7 Ottobre 2024
Tradizione

Rosa Rossa: Fedeli d’Amore (Arte Mistica Desiderio Morte) – Vitaldo Conte

1. L’amore e la morte possono diventare, oltrepassando i tempi, la mistica dei Fedeli d’Amore, che può avere nell’immagine della rosa rossa una sua possibile rappresentazione. È stato scritto che uomini e donne, colpiti dai dardi d’Amore, in modo più o meno grave, da principio cadono a terra, ma via via che ci si avvicina a una figura centrale sono in piedi e hanno delle rose, simbolo della ricerca iniziatica.

2. Il mondo dei Fedeli d’Amore vive in diverse espressioni d’arte: come in quella della confraternita dei Preraffaelliti. Dalmazio Frau nota a riguardo: «Beata Beatrix di Dante Gabriel Rossetti ha il volto della sua perduta e amatissima sposa dai rigogliosi capelli rosso fuoco. Rossi come l’alchemica Rubedo, e come gli spiriti elementari chiamati Salamandre, come il sangue e come l’Amore di cui Gabriel era l’ultimo dei Fedeli. Magia, Amore e Morte si circonfondono dunque d’oro in quella chioma al tramonto di un’era di eroi». I capelli rossi della donna possono evocare il colore che accende la magia sexualis. Come avviene nella Donna Scarlatta di Aleister Crowley, il cui ro

sso si riferisce al «miglior sangue che è quello della luna, mensilmente». L’immagine della Sacerdotessa consacrata, la Donna Scarlatta, appartiene a un patrimonio iconografico complesso, che include quello ricavato da riferimenti della Bibbia o da Kalì, la tenebrosa dea del sangue e della distruzione: «Scarlatto è il colore della fiamma che inizia l’annuale corrente primaverile che ‘si vendica’ dell’aridità e dell’oscurità dei mesi invernali» (K. Grant). Il fuoco della primavera vuole fuoriuscire da una rosa rossa dei Fedeli d’Amore. Anche come Bocca di rosa, testo della canzone di Fabrizio De André: «La chiamavano bocca di rosa / Metteva l’amore sopra ogni cosa / … Lei lo faceva per Passione».

3. La rosa rossa non appare solo nella devozione dell’amante o nell’immaginario del poeta e dell’artista. Può emergere anche, all’improvviso, nello scorrere della nostra esistenza come passaggio di una passione, che ci attraversa con la sua imprevedibile alchimia. Il palpito di una stagione del desiderio può morire, ma anche rinascere in una nuova vita o in un’altra espressione. Può desiderare di vivere nella seduzione di una rosa rossa, divenendo un corpo d’amore che vuole essere creazione di Estremo Amore.

4. Forse solo l’Estremo Amore, quello che attraversa la Passione-Morte, merita il nome d’Amore, perché oltrepassa bisogni e limiti terreni. Evola ricorda, nella Metafisica del sesso, l’etimologia della parola ‘amore’ data da un Fedele d’Amore medievale, che, pur fantasticata, risulta significativa: «La particella a significa “senza”; mor (mors) significa morte; riunendo, si ha “senza morte”, cioè immortale”. Il Fedele d’Amore di ogni tempo non conosce la morte, pur comprendendola dentro di sé, nella naturale vocazione a spingersi verso l’estremità del proprio sentimento. Può morire vivendo, può amare morendo. L’Eros trascendente può esprimere, attraverso il piacere e il dolore, la propria extreme histoire, guardando la morte: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi» scrive Cesare Pavese. La creazione stessa, come pulsione di mistica e desiderio, richiede (per mantenersi in vita) una ‘lingua-ferita’ sconfinante, in cui tutto è disponibile a divenire ‘traccia’: grazie al passaggio di una morte simbolica. La ferita o fine rituale risulta un tatuaggio-segno indelebile. Tagliando, corrodendo l’epidermide-anima, questo diventa un qualcosa che muore e nasce continuamente. La ferita invisibile degli amanti è, a volte, quella più dura a sopportare: l’assenza o la perdita dell’altro può essere una mutilazione mai rimarginabile. È una ferita insopportabile, come canta Rosa Balistreri in Cu ti lu dissi: «megliu la morti e no chistu duluri / (…) ciatu di lu me curi l’amuri miu si tu». La lingua-ferita d’amore può giungere al limite del suicidio rituale: «Questo suicidio per amore (…) veniva compiuto come una cerimonia segreta. Dopo aver fatto l’amore per l’ultima volta, gli amanti si gettavano insieme in un lago, o in fiume, o nel cratere di un vulcano. (…) Quando i due corpi venivano ritrovati, li si seppelliva nella ‘tomba degli amanti’, stretti nell’abbraccio. (…) la separazione degli amanti è una violenza superiore alla morte, a cui la morte stessa è preferibile» (A. Carotenuto).

5. La ferita e la morte sono presenti nelle pieghe e nel corpo della storia dell’arte con le sue tante immagini, che rimandano al sangue e alla morte fuori dall’opera. Questo rosso affascina gli artisti di ogni tempo, esprimendo, insieme, la purezza e l’impurità, il sacro e il profano, la vita e la morte. La ‘reliquia’, infatti, è sempre stata nella nostra tradizione un visibile punto di congiunzione fra la terra e il cielo, l’esistenza e la morte. Il sangue e il ‘taglio’ hanno il potere di sigillare il contatto, visivo e intimo, tra il corpo “segnato” e l’occhio di chi guarda, più di ogni altra comunicazione verbale, legandoli entrambi a una condivisione dai profondi risvolti.

6. La rosa rossa diviene il simbolo, profano e mistico, di offerte d’amore. Questo fiore, dal lungo stelo, ha la memoria e la caratteristica di possedere un profumo significante del proprio esistere. Quando la seduzione della sua fioritura sfiorisce lascia una essenza: come segno del proprio passare oltre. Il ricordo del profumo esprimerà l’impalpabilità del passato transito. Lo stesso suo sfiorire lascia un’assenza presente di odore che il pensiero vorrà poi dargli un senso, anche struggente. Così questa rosa rossa diventa il corpo mutevole di un estremo amore – mio tuo nostro – che vuole trasmutare l’altro in un suo fedele. Il profumo del desiderio vive sulla pelle dell’amante, ma anche su tutto ciò che è stato in contatto con i suoi sguardi d’amore. Questi continuano a inseguire, nelle visioni e nel tempo, l’innamorato come l’artista. La rosa “regina dei fiori”, come la definisce Saffo, rimane nel nome, ma «noi possediamo soltanto nudi nomi» (U. Eco). L’anima della rosa antica forse non esiste più, vivendo, prevalentemente, come immagine nella dimensione recisa che «privilegia colore, grandezza, resistenza, produttività, a scapito dell’odore, fragranza antica» (G.M. Mottola). La rosa deve apparire oggi molto bella con i petali rosso-brillanti e lo stelo smisurato: l’esigenza del profumo diviene un dettaglio di scarso valore. Questa, sempre più ibrida, si disperde nella moltitudine delle esistenze globalizzate. Ogni rosa, “trovata” nella nuova ibridazione, deve lasciare il posto a un’altra, sempre più diffusa e commerciale. Questa proliferazione senza identità è espressa anche dall’immagine dell’extracomunitario che cerca di vendere con insistenza la sua rosa rossa, indicazione d’amore, a una coppia seduta al tavolo di un ristorante.

7. La rosa rossa può divenire l’indicibile di-segno di una mistica desiderante, incarnando una SottoMissione d’Amore. Questa, “travestita” con la sua maschera simbolica, può resuscitare cerimonie pagane. Pur lontane nei tempi vivono ancora dentro di noi come una presenza ancestrale che fluisce, in maniera sotterranea, tra memorie, sogno e lucida follia. In questo estremo viaggio non c’è l’ombra del peccato, del giudizio morale. Chi desidera in maniera totalizzante è naturalmente artista, elevando la propria vita e voluttà a una creazione.

8. La rosa rossa è stata, e continua a esserlo per molti – mistici o avventurieri, artisti o letterati –, una maschera simbolica che vuole raccontare alchimie d’amore. Come lo è stata per me, caratterizzando il mio lavoro teorico e di arte-scrittura, ma anche i miei viaggi interiori. Presentai la rosa rossa come suggestione d’arte, per la prima volta, a Parma il 4 maggio 1998, nell’evento su Il borderline rosso dell’amore: una rosa rossa, su un foglio bianco, era offerta alla luce e al fuoco di candele rosse sotto un borgo gotico. «La scrittura del desiderio – scrissi – può ricercare il limite estremo del proprio esistere come traccia: scomparire per divenire reliquia, feticcio d’amore e di contagio. Può spossessarsi del possesso del proprio scrittore per essere presa, manipolata, strappata, e anche bruciata per farsi luce, cenere, imprevedibile residuo». Diversi sono stati gli eventi d’arte in cui ho interagito ritualmente con il corpo di una rosa rossa. Come disperdendo Petali parole di desiderio nell’evento alla Casina delle Civette di Villa Torlonia, a Roma il 15 maggio 2008. Decisi di ideare a Catania un ambiente da dedicare alla rosa rossa come creazione vibrazionale, pensando ad Aleister Crowley quando volle edificare la sua Thélema a Cefalù. La chiamai Chioda, che, nelle mie intenzioni, voleva significare solo un indecifrabile e itinerante simbolo al femminile. Dopo una prima idea di spazio a Roma, si concretizzò compiutamente a Catania nel 2005, in un appartamento del centro storico con i suoi contraddittori margini. La rosa rossa è diventata gradualmente, a Chioda, una particolare collezione d’arte, mutando di volta in volta l’aspetto delle sue presenze rituali. Questo luogo ha vissuto la propria stagione di tempio, rituale e creativo, della rosa rossa.

9. L’Amore, la Morte e il Sacro, in relazione all’Arte dei Fedeli d’Amore, sono state le indicazioni di tre numeri monografici della rivista ‘Dionysos’ (Ed. Tabula fati, Chieti 2017-19). Queste indicazioni hanno costituito il mio viaggio fantastico-magico di Fedeli d’Amore oltre la vita (attraversato nel testo), insieme a Dalmazio Frau, in un evento svoltosi alla ‘Sallustiana Art Today’ di Roma il 18 Maggio 2019. In questo discorso il pittore Gilberto Di Benedetto è “entrato” con il suo incontro con l’immagine perturbante di Dante, percorrendo il mondo alchemico-letterario di quest’ultimo.

Vitaldo Conte

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