No, Emma, mi duole dover scrivere che, purtroppo, di fronte all’occasione di poter far conoscere la nostra storia dimostriamo essere inadeguati poco professionali timorosi quasi… Già, una sorta di complesso d’inferiorità verso i nostri avversari, questi sì armati di P38 e di ferrea ideologia, come se noi fossimo stati figli di un dio minore. Entrati, chi per caso chi per noia o per vocazione al martirio quando non feroci psicopatici e disadattati, dalla porta sbagliata… Questa l’impressione ricavata durante la proiezione, in anteprima, del film Sangue sparso, al cinema Barberini, il 10 giugno che, pura casualità, è anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia ‘proletaria e fascista’, tanto per non dimenticare quel conflitto che fu sì dell’eterna guerra ‘del sangue contro l’oro’ ma fu anche scontro fra due opposte visioni del mondo. E di cui brigatisti autonomi compagni sparsi si consideravano eredi legittimi, piazzale Loreto incluso…
Mi viene a mente quando, allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni Maurizio Gasparri, venne realizzato lo sceneggiato Il cuore nel pozzo sul dramma delle foibe, dell’esodo delle genti istriano-dalmate. Non una volta fu pronunciato il termine ‘comunista’ ad indicare gli infoibatori assassini, quasi si trattasse di ‘pulizia etnica’ (e certamente lo era, in quel 1943 e anni successivi ma, sul berretto dello slavo, campeggiava orgogliosa e avida la stella rossa). Insomma da confondersi con il regolamento di conti, di tutti contro tutti, nell’implosione della ex Jugoslavia. E, allora, non ci si stupisca che, in questo 2014, vi siano imbecilli e infami che si sentano in obbligo di attaccare manifesti inneggianti a Tito partigiani e foibe…
Potrei citare Il sangue dei vinti che, come i precedenti sulla malga di Porzùs e sulla battaglia di El Alamein, sono apparsi come meteore e, come astri in libera caduta, sono scomparsi senza lasciare traccia né rimpianto. E’ vero, però, che erano produzioni realizzazioni che con il ‘nostro’ mondo poco o nulla avevano a che spartire. Non li assolve, li giustifica forse… Qui siamo in casa (?) e giochiamo in casa con giovani e giovanissimi ‘attori’ (magari un breve corso di recitazione avrebbe potuto essere di conforto), alcuni figli di coloro che hanno vissuto quegli anni o che avrebbero dovuto recepire le testimonianze, scritte ed orali, di coloro che, in quegli anni, si trovarono a giocare un ruolo. E il cinema Barberini s’è trasformato in ‘casa’ con facce note, un tempo sognatori e combattenti, alcuni dei quali non solo non hanno sopportato l’anagrafe impietosa ma neppure, il che è ‘imperdonabile’, le lusinghe di questo oggi che, per dirla con Nietzsche, ‘appartiene alla plebe’. Una passerella dove occupava ampio spazio la stazza di Storace che elargiva sorrisi a tutti e ai meno ‘fortunati’, come al sottoscritto, forzati e forzosi ammiccamenti, spiritato l’Ignazio la Russa sgambettante come se un invisibile burattinaio ne muovesse a caso i fili, Giorgia Meloni in nero (come interpretarne la scelta?) algida impassibile oserei dire anche un po’ sprezzante, Gianni Alemanno e consorte, defilato lui consapevole di essere ormai un ‘inutile’ sopravvissuto tutta bla-bla lei illusa di poter usufruire di quell’ombra di cotanto padre, simile ad alone credibile…
Sapevo da lunga data del film in oggetto, quando ancora andavano girando le sequenze, io presente, ad esempio, la sera del 7 gennaio ad Acca Larentia come poi si vedrà nella scena finale. Con Emma avevo, ancor prima, preso parte ad un dibattito su quegli anni in una località della Ciociaria di cui non ricordo più il nome. Confesso che ne trassi un giudizio ‘positivo’, pur con le dovute cautele, apprezzando la sincera tenacia di riuscire a realizzare il suo progetto. Impressione solo scalfita in un successivo incontro avvenuto in un salone messo a disposizione dalla Croce Rossa. Certo trovavo un po’ servile il compromesso ai dettami imperiosi della ‘sinistra’ avendo voluto inserire l’assassinio del ‘compagno’ Roberto Scialabba e quello più movimentato di Valerio Verbano (oltre tutto avvenuto al piano sopra il mio e aver poi visto la scena con la madre legata a terra il padre sul letto e il ragazzo riverso sul divano), una sorta di buonismo come insipida marmellata – espressione della lontananza ‘siderale’ e dalla comprensione di stati d’animo emozioni vissuto quotidiano idee spinte esistenziali sogni di cambiamento rabbia inganni motivazioni cameratismo…
Mi duole… Ho sempre sostenuto, con un accento di civetteria, come mi sembrasse doveroso l’impegno di scrivere tenere conferenze presentazioni girare il nostro paese, anche quando andavo percependo i segnali dell’età una certa stanchezza un trovarmi lontano dalle modeste comodità della mia stanza, perché mi sentivo – e mi sento – responsabile di aver partecipato alle premesse di quel periodo, degli ‘anni di piombo’ come vennero chiamati. Non in termini giudiziari non morali non di coinvolgimento e partecipazione non di condivisione magari tacita… ma perché, nel ’68 e dintorni, alcuni di noi intrapresero un percorso di rottura con usi e costumi abitudini e luoghi comuni della ‘destra’ cialtrona vile becera ipocrita da cui, a vario titolo, s’era omologati. Ci sembrò essere lecito parlare di rivolta generazionale, di venti del cambiamento,di restare saldi nella strategia e arditi nella tattica, di avventurarci là dove ancora nessuno dell’area aveva osato pensare mettersi in cammino guardare oltre ed oltre ancora… Aria di rivoluzione…
(Un anno i rappresentanti degli studenti del liceo mi chiesero se potevo loro organizzare un’assemblea sugli anni della contestazione, sugli anni del terrorismo. Invitai Peppe Dimitri e Alberto Franceschini. E a quest’ultimo che ricordava come le BR avessero scelto la lotta armata proprio dopo la strage di piazza Fontana, nel timore di un annunciato presunto reale golpe, feci proprio questo discorso sulla responsabilità… l’abbraccio fra di noi portò quale effetto l’ulteriore ostracismo dei miei ‘colleghi’ – cosa che, vi assicuro, mi lasciò totalmente indifferente…).
Ora Sangue sparso propone dei giovani che vedono l’esistenza dei loro camerati spezzata, sentimenti d’amicizia e affetto infranti, si abbracciano piangono dolenti si chiedono perché e quando finirà tanto strazio stupiti… e mai una parola d’orgoglio di sfida d’ideali e d’onore… mai una parola ove risuoni un’idea, una ideuzza, un barlume di scelta consapevole in nome di qualcosa, identità comunità termini persi… insomma dei giovani che nulla hanno da dire nulla da proporre nulla da rivendicare – ‘uomini di paglia’ li avrebbe definiti il poeta Eliot che, in vita e nella morte, si affidano ad una lamentazione non ad uno schianto – non quelli cantati da Pound nella gabbia di Coltano ‘uno schianto uno schianto non una lagna per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle’… Non al tipo umano di Sangue sparso passò, tragicamente, il nostro testimone; non siamo qui con la mente ed il cuore, con la parola e la penna per quelli rappresentati e malamente, no, noi ci sentiamo in dovere con Franco Anselmi, ad esempio, che bagnò il passamontagna di Mikis Mantakas con il sangue di Stefano Recchioni, in un rito pagano dove non c’è posto per il perdono non c’è ombra di un dio a cui inginocchiarsi…
Mario M. Merlino
Mario M. Merlino
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