Ma era pur sempre la Patria e andava difesa.
Ritroviamo lo spirito del ’15 prima ancora del ’18 e dalla sua “vittoria mutilata”. Ritroviamo lo spirito del ’15 e la sua travolgente felicità, forse ingenua, rivolta all’anelito di vittoria.
Ritroviamo lo spirito del ’15 per tornare ad essere tutti italiani.
Federico Pulcinelli
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