di Mario M. Merlino
C’è un’altra fotografia che ho davanti a me. L’ho ritrovata nel secondo volume di Sette Anni di Guerra, di cui avevo fatto la raccolta al tempo del ginnasio, e che mio padre mi fece rilegare in premio non so più di quale (modesto) risultato scolastico. E’ il primo ottobre del ’43. Il Maresciallo Graziani ha raccolto attorno a sé alcune migliaia di ufficiali, in divisa e in borghese, accorsi alla sua chiamata al teatro Adriano. Poi in fitta schiera a rendere omaggio al Milite Ignoto. Ho scritto più volte che la fisiognomica non è una scienza, forse non è neppure una garanzia, ma quegli uomini, sì, appartengono ad altra razza. Razza dello Spirito che si esprime nel tratto del volto severo compreso spavaldo, dal passo cadenzato e sicuro. Essi sanno, non possono ignorare, che la guerra è perduta, ma sono lì perché un soldato misura se stesso oltre la vittoria e la sconfitta. Vi è Graziani in alta uniforme dell’esercito; si riconosce al suo fianco Renato Ricci in divisa della Milizia; a lato e in borghese Francesco Maria Barracu, nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che finirà contro la spalletta del lago di Como per accompagnare il Duce nell’ultimo suo viaggio.
Seicento giorni dopo alcuni di loro cadranno sotto la mannaia di feroci e improvvisati boia, figli della guerra civile; altri nelle carceri o dietro il filo spinato degli alleati. E quei plotoni d’esecuzione, l’agguato e il colpo alla nuca, le sbarre e i chiavistelli e il filo spinato saranno la premessa di come questo paese s’è ridestato alla libertà, alla democrazia. Un regalo che, dopo anni di beotica acquiescenza, mostra ora tutto il suo volto…Avete fatto attenzione alla faccia dei candidati nelle ricorrenti e riavvicinate tornate elettorali che ci sorridono, tronfi di sé, da larghi manifesti colorati? Quanta materia per Cesare Lombroso e discepoli…
(E i cretini, ovviamente, avendo compreso d’essere figli di quella razza e che, dunque, sono deputati al successo, si adoperano a mostrarsi in ogni circostanza, anche in commenti su queste pagine. Ad esempio, il convegno al Parco dei Principi, 1965, sulla guerra rivoluzionaria in cui vi avrebbero preso parte i torturatori della R.S.I. che ruolo gioca nell’aver evocato gli ufficiali massacrati a Lecco o le fotografie che ritraggono il Maresciallo Graziani nel campo di prigionia a Cap Matifou?… Mistero. A chi, poi, si mostra, attraverso l’insulto, bipede inferiore là dove all’ arrogante e presuntuosa incapacità di contestare i contenuti s’accontenta di ripetere luoghi comuni e superati, espressione di malafede o ignoranza, contro lo scrivente, beh, ‘faccia al sole e in culo al mondo!’ E, qui, vi assicuro, si chiude ogni dettata polemica presente e per l’avvenire).
L’11 gennaio del 1955, alle ore 5,30, Rodolfo Graziani muore in una clinica della Capitale dove era stato ricoverato. Consapevole della fine imminente aveva chiesto di essere vestito con la giubba sahariana, che aveva indossato durante il processo, e il cappotto militare della prigionia. E a coloro, che erano intorno al capezzale, aveva mormorato: ‘Se oggi è il giorno che mi devo presentare al giudizio di Dio, credo di poter andare sereno perché mi pare di aver sempre fatto il mio dovere. Ho sempre amato la famiglia e ho amato tanto, tanto gli italiani’.
Il ministro della Difesa Taviani, a cui era stata rivolta esplicita richiesta di tributare gli onori militari, aveva espresso la ‘impossibilità’ in applicazione delle leggi vigenti. Nessun riconoscimento ai combattenti della R.S.I., nonostante la sentenza del Tribunale Supremo Militare, 26 aprile 1954, che al contrario aveva decretato la piena legittimità. Insomma il valore della scelta il senso del dovere sono patrimonio di una parte, quella che ha stabilito la morale manichea dei vincitori e dei vinti. Forse è stato bene così: da una parte le istituzioni con i loro decreti leggi norme, istituzioni sempre più vuote e defenestrate dall’indifferenza e dal discredito, dall’altra una folla immensa, vecchi soldati di tutte le guerre, giovani che non hanno fatto in tempo ad imbracciare le armi e ne sentono inguaribile nostalgia, uomini e donne che sono un popolo e non più atomi dispersi in masse indistinte, una folla che ha voluto essere presente in chiesa in piazza nelle strade e, poi, scortarne la salma fino al comune di Affile, in Ciociaria. E il popolo ha sempre ragione quando mette in gioco i propri sentimenti… La famiglia aveva chiesto che i funerali fossero celebrati nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo tradizionalmente deputato ad esequie ufficiali. Il permesso è stato negato perché, nella stagione della desacralizzazione, anche la Chiesa finisce per fare scelte immanenti e di parte.
11 agosto 2012 un sacrario militare ad Affile, promesso, costruito in parte e finanziato dai soldi della Regione Lazio… ora revocati. ‘…ma il suo spirito, la sua opera, i suoi insegnamenti sono e saranno sempre più vivi che mai’ (gen. Arconovaldo Bonaccorsi, Ass. naz. Arditi d’Italia). Non è stato così, nulla forse rimane, forse non meritiamo nulla, forse non siamo più un popolo, forse siamo ormai solo poca cenere, polvere da disperdere al vento… eppure ‘Egli dal cielo, alla testa dei suoi battaglioni, dei suoi reggimenti, delle sue armate con le Bandiere della Patria spiegate al vento quale ronda tutelare che proteggerà l’Italia, alimenterà la nostra fiamma, il nostro amor di Patria per indurci ad essere sempre più degni…’.