Cosa spinse un giovane di origine belga, ma trasferitosi in Francia che, in seguito a studi tecnici e al successivo impiego come ingegnere presso la Peugeot in Kuwait ad abbandonare il proprio comodo posto di lavoro per unirsi alla resistenza palestinese e trovare in quella terra la morte?
Roger Coudroy può essere considerato un foreign fighter ante litteram, ed è ritenuto il primo caduto europeo per la causa della liberazione della Palestina, ma il suo nome è sconosciuto ai più.
Di lui sappiamo che nacque nel 1935 e militò nella Jeune Europe, l’organizzazione nazional-comunitaria fondata nel 1962 da Jean Thiriart e che ebbe sedi in diverse nazioni europee tra cui l’Italia e fra i suoi iscritti vi furono personalità di rilievo della nostra cultura, come Claudio Mutti e Franco Cardini. L’ideologia di questo movimento, già allora, si proponeva di superare la dicotomia «destra-sinistra», infatti Thiriart si considerava un teorico del razionale e amava citare la celebre frase di Ortega y Gasset: «essere di sinistra o di destra, è scegliere uno degli innumerevoli modi che si offrono agli uomini d’essere imbecilli».
L’autore di L’Europa: un impero di 400 milioni di uomini proponeva un nazionalismo europeo che avrebbe dovuto porsi, utilizzando il metodo rivoluzionario, in alternativa e competizione agli Stati Uniti capitalisti e al collettivismo marxista realizzatosi nell’ Unione Sovietica. Perciò questa dottrina, in una prospettiva geopolitica, si prometteva di superare gli obsoleti nazionalismi di stampo ottocentesco per dare vita all’Europa delle nazioni e delle patrie che avrebbe unito i continente «da Brest a Bucarest».
Sul piano internazionale la Giovane Europa cercò contatti con la Cina maoista, la Jugoslavia di Tito, la Romania, l’Iraq, l’Egitto e l’Autorità Nazionale Palestinese, filiale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), evidentemente con lo scopo di combattere l’imperialismo americano e filosionista; furono poi costitute le “Brigate Europee” sull’esempio delle “Brigate internazionali” durante la guerra civile spagnola, formazione armata alla quale appartenne Coudroy.
Secondo Thiriart, dal punto di vista economico, si sarebbe dovuto conseguire nel Vecchio Continente un modello protezionista ad economia chiusa basato su autarchia, indipendenza, potenza e giustizia sociale; sostanzialmente quanto il regime fascista cercò di costruire durante il Ventennio in Italia.
La notizia della morte di Coudroy, avvenuta la notte del 3 giugno del 1968 mentre l’Europa era sconvolta dalla protesta studentesca, venne resa pubblica, nel novembre dello stesso anno, solamente da La Nation Europeène, organo d’informazione della Jeune Europe. L’ingegnere, dopo meno di un mese di addestramento militare, stava partecipando col commando Al-Asifah (“la tempesta”) braccio armato di Al Fatah, ad un’incursione nella Palestina occupata da Israele: fu però intercettato da una pattuglia dell’esercito sionista e dopo lo scontro a fuoco rimasero a terra diversi caduti, tra cui il giovane militante europeo che era stato ribattezzato dai camerati palestinesi As Saleh, “il giusto”.
Ovviamente gli organi di informazioni mainstream non diedero l’annuncio, perché nell’Italia di quegli anni la morte di un “neofascista” era considerata di nessun rilievo. Gli stessi ambienti della destra parlamentare dell’epoca, rappresentati dal Movimento Sociale Italiano, sostenevano la causa dello Stato di Israele in contrapposizione a quella del popolo palestinese, perché appoggiato dall’URSS e in Italia dall’estrema sinistra.
Solo l’«estrema destra» che si riuniva attorno alle Edizioni di Ar di Franco Freda appoggiò le ragioni dell’antica popolazione araba, pubblicando nel 1971 l’antologia di poeti palestinesi Il nemico dell’uomo, dove nella prefazione curata probabilmente dallo stesso editore padovano si affermava che la lotta di liberazione dei fedayn palestinesi era inconciliabile ad una visione marxista, ma era più affine all’insegnamento coranico, dove il concetto di jihad era paragonabile alla weltanschauung indoeuropea o indo-aria, entrambe caratterizzate dall’idea di grande guerra santa (cioè quella interiore e spirituale) oltre alla piccola guerra santa (esteriore e materiale). Non sono dunque solo nell’antisionismo le motivazioni di sostegno ideale alla lotta dei guerriglieri palestinesi.
Durante la sua esperienza tra gli arabi oppressi Coudroy scrisse un opuscolo intitolato J’ai vécu la résistance palestinienne (O.L.P., Centre de Recherches, Beirut, 1969) e pubblicato nel 2017 da Passaggio al Bosco Edizioni, col titolo Ho vissuto la resistenza palestinese. Un militante nazionalrivoluzionario con i Fedayn, in cui egli raccontò di come fu affascinato dalla cultura e dalle tradizioni millenarie di questo popolo così perseguitato, dei contatti che prese con i responsabili del movimento ribelle alla prepotenza di Israele. E’ particolarmente toccante poi la visita che lo portò in un campo profughi di Baq’qa: l’incontro con i suoi miseri abitanti costretti a sopravvivere di stenti ma orgogliosi e degni della loro identità, i vecchi, le donne e i bambini che gli corsero incontro felici per la vista di un bianco che combatteva per il loro futuro, nella speranza della giustizia, per la libertà della Patria diventata ormai comune; sembrava concretizzarsi la famosa e frase di Julius Evola «la mia patria è là dove si combatte per le mie idee».
Tra le varie riflessioni che lo spinsero a perseverare nel suo intento ne emerge una sulle altre: «perché coloro che combattono sanno sostituire l’angoscia con la speranza». Sono pensieri di un eroe romantico, che sa che la posta in gioco è la vita, ma conosce anche il coraggio e la determinazione di lottare per un ideale giusto contro l’arroganza, ed è consapevole che i suoi principi vanno oltre il valore della vita stessa.
E se anche qualche millennial l’avrà capito, il sacrificio di Roger Coudroy non sarà stato inutile.
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