12 Ottobre 2024
Punte di Freccia

Sangue e Acciaio, la Giovinezza e una canzone… – Mario Michele Merlino

1918, fine della Grande Guerra, rendiamo omaggio al mito – nel suo saper parlare al cuore oltre che al pensiero riflettente – della giovinezza. Furono i ‘ragazzi del ’99’ a fare sponda alla riva del Piave, estrema difesa della Patria (allora si poteva e doveva scrivere in maiuscolo, oggi è troppo definirla ‘paese’). Furono i ‘ragazzi del ‘99’ che si lanciarono, balzo finale, fra i primissimi a conseguire il crollo definitivo delle armate austro-ungariche, Vittorio Veneto. I ‘ragazzi del ‘99’ e gli arditi premessa e promessa dei legionari fiumani dello squadrismo e, nel momento più cupo e vergognoso, dopo l’8 di settembre, dei balilla che andarono a Salò.

(In quest’ultimi tempi, a cura di piccole e agguerrite case editrici e con prefazione di Giacinto Reale, esperto cocciuto e instancabile, sono stati ripubblicati racconti sullo squadrismo. Penso a Venti su un autocarro di Guido Strumia, edito nel 1938, o Camions di Adolfo Baiocchi del ’32. A parte i racconti scritti dallo stesso Reale, tra storia e invenzione narrativa. Tripudio di una gioventù irriverente e sanguigna, delusa sovente dalla normalizzazione di un Fascismo in cerca di legittimità, divenuto troppo presto adulto e forse resosi fiacco. ‘Erano bei giovanotti, i fascisti! Con la camicia nera aperta sul collo, le maniche rivoltate sugli avambracci venati e muscolosi, il fez a sghimbescio sui capelli bruni che uscivano, simili ad un’ala nera, dando ai volti un’aria sbarazzina e nello stesso tempo marziale…’. Lo confesso questa è la bellezza che, sola, può salvarci dal grigiore la noia e le fallaci sirene).

Sui banchi del liceo ho visto il volto di più generazioni, ogni anno diverso medesima l’età, per circa quarant’anni, con passione e affetto, ricordando loro che la ragazza il motorino la discoteca il pallone appartengono loro, certo, ma che vi furono coetanei che vi rinunciarono memori fedeli degli ideali che ci preservano giovani dei sogni che ci rendono liberi. Retorica, forse. E forse le stragi del sabato sera e quanto riempie le cronache dei quotidiani sono meno ‘perverse’ di quel ‘pugnal fra i denti, le bombe a mano’… Il mondo si raffigura si giudica si ama con gli occhi le emozioni i sentimenti e sono essi la misura nostra e indivisibile. Ed io, in fondo, sono rimasto prigioniero dei miei sedici anni, quando mi iscrissi alla Giovane Italia più per tradurre le suggestioni tratte da I pirati della Malesia e da Il Corsaro Nero che per una analisi compiuta sul Fascismo ‘immenso e rosso’.

Novembre 1914, Langemarck, villaggio belga nei pressi di Ypres (qui per la prima volta furono usati gas asfissianti, l’iprite). Gli inglesi, pur malconci, difendono le trincee e ostinati respingono ogni tentativo, altrettanto ostinato, di sfondare le linee da parte germanica. ‘E allora accadde l’incredibile: nel mezzo di un attacco notturno – uno degli innumerevoli attacchi – negli ultimi giorni di ottobre del 1914, già sotto la pioggia del fuoco nemico, accesi dalla luce infuocata e selvaggia di nuvole immobili nel rosso riflesso di diaspro della battaglia, schiere di giovani scattarono improvvisa-mente, come spinte da un unico spirito, dalle trincee, dalla piatta terra, pronti a dare tutto e si gettarono, con una canzone che sgorgava impetuosa dalle labbra… seguiti da altri che, come trascinati, cantavano anch’essi… nella morte’.

Così descrive l’avvenimento lo scrittore Rudolf G. Binding in Kriegstagebuch (1925), che partecipò alla cosiddetta ‘Rivoluzione conservatrice’ – un coagulo di intelligenze, ognuna con propria peculiarità, che rappresentò quella Destra (?) rivoluzionaria di cui scrisse, in Italia, Adriano Romualdi nella sua tesi di laurea e pubblicata postuma. Anzi per il giovane intellettuale solo la Germania esprime il più autentico spirito europeo, indissolubile legame e invisibile tra sangue e suolo e quelle ‘idee senza parole di cui parlava Oswald Spengler. Ed è proprio Binding, partendo da quanto accaduto a Langemarck – quei giovani volontari del movimento giovanile tedesco, falciati dalle mitragliatrici inglesi a migliaia (in quei giorni di furore ne caddero 40.000), con la baionetta innestata impavidi e cantando l’inno della Germania avanti e sopra ogni particolare egoismo (‘ueber alles’, appunto) – affermò che nel loro sacrificio v’era il simbolo del rinnovamento nazionale.

Ernst Juenger nel celebre In Stahlgewittern (Tempeste d’acciaio), in un capitolo dal titolo proprio Langemarck, dove descrive i combattimenti ormai nella fase terminale del conflitto e nel medesimo luogo, racconta del terreno devastato dalle bombe crateri fango macerie a riportare nella luce vivida delle esplosioni i resti di corpi e di oggetti di quei giovani ormai caduti anni prima. ‘Le pale urtarono contro fucili, fibbie di cinturoni e bossoli del 1914; non era dunque la prima volta che quel terreno beveva sangue. In quel posto si erano battuti prima di noi i volontari di Langemarck’. La Madre Terra, il potere tellurico, da essa lo scatenamento d’ogni energia, ad essa il ritorno e la quiete della morte. La guerra le appartiene.

Nella capacità di mantenere la descrizione del conflitto con analisi asciutta e distacco interiore, nel comprendere la intrinseca ed esplosiva unicità della Grande Guerra, Ernst Juenger diviene la voce più alta della Kriegsideologie e, al contempo, libero da retorica e toni romantici il suo andare oltre. Dalla prima pagina del medesimo libro – numerosi altri s’accompagneranno – si legge: ‘La guerra ci aveva afferrato come una ubriacatura’. Di questa ebbrezza, contro ‘la monotonia della vita sedentaria’, furono appunto fulgida espressione i volontari che si mossero cantando. Per coloro che sopravvissero la scoperta d’altro. Non l’orrore e il disgusto e infine il rifiuto alla Remarque di Niente di nuovo sul fronte occidentale. Quando si definisce Juenger l’anti-Remarque, non è il fango la trincea i corpi lacerati il cielo plumbeo scassato dalle esplosioni a contrapporli. Quest’ultimo sa cogliere la potenza e la rigenerazione che, tramite la guerra, si annunciano. La morte dei giovani a Langemarck non lacrima il martirio, essa esalta l’eroismo…

Il filosofo Martin Heidegger, rettore dell’università di Friburgo, nell’allocuzione pronunciata il 25 novembre 1933 durante la cerimonia di immatricolazione degli studenti afferma come nella nuova realtà tedesca ‘porremo questa festa… sotto il simbolo di Langemarck’. La Gemeinschaft (la Comunità), meglio la echte deutsche (la autentica tedesca) Gemeinschaft, poggia la sua esistenza e il crescere nell’ideologia della guerra dove l’eroe, scolpito nel marmo degli innumerevoli monumenti funebri, è giovane e bello. In quello dedicato proprio ai volontari del novembre ’14 si poteva leggere incisa sulla dura pietra la seguente iscrizione ‘La Germania deve vivere, anche se noi dobbiamo morire’ (rimossa, va da sè, dopo il ’45).

E, a conclusione non si può sottacere quanto leggasi (pag. 179, ed. italiana, 1940) nel Mein Kampf. Hitler è sul fronte delle Fiandre, arruolato con incarico di staffetta portaordini nel reggimento List bavarese , e racconta: ‘Da lontano giungevano fino al nostro orecchio ‘gli echi di una canzone, si avvicinavano, passavano da compagnia a compagnia; e proprio mentre la morte cominciò ad affaccendarsi nelle nostre fila, quel canto ci raggiunse con pieno empito, e anche noi lo intonammo trasmettendolo più avanti…’. Vivere quella epopea non soltanto come icona da onorare, si insegnò alla scuola della HJ (la Gioventù hitleriana), e che fu lezione generosamente raccolta lo si vide a Berlino, maggio ’45, con il Panzerfaust contro i T34 sovietici…

Giovinezza, sangue e acciaio, una canzone. Nella volgarità del presente nel frastuono ove domina sovrana la disarmonia l’ardore dei cuori l’ardire tace. Nel silenzio, però, si raccoglie e si protegge pur sempre la vita. Nel bosco la bella addormentata, narra la favola, attende fiduciosa il momento del sicuro risveglio. A Langemarck ha abbracciato, nella morte, la nascita di altra e più nobile esistenza. Di elmetti d’acciaio, di divise feldgrau. Il mito quale storia soggiace all’oblio di esseri ‘indecenti e servili’, esso però coabita con ciò che si mantiene oltre. Anche noi abbiamo una canzone da gettare al vento, una bandiera da innalzare al sole… Giovinezza. E, al suo fianco, la fonte sorgiva della fierezza e della speranza.

6 Comments

  • giacinto reale 18 Marzo 2018

    ll bel pezzo di Mario, mi suggerisce una riflessione.
    Se quelli della nostra generazione sono così, “prigionieri dei sedici anni, quando mi iscrissi alla Giovane Italia”, è perchè nel sangue era “passato”, attraverso padri e nonni (e lo stesso era stato per loro prima) , il “mito” della guerra (orrori e splendori) e della giovinezza che in essa si esalta(va).
    Poi è finito: come ha scritto Massimo Fini una volta, alla nostra generazione è mancata l’esperienza della guerra, e per questo, anche i “migliori” hanno poco da “passare” a chi viene dopo…per loro: “motorino, discoteca e pallone”

  • giacinto reale 18 Marzo 2018

    ll bel pezzo di Mario, mi suggerisce una riflessione.
    Se quelli della nostra generazione sono così, “prigionieri dei sedici anni, quando mi iscrissi alla Giovane Italia”, è perchè nel sangue era “passato”, attraverso padri e nonni (e lo stesso era stato per loro prima) , il “mito” della guerra (orrori e splendori) e della giovinezza che in essa si esalta(va).
    Poi è finito: come ha scritto Massimo Fini una volta, alla nostra generazione è mancata l’esperienza della guerra, e per questo, anche i “migliori” hanno poco da “passare” a chi viene dopo…per loro: “motorino, discoteca e pallone”

  • Enrico 18 Marzo 2018

    Un articolo interessante. La gioventù moderna, che non è capace di pensare ad altro che al godimento, che non ha nessun valore oltre l’egoismo, è il risultato di una decadenza ormai secolare. Questo atteggiamento è derivato dall’ambiente in cui hanno vissuto. “Dio è morto” dunque, per dare senso alla vita, il centro diventa non il “superuomo” che realizza se stesso individuando la propria natura, ma l’uomo inteso come animale che soddisfa le sue pulsioni.

  • Enrico 18 Marzo 2018

    Un articolo interessante. La gioventù moderna, che non è capace di pensare ad altro che al godimento, che non ha nessun valore oltre l’egoismo, è il risultato di una decadenza ormai secolare. Questo atteggiamento è derivato dall’ambiente in cui hanno vissuto. “Dio è morto” dunque, per dare senso alla vita, il centro diventa non il “superuomo” che realizza se stesso individuando la propria natura, ma l’uomo inteso come animale che soddisfa le sue pulsioni.

  • mario michele merlino 18 Marzo 2018

    caro enrico, mi metti in testa e sulla tastiera un di più che non mi appartiene… ho poche ideuzze e qualche immagine forse felice. non sono sulle barricate contro il mondo dell’oggi. sono, come tutti i vecchi, nostalgicamente prigioniero di una diversa giovinezza. che sia stata migliore lo credo, ma ciò conta poco o nulla…

  • mario michele merlino 18 Marzo 2018

    caro enrico, mi metti in testa e sulla tastiera un di più che non mi appartiene… ho poche ideuzze e qualche immagine forse felice. non sono sulle barricate contro il mondo dell’oggi. sono, come tutti i vecchi, nostalgicamente prigioniero di una diversa giovinezza. che sia stata migliore lo credo, ma ciò conta poco o nulla…

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