29 Agosto 2024
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SGARBI, L’ARTE E IL FASCISMO. Una visione pasoliniana, non storica


Pietro Cappellari

Leonessa (Rieti), 24 Agosto – Vittorio Sgarbi è certamente un personaggio straordinario che ha saputo coniugare cultura e provocazione, tanto da diventare uno dei pochi intellettuali italiani ad avere un seguito popolare, oltre che un generale apprezzamento in ambito accademico per il suo alto profilo di studioso. Il suo passeggiare per le vie delle città è spesso interrotto da ragazze e ragazzi che chiedono una foto, come le sue conferenze sono veri e propri eventi. La presentazione del suo ultimo interessantissimo libro Arte e Fascismo (La Nave di Teseo, 2024) in quel di Leonessa ne è stato un esempio lampante: il Chiostro di San Francesco pieno in ogni ordine di posti, come mai lo si era visto.

Sgarbi ha raggiunto la meravigliosa cittadina reatina, alle spalle del Monte Terminillo, per presentare – come abbiamo accennato – il suo ultimo lavoro, scaturito dopo l’allestimento della “rivoluzionaria” mostra al MART di Rovereto (di cui è Presidente) dal titolo Arte e Fascismo dove, per l’appunto, è stato dato lustro all’arte esplosa durante il Regime. Esposizione fortemente voluta da Vittorio Sgarbi e magistralmente curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari.

Qualcosa che ha ben pochi precedenti, tanto forte è la censura che gli antifascisti hanno imposto a tutti gli artisti che, durante il Ventennio, concepirono le loro opere. Erano fascisti e, quindi, se non potevano essere cancellati fisicamente come ai “bei tempi” della Resistenza, lo fossero almeno nella memoria collettiva: essi non erano mai esistiti, come le loro opere. “Arte degenerata” secondo il pensiero dei comunisti. Arte da distruggere come vorrebbero oggi i neopartigiani della cancel culture.

Non ci sono riusciti e Sgarbi ha avuto il coraggio di parlare di loro. “Coraggio”, abbiamo detto. Coraggio di parlare in democrazia… e già questo dice tutto sul sistema ciellenista che, ancor oggi, grazie al determinante contributo della destra è al potere.

Il noto Professore, sia chiaro, non fa nessuno sconto al fascismo. Anzi. Si professa subito antifascista, lasciando un po’ sorpresa la platea. «Siamo tutti antifascisti», dice rivolgendosi al pubblico. «La nostra Costituzione è antifascista», sbandiera solennemente. «Meloni è antifascista», chiarisce. «Il fascismo fu violenza, tragedia. Il fascismo impediva di parlare alle persone libere», sentenzia.

Una introduzione che ha il sapore della forzatura, necessaria forse per porsi al riparo dalle saette dei suoi colleghi che già masticano amaro nel vederlo in “area destra” ed ora, addirittura, nei panni dello sdoganatore del fascismo nel mondo della cultura, che deve rimanere “cosa nostra” per i marxisti che ancora occupano enti ed istituti pubblici, archivi e biblioteche, scuole e università, percependo ovviamente laute “parcelle” in denaro della collettività.

Introduzione, oltretutto, non richiesta. Solo un imbecille potrebbe pensare ad un’infatuazione mussoliniana di un uomo come lui, conosciuto da sempre come un liberale e sincero democratico. È pur vero che di imbecilli – oltre che di delinquenti candidabili – la sinistra è piena e “tutti abbiamo famiglia”.

Però, dopo l’atto di fede, Sgarbi precisa che oggi il “fascismo” è incarnato… dagli antifascisti di professione, quelli che censurano chi non la pensa come loro.

Forse ridurre il fascismo ad un “luogo comune”, ad un “vezzeggiativo” per indicare il “male assoluto” in tutte le sue espressioni ed epoche è un’operazione grossolana. Gli antifascisti fanno gli antifascisti. E se sono liberticidi, censori, violenti, totalitari, supponenti, è perché questo è il loro DNA e non serve certamente scomodare “eredità mussoliniane” per condannare simili atteggiamenti, come abbiamo cercato di dimostrare nel nostro L’invenzione dell’antifascismo (Passaggio al Bosco, 2024).

Di là di questa introduzione e della conseguente chiusura, il Professore inizia la lectio magistralis con un susseguirsi di riflessioni che sono veri e propri fulmini a ciel sereno per le imbottite coscienze degli ascoltatori, tra cui si notano alcune radical chic, con tanto di rolex e vestiti da straccione tipici dell’ambiente politico di riferimento, la borghesia di sinistra.

Già l’esordire nel riconoscere la libertà che il Regime lasciò agli artisti e le sovvenzioni che concesse loro – a differenza del “dopo” – è qualcosa che mai si era sentito in ambito accademico. Così come il riconoscere come il Regime comprese l’importanza dell’arte non solo per fini propagandistici, cosa che mai il sistema ciellenista, in 80 anni, ha fatto, son tutte cose che fanno profondamente riflettere.

Ma, subito dopo, ancora la tecnica di “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Sgarbi formalizza la sua tesi: “Il fascismo non fu arte, l’arte non fu fascismo”. Una vera e propria “etichetta di sicurezza” che l’uomo di cultura ha voluto imprimere nel suo libro, per giustificare il rivoluzionario accostamento tra le parole “arte” e “fascismo”.

Del resto, in 80 anni, quelle poche volte che si è accennato alla cultura e all’arte fiorita durante il Ventennio, la censura ciellenista ha posto al bando ogni riferimento al fascismo, utilizzando parole neutre come “Anni ‘30”, “Novecento”, “tra le due guerre”, “dopo il Primo conflitto mondiale”, ecc. Insomma, per la sinistra, la parola “fascismo” fa lo stesso effetto del crocefisso per i vampiri. Deve essere estirpata dai libri di scuola, dalla memoria collettiva e, soprattutto, dalle coscienze degli Italiani. Come voleva Togliatti, con gli strumenti di Gramsci (gli unici “purtroppo” leciti in democrazia).

Cosa vuole dire il Professore con “il fascismo non fu arte”? Sembra una contraddizione con tutto quanto quello che lui afferma durante la lectio.

Sgarbi sostiene che, sebbene gli artisti – gli straordinari artisti – del Ventennio fossero tutti fascisti, tutti tesserati, tutti convinti estimatori del Regime, la loro arte era “libera”, ossia nasceva da una “nicchia celebrare” estranea alla politica di cui si facevano assertori. Forse un po’ troppo. È vero, verissimo, che ognuno, durante il Regime, era libero di fare quello che voleva e lo fece. Certo, dipingere un fiore, un paesaggio, un contadino, non era un’azione politica, ci mancherebbe altro. Ma tutti coloro che sposarono una Weltanschauung fascista furono fascismo, ed anche la loro produzione risentì di questa visione del mondo. Perché al fianco dei fiori, dei paesaggi, ecc., vi furono opere intimamente fasciste, nel senso che furono ispirate da una precisa Weltanschauung, non semplicemente commissionate a “battitori liberi” che avrebbero stilizzato un fascio con lo stesso spirito con cui avrebbero dipinto una falce e martello se ben pagati. Certamente, ci furono i profittatori, i carrieristi… li troveremo tutti dopo a fare gli antifascisti. Ma furono solo dei miserabili, non certo dei “redenti” dell’acculturazione democratica.

Ci furono tanti artisti che seppero rimanere coerenti con le loro idee, pagandone poi un prezzo salatissimo sull’altare della “democrazia” imposta dagli USA alla “colonia-Italia”.

Ovvio che il Fascismo, proprio per la sua liberalità – che stride con il sistema liberticida che si denuncia ad ogni occasione – non ebbe un’arte propria, di Regime, come lo fu nella Germania nazionalsocialista, ma le città di fondazione cosa furono?

Non furono espressione di una visione del mondo rivoluzionaria propria del fascismo?

Littoria, Tresigallo, Pomezia, Aprilia, Pontinia, Fertilia, Carbonia, ecc. sono città fasciste e il fatto che durante la lectio Sgarbi scivoli più volte sugli inevitabili termini “arte fascista” e “architettura fascista” ne è la più eclatante conferma.

Sì, si può dire arte fascista, si può dire architettura fascista. Senza tante “introduzioni”, senza tanti fronzoli fumogeni.

La constatazione della straordinarietà di questa arte fascista, è sempre il Professore che lo dice, è il fatto che l’UNESCO è andato in Africa per riconoscere e proteggere una città italiana costruita durante il vituperato Regime: Asmara. Città italiana e… fascista sia chiaro! Perché a costruirla furono gli Italiani-fascisti, tanto è vero che caduto il Fascismo nessuna città fu più costruita, nessuna visione artistica fu mai perseguita, nessuna nuova corrente si sviluppò, nessuna nuova visione del mondo ispirò la cultura italiana.

Asmara è fascista perché fu il Fascismo a volerla. E così tutte le città di fondazione, così tutte le opere d’arte a soggetto politico. Ispirate da una Weltanschauung totalizzante e mistica.

Sabaudia, Littoria, Pomezia, l’EUR, proprio per l’antifascismo congenito che soffoca le menti dell’Italia di oggi, rimangono ancora abbandonate a se stesse, stuprate nell’anima e nella struttura dalle speculazioni edilizie della “democrazia più bella del mondo”. E l’UNESCO corre in Eritrea…

Del resto, il razionalismo fu l’ultima espressione della Civiltà italiana: dopo ci fu il buio. E questo si deve nascondere, è questo che gli antifascisti devono nascondere. Magari abbattendo le vestigia di quel passato che con i suoi marmi ancora splendenti stride con il fango della contemporaneità.

Sgarbi è un uomo intellettualmente onesto. Non può nascondere, come hanno fatto i marxisti all’Argan, i censori alla Calvino, ciò che fu compiuto, ciò che fu realizzato. Come non può commiserare tutto quello che venne fatto dopo, durante il “regime della libertà”, nella distruzione, nella speculazione, nel disinteresse, nella cementificazione. Ai marmi del Foro Mussolini si oppone il degrado di Corviale; alle torri littorie saettanti nei cieli di mezza Italia si oppone la vergogna delle Vele di Scampia; alla bonifica integrale e alle terre redente nel lavoro si oppongono le tragedie del Vajont e della Terra dei Fuochi.

Qualcuno dal pubblico che ha compreso la lectio comincia a sbandare. Non capisce. Si sente smarrito davanti alla bellezza dell’arte fascista… che non è fascista.

Sembra di trovarsi davanti agli innamorati estimatori di d’Annunzio, di Gentile, di Pirandello che non avendo il coraggio o l’onestà di ammettere la realtà dei fatti, alla fine continuano ad amarli specificando che, comunque, d’Annunzio, Gentile o Pirandello… non erano in realtà fascisti.

Tutto molto bello sotto il cielo della democrazia “fai da te”.

Ma come? – si domanda il pubblico – ci hanno sempre dipinto i fascisti come barbari ed oggi ci si viene a dimostrare che erano artisti veri, eccezionali, come mai ci sono stati in quest’ultimi 80 anni di “libertà”?

Ma come, ci hanno detto che erano i “nazifascisti” a censurare gli artisti, ad impedire di parlare agli “uomini liberi”, ed oggi ci si dimostra che i “democratici” hanno censurato, bollato come “arte degenerata”, impedito di parlare chi non si allineava al sistema ciellenista al potere?

Anche il “famigerato” Premio Cremona – istituito niente meno che dall’intransigente Roberto Farinacci, uno dei simboli del “male assoluto” – fu fucina di straordinari artisti, scrittori, poeti. Il “barbaro” Farinacci… Ma come è possibile tutto ciò?

Ma Sgarbi interrompe lo scuotere delle tenere coscienze. Cita subito Pasolini, non il gufino che denunciava alle superiori gerarchie i compagni antifascisti, sia chiaro. Il Pasolini “redento”, ovviamente. Quello che, espulso per immoralità dal PCI, amava la “democrazia” e i bambini, e tanto piace alla sinistra che non ha mai letto una riga di quello che ha scritto, limitandosi a speculare sulla sua morte che tutto dice sulla sua vita.

Sgarbi ci parla della denuncia pasoliniana dello scempio di Orte, in provincia di Roma, violentata dalla “democrazia” con i palazzi popolari che stuprarono il vecchio romantico viale alberato che portava al paese. Ci parla del desiderio dell’antifascista Pasolini di “esiliarsi per studio” a… Sabaudia, quella Sabaudia – dice sempre Pasolini – sempre irrisa dagli intellettuali marxisti eppure da lui riscoperta in tutta la sua bellezza: “Quanto abbiamo riso noi intellettuali, dell’architettura del Regime, sulle città come Sabaudia… Eppure adesso questa città la troviamo assolutamente inaspettata… La sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo. Il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assumesse un carattere tra metafisico e realistico”.

Ecco, Pasolini si innamorava dei luoghi simbolo dell’architettura fascista. Ma non poteva ammetterlo. Non si trattava del ritorno di fiamma di antiche passioni littorie, no, no, quando mai! Pasolini giustificava questo suo innamoramento sostenendo che Sabaudia – e con essa Littoria, Pomezia, Aprilia e le altre cento città e borghi edificati dal Regime – non era… una città fascista!

E un sospiro di sollievo rassicurante si sente diffondere tra il pubblico del chiostro: ci stavamo innamorando dell’arte fascista, dei busti bronzei di Mussolini, delle “mascelle votive”, delle città di fondazione. Per fortuna non erano fascisti… Lo ha detto il roseo Pasolini: “Allora io penso questo: che il Regime fascista non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere, ma questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente. Non è riuscito ad incidere, nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell’Italia.

Sicché Sabaudia, benché ordinata dal Regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico, non trova le sue radici nel Regime che l’ha ordinata, ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente, ma che non è riuscito a scalfire.

È la realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale che ha prodotto Sabaudia e non il fascismo.

Ora, invece, succede il contrario. Il regime è un regime democratico, eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il Potere di oggi, quello della civiltà dei consumi, riesce ad ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia aveva prodotto in modo storicamente molto differenziato.

Questa acculturazione sta distruggendo in realtà l’Italia. Allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo Potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia” (7 Febbraio 1974).

Ma le cose non stanno proprio così e non perché un abisso morale ci separa dal poeta e dai suoi “ragazzi di vita”. Perché quell’arte che si sente il bisogno di defascistizzare a tutti i costi, tutta fatta di fasci e militi, di “mascelle votive” e sacre fiamme; scaturita dal genio e dalla mano di fascisti convinti e fedeli; non è arte e basta, come potrebbe essere una scialba mostra qualsiasi allestita in qualsiasi sistema liberale e democratico. No. Quell’arte aveva un’anima, uno spirito. Quell’arte scaturì perché il Regime fascista permise questo. Volle questo. A differenza di quanto avviene oggi, dove un cumulo di immondizia viene chiamato “arte”, ma è solo lo specchio della attuale società.

Quindi si capisce la tesi di Sgarbi. Se al fascismo togliamo le idee rivoluzionarie, lo Stato sociale, il regime corporativo, le conquiste nazionali ed internazionali, la considerazione e il credito planetario ottenuto – da Ghandi ai Presidenti degli USA –, se al fascismo togliamo il consenso degli Italiani, la mistica, la spiritualità, la politica, l’eroismo dei suoi martiri, la fede del suo popolo… l’arte!… ebbene, forse ha ragione Pasolini, rimane solo la violenza, la dittatura (“di sviluppo”!), la guerra, il razzismo (all’italiana). Ma anche in questo caso, il fascismo sarà sempre fanalino di coda nella classifica dei crimini contro l’umanità rispetto alle democrazie liberali, rispetto al censore, inumano, terroristico comunismo in tutte le sue salse. No, caro Professore, la storia non inizia nel 1922. Ci dispiace doverlo far notare. Lo squadrismo, la violenza fascista, sebbene sacralizzata da artisti quali i futuristi, vissuta in prima persona come misticismo guerriero, fu solo la reazione a ben altre violenze che oggi si nascondono o si tentano di giustificare. No, gli antifascisti non sono dalla “parte giusta” della Storia. Basta studiarla. Tutta.

Pasolini errava nel sostenere che Sabaudia non fosse fascista, ma aveva visto giusto nell’evidenziare che era stato il regime democratico, quello dell’eterno CLN, a distruggere l’Italia.

 

Pietro Cappellari

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