Immaginate questa situazione: vi trovate ad assistere a una conferenza. Il relatore è un intellettuale di una certa fama, autore di testi che hanno avuto una certa diffusione, fra cui uno quasi un bestseller. Man mano che lo ascoltate, vi rendete conto che quelle che sta dicendo sono autentiche corbellerie. Poiché è prevista la possibilità di fare domande al termine dell’intervento che dovrebbe durare tre quarti d’ora, vi preparate mentalmente a esporre le vostre obiezioni. Passano i 45 minuti previsti, passa un’ora, e niente, il relatore procede imperterrito. Il coordinatore della manifestazione, come si dice nel gergo, il toastmaster cerca varie volte di interromperlo, a un certo punto facendo anche suonare una sveglia sul palco. Macché, quello va avanti per due ore e mezza, facendo saltare tutto il programma degli interventi previsti successivi al suo, e a questo punto di domande e repliche da parte del pubblico, non se ne parla proprio.
Una di quelle cose che nella realtà non si verificano mai, una di quelle situazioni che sono lo spunto per autori di narrativa fantastica o umoristica? Niente affatto, fu esattamente l’esperienza che vissi nell’ormai lontano 1996 assistendo a una conferenza di Franco Cardini.
Io credo di avervelo già raccontato: quanto meno a livello intellettuale, sono un uomo dalla doppia vita: il pensatore “di area” convive e si alterna con un autore di narrativa e di saggistica nell’ambito fantastico e fantascientifico. Quell’anno mi trovavo nella repubblica di San Marino. La manifestazione sammarinese “Fantasia” quell’anno fungeva anche da Italcon, ossia l’annuale congresso italiano di fantascienza che era organizzato a rotazione da club diversi. (qualcuno osservò anche con una certa dose di ironia che quella sammarinese era la prima convention italiana di fantascienza svoltasi all’estero).
Devo essere sincero: quella fu la prima ma non la sola volta che mi toccò subire un tale profluvio oratorio. Una decina d’anni più tardi mi accadde la stessa cosa a Scienceplusfiction,il festival triestino del cinema di fantascienza con una conferenza di Pier Aldo Rovatti. In quell’occasione il docente dell’ateneo triestino e collaboratore occasionale de “L’espresso” fece una figura, devo dire, particolarmente penosa che dimostra come a volte il trascorrere dell’età può annebbiare anche gli intelletti un tempo più lucidi. Invitato a parlare a una tavola rotonda sull’intelligenza artificiale, dato che il discorso robotico presentava un qualche aggancio con la filosofia di Cartesio (il filosofo del cogito è stato forse quello che si è spinto di più nell’analogia fra il corpo umano e una macchina), andò avanti spiegando punto per punto la filosofia cartesiana. Io ebbi la netta impressione che si fosse del tutto dimenticato di dove si trovava e credesse di essere a tenere una lezione all’università. Come se non bastasse, riuscì ad andare avanti anche lui per due ore e mezza. Cronometrai i tempi, e dovetti ammettere una sorprendente parità con Cardini; lo dico a futura memoria nel caso qualcuno si provasse a battere il record per ora detenuto ex aequo da entrambi.
Ne ebbi pena. Nonostante la distanza ideologica abissale tra me e lui, ne conservavo un buon ricordo di quando ero stato suo studente, soprattutto per la propensione al trenta facile.
Ma torniamo a Cardini. A quei tempi era reduce dal successo editoriale di Quell’antica festa crudele, un testo anti-illuminista che rivaluta l’Età di Mezzo e la concezione medioevale della guerra, festa crudele appena un po’ meno ritualizzata del torneo, cui è sostanzialmente affine. Poco prima della conferenza, l’avevo incontrato ed avevo avuto con lui un breve colloquio. Io ho origini toscane per parte di madre. Nel paese della provincia di Arezzo dove mia madre è nata, la famiglia Cardini costituiva la nobiltà locale. Lui mi disse che la cosa non gli risultava, che era pisano, comunque ciò non dissipò l’impressione, generata anche dalla comunanza di interessi, che fossimo dei quasi-paesani, ero quindi piuttosto ben disposto nei suoi confronti, e proprio per questo le cose da lui dette nella conferenza mi arrivarono come un pugno nello stomaco, a parte l’incredibile prolissità con cui le espresse.
Come Adolfo Morganti, che era tra l’altro l’organizzatore della manifestazione sammarinese, come Mario Polia, Cardini appartiene alla tribù dei tradizionalisti cattolici, dei seguaci di Tolkien che, come il loro maestro o presunto tale, sono dei fasci di contraddizioni. Per l’ennesima volta mi domando come costoro non si accorgano, come Tolkien stesso non si accorgesse che nel Signore degli anelli è implicita una morale che è l’esatto opposto di quella cristiana, che prescrive davanti agli orchi e alle altre manifestazioni del male, non di porgere l’altra guancia, ma di combatterle con le armi in pugno. Come si può poi manifestare amore per le antiche tradizioni europee e non accorgersi che la cristianizzazione è stata un rullo compressore che queste tradizioni le ha travolte e distrutte?
Anni fa vi avevo proposto una s-polia-zione di Mario Polia; adesso è forse ora di avanzare uno s-cardina-mento di Franco Cardini.
Torniamo a quella famosa conferenza che mi lasciò l’impressione di DOVER a ogni modo rispondere alle tesi che Cardini aveva sostenuto. Una volta tornato da San Marino, scrissi una replica – non altrettanto prolissa per la verità – alle tesi dell’autore medievalista, e la inviai ad Adolfo Morganti, chiedendo, se fosse possibile, che venisse allegata agli atti del convegno e/o pubblicata sul bollettino dell’associazione sammarinese. Morganti mi rispose che non se ne parlava nemmeno. In quella circostanza scoprii un’altra caratteristica tipica dei tradizionalisti cattolici, la poca o nulla propensione al dialogo, al confronto con un qualsiasi modo di pensare diverso dal proprio.
Questa replica, sotto forma di articolo: Santo cristiano o eroe pagano, ha poi girato su svariati siti celtici, di “area”, di heroic fantasy. Questo scritto ha tuttora un’importanza particolare nella mia bio-bibliografia. Redigendolo, divenni forse per la prima volta pienamente consapevole del fatto che non potevo esprimere compiutamente la mia visione del mondo senza prendere risolutamente posizione, costi quello che costi, contro quella che è forse ancora la religione più diffusa nel mondo europeo-occidentale (forse, perché sappiamo bene, in effetti, che il numero dei battezzati è considerevolmente sovrastimato rispetto a quello di coloro che sono effettivamente praticanti).
Secondo Cardini, gli eroi della mitologia e dei poemi classici (l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide e via dicendo) sarebbero i precursori di quelli dei poemi cavallereschi dell’Età di Mezzo, e da questi ultimi sarebbe derivata la Fantasia Eroica moderna, Tolkien in primis. Fin qui ci possiamo tranquillamente stare, anzi, si sente un certo rumore di sfondamento di porte aperte. Contestualmente però (forse non è il caso di dire subito dopo, visti i centocinquanta minuti di tempo che gli occorsero per esprimere il concetto), Cardini sostiene che la figura di Cristo rappresenterebbe l’inveramento degli eroi dell’antichità classica, così come i vangeli rappresenterebbero l’inveramento della mitologia antica, e la figura dell’eroe pagano si prolungherebbe in quelle del santo e del martire cristiani.
La base di questa concezione è ovviamente l’idea del cristianesimo come completamento della cultura classica, una visione cattolica-tridentina che fa a pugni con la realtà storica. Noi sappiamo invece che la cristianizzazione ha rappresentato l’irruzione in Europa di un elemento culturalmente e razzialmente estraneo che non ha avuto con la cultura classica nessun rapporto se non di antagonismo, salvo riutilizzarne i cascami una volta conseguita la vittoria e trasformatosi in potere.
Tra l’eroe pagano e il santo cristiano esistono evidenti differenze che li rendono due figure assolutamente non rapportabili. L’eroe per prima cosa è attivo, è l’estrinsecazione massima delle qualità virili, il santo e a maggior ragione il martire, sono caratterizzati dalla passività, dalla rinuncia all’azione. L’eroe è quasi sempre il campione di una comunità, il santo è alla ricerca di una salvezza individuale.
Soprattutto, occorre evidenziare il fatto che fra l’uno e l’altro c’è una concezione del sacro completamente diversa. Tra il gentile (forse non è il caso di usare troppo il termine “pagano”, inventato dai cristiani a scopo dileggiatorio) che prega in piedi a braccia levate, e il cristiano inginocchiato con le mani giunte, non c’è soltanto una differenza di atteggiamento esteriore. Il gentile – in realtà l’indoeuropeo – è un uomo con un senso profondo della propria dignità e del suo valore personale; nel suo rapporto con il sacro non si umilia, anche di fronte alla potenza soprannaturale, non si spoglia del suo valore come uomo, al punto che il suo rapporto con gli dei è basato su di una sorta di cameratismo. Citavo un verso di Pindaro: “Una è la stirpe degli uomini e degli dei, anche se noi non sappiamo cosa il destino abbia in serbo per noi prima che la notte cada”.
Non sono cose che ho scoperto io. Al riguardo, fa testo il bellissimo Religiosità indoeuropea di Hanns F. K. Gunther.
Completamente diverso è l’atteggiamento cristiano, in realtà semitico (il cristiano è spiritualmente semita, non lo dico io, l’ha detto un papa, Pio XI) di passività, rassegnazione, sottomissione. In arabo, sottomissione si dice islam, e questo è precisamente il nome della religione del Profeta, “sorella minore” del cristianesimo nata dal medesimo tronco ebraico o, come si dice con un termine un po’ tecnico, “abramitico” (le tre religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo, islam “figlie di Abramo”, sia quest’ultimo realmente esistito o meno).
Il riferimento non è per nulla casuale. Anche in seguito a una serie di drammatici fatti di cronaca, oggi che assistiamo ad un’escalation del fondamentalismo islamico, di islam si parla molto, e ne abbiamo parlato parecchio anche sulle pagine di “Ereticamente”. Se avete seguito miei articoli sull’argomento, sapete che sono un sostenitore della tesi che chiamo “tra due fuochi”. Americanismo-sionismo e islam, a mio parere sono entrambi due realtà estranee e ostili all’Europa, e da entrambe abbiamo la necessità di difenderci. Essere filo-americani per avversione verso l’islam o islamofili per avversione verso l’american-sionismo, è come bere il cianuro per dimostrare che non ci piace l’arsenico, o viceversa. In più, american-sionismo e islam non sono affatto così contrapposti da non potersi accordare ai danni dell’Europa, come si vide (a meno che non si sia evitato di vederlo) nella crisi della ex Jugoslavia nella quale abbiamo assistito all’aggressione NATO contro la Serbia in appoggio ai mussulmani bosniaci.
Cardini nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre 2001 è stato autore di uno scritto, La paura e la vergogna, che è una risposta a La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci. Che dire? SUL NEGATIVO hanno entrambi ragione, la Fallaci ha pienamente ragione nel vedere nell’islam un rigurgito di barbarie, di pensiero rozzo e irrazionale, di oscurantismo, ma Cardini ha ugualmente ragione nel sostenere che per l’Europa è inaccettabile un “occidentalismo” a egemonia americana che la vede ridotta al ruolo di comprimario e servitore della potenza d’oltre Atlantico. SUL POSITIVO, ovviamente, hanno entrambi torto.
Può sembrare strano, ma un certo orientamento cattolico tradizionalista manifesta un’inaspettata simpatia per l’islam in cui ravvisa quel modello di religione “forte” con una forte presa sulla società e tutti gli aspetti della vita civile come vorrebbe che il cristianesimo tornasse a essere. Si tratta di un atteggiamento in ultima analisi assurdo, visto lo scoperto odio per il cristianesimo che il fondamentalismo islamico non perde occasione di manifestare, ma non scordiamoci che parliamo di persone il cui modo di pensare è un fascio di contraddizioni. Una posizione catto-islamofila mi sembra sia anche il caso di Cardini.
In un articolo del 2002, aveva vagheggiato quello che forse potremmo definire un ideale euro-mediterraneo o pan-mediterraneo. In pratica il sogno di ricostruire quell’unità del mondo mediterraneo che si suppone esistita nell’antichità, e resa anche politica dalle conquiste romane, infranta in età medioevale con l’espansione dell’islam, una ritrovata unità nella quale l’islam stesso dovrebbe essere in qualche modo inserito.
Ho il sospetto che Cardini non abbia mai letto Spengler. Secondo l’autore del Tramonto dell’Occidente, all’ombra della civiltà classica ellenistico-romana, coperta da quest’ultima, nell’area mediorientale si sarebbe sviluppata la cultura che egli chiama arabo-magica, che avrebbe messo in crisi la cultura classica con l’avvento del cristianesimo, e sarebbe giunta alla piena consapevolezza di se stessa con l’islam. Questa vagheggiata unità mediterranea non sarebbe dunque mai realmente esistita, tranne che a livello strettamente politico con le conquiste militari romane.
“Questi possono essere i limiti della “sfida europea” del XXI secolo, quello succeduto al “secolo americano”, il XX. Una sfida suscettibile di rimettere in discussione le stesse radici storiche dell’Europa: rileggendone la storia in una chiave che riproponga come centrale la sua origine mediterranea, vale a dire la grande cultura ellenistica nata dalla rivoluzione politico-culturale di Alessandro e ripresa in termini specifici dalla tradizione di pensiero romana avviata all’interno del Circolo degli Scipioni, maturata con l’esperienza democratica e imperiale di Cesare e culminata in due grandi eventi epocali: la Constitutio Antoninianadel 212 e la cristianizzazione dell’impero”.
Avevo già esaminato questo brano nella quinta parte di Tra due fuochi, ed evidenziato il fatto che tutti quelli che Cardini scambia per elementi costitutivi di questa presunta cultura euro-mediterranea sono in realtà altrettanti fattori di decadenza della civiltà classica antica. Senza alcun dubbio, le conquiste militari di Alessandro portarono a un’estensione della cultura ellenica a una vastissima area non greca, ma anche alla sua progressiva contaminazione e diluizione a contatto con quelle orientali. Il Circolo degli Scipioni aprì le porte a un’analoga contaminazione del mondo romano, e sappiamo che la loro opera fu aspramente combattuta, ad esempio da Catone il Censore che vi vedeva né più né meno che l’abbandono delle tradizioni patrie che avevano fatto grande Roma. La Constitutio Antoniniana fu la concessione da parte dell’imperatore Caracalla della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero, motivata dalla rarefazione dell’elemento romano-italico: “tutti romani, perché non ci sono più romani”.
Chiaramente, la posizione fideistica cattolica di Cardini gli impedisce di riconoscerlo o quanto meno di ammetterlo, ma la cristianizzazione dell’impero fu la resa del mondo romano a un elemento estraneo, mediorientale, non indoeuropeo.
Approfondendo ulteriormente l’analisi, possiamo notare che tutti questi fattori di decadenza vanno nel senso del passaggio da una realtà centrata sulla stirpe, che è cultura, storia, ma prima di tutto comunità e continuità di sangue, ad una sempre più cosmopolita, o come si dice oggi, multietnica.
Questo ci dà una chiave interpretativa precisa. Sappiamo CHE COSA fa realmente degli uomini ciò che essi sono.
E allora non abbiamo alcun motivo per non sbarazzarci non solo del cristianesimo in tutte le sue varianti compresa la cosiddetta tradizionalista cattolica, ma più in generale di quel tradizionalismo alla Guenon, che Julius Evola riconobbe giustamente come formalista anche se a sua volta non riuscì a sganciarsi del tutto da quella mentalità, che lascia sempre una porta aperta verso modi di pensare abramitici.
A questo punto, non ci accontenteremo della s-Polia-zione di Polia, ma procederemo allo s-Cardina-mento di Cardini, non ci faremo incantare da nessuna fata Morganti, e diremo a don Curzio di (Ni)togliersi di mezzo.
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