di Giacinto Reale
Qualche giorno fa, sulla prima pagina dell’Unità, a proposito di non ricordo più quale stramberia leghista, campeggiava la parola “squadrismo”, a conferma del fatto che trattasi di un termine ancora abbondantemente inflazionato nella polemica politica d’oggi.
Eppure, sono convinto che almeno otto su dieci studenti, interpellati sul significato della parola, se ne uscirebbero con qualcosa tipo: “teppista”, “ultrà di calcio”, “assassino seriale” e simili.
Brutta sorte per quello che fu un modo di essere, di presentarsi agli altri, di adempiere ai doveri che ognuno ha verso la propria Nazione e la propria gente.
Erede, come dirò, del volontarismo garibaldino e interventista, ispiratore di quello della RSI…sarebbe opportuno ricordarselo e lasciare fuori tutto il resto…
Provo a tracciare qualche punto fermo, partendo dal dire che lo squadrismo fu un fenomeno certamente originale (e irripetibile) nella storia d’Italia: a ragione, quindi, si è parlato di “spregiudicata attività tipicamente italica” e di “imponenza e drammaticità di un fenomeno che non aveva e non avrebbe avuto simili in tutta la nostra storia”, o si è detto che “il vero fascismo è lo squadrismo”.
Qualche collegamento ideale venne istituito, in epoca fascista, con una certa tradizione volontaristica risorgimentale e più generalmente con atteggiamenti ribellistici ed attivistici sempre presenti nella nostra storia; Dino Grandi parlò di “grande novità guelfa” e Luigi Freddi scrisse: “Il fascismo ha tutti i caratteri peculiari del movimento garibaldino: volontarismo, misticismo, patriottismo, audacia, ribellismo antitradizionale, antiliberalismo”
In realtà, un evidente e diretto collegamento, dal punto di vista della componente umana, unì nei fatti lo squadrismo fascista al volontariato di guerra e all’arditismo, così come un collegamento nei metodi d’azione ci fu con la tradizione bellica dei Reparti d’assalto e più in particolare con l’apparato scenografico collaudato durante l’avventura fiumana.
Tutti questi collegamenti non sono però sufficienti ad inquadrare il fenomeno; allo sviluppo dello squadrismo ed alla sua vittoria concorsero vari fattori, così sintetizzabili:
1. fattori culturali: influenza sulle elite che formarono i primi nuclei squadristi delle teorie vitaliste ed attivistiche riconducibili a D’Annunzio, Sorel, Nietzsche, Bergson, Schopenauer ed alla tematiche futuriste, concorrenti con una sentita polemica contro la società borghese e
democratica in nome di nuovi valori quali il coraggio e l’eroismo;
democratica in nome di nuovi valori quali il coraggio e l’eroismo;
2. fattori sociali: presenza nel paese di grandi masse di uomini abituati da quattro anni di guerra alla violenza, ed impregnate di disprezzo per le istituzioni del tempo di pace, come notò Pellizzi:
“alcuni milioni di cittadini, massimamente giovani, per un periodo dai tre ai sei anni, avevano sperimentato la vita e le vicende della caserma, dell’accampamento, della trincea, totalmente avulsi dalla normale vita politica ed amministrativa del Paese. Si era creata, insomma, una grande massa di manovra giovanile di persone che, per un periodo assai lungo avevano combattuto e sofferto agli ordini di un Governo lontano, sentito come cosa distaccata e quasi aliena, rispondente ad interessi, abitudini e sistemi incomprensibili per il soldato, addirittura repulsivi o irritanti (nella luce in cui essi apparivano a chi seguiva queste cose dal fronte)”
Tra queste masse emersero e si imposero aliquote e minoranze che, in modo particolare, avevano sviluppato il gusto per l’ardimento, per la guerra come “seconda natura”, per il rischio e l’azione, con un’accentuata disponibilità a rischiare la propria vita e quindi a sacrificare l’altrui per l’affermazione di un ideale;
3. fattori economici: volontà di reazione, anche in forme violente, in un periodo di crisi, da parte di categorie e ceti medi che erano vittime, più di ogni altro, del processo inflazionistico in corso – come notò Einaudi nei suoi articoli per il Corriere della Sera – e rischiavano di soffocare tra le pretese delle masse operaie e contadine, organizzate in sindacati e leghe da un canto, e l’avidità del grosso padronato dall’altro, organizzato nelle associazioni industriali ed agrarie;
4. fattori politici; crisi del sistema demoliberale e contemporanea impotenza del massimalismo a concretare in fatti i programmi rivoluzionari adottati nella suggestione di quanto stava accadendo in Russia.
Ciò mentre, di contro, venivano a formarsi estese aree di consenso in diffusi strati della pubblica opinione e degli organi di informazione nei confronti delle prime imprese squadriste, per il loro carattere di “reazione” alla prepotenza socialista. Il Prefetto di Firenze Olivieri così relazionava a Giolitti il 24 aprile del 21:
“…mi permetto però di rappresentare all’Eccellenza Vostra, che il largo favore di cui godono i fascisti presso la popolazione è dovuto al fatto che dal fascismo questa si è vista liberata dalle prepotenze continuate e generali di cui era vittima da un paio d’anni almeno da parte dei comunisti.”
E il Senatore Nicolini rincarava la dose:
“A Roma i fascisti vogliono dire Fiume, a Venezia Gabriele D’Annunzio, ma a Bologna e Ferrara vogliono dire liberazione”
Lyttelton poi, con riferimento all’offensiva fascista della primavera del 21 ha parlato di “benvenuto della grande maggioranza della stampa liberale” e De Felice di “avallo che lo squadrismo trova nella grande stampa d’informazione”;
5. fattori emotivo sentimentali: in una prima fase, la molla all’azione delle squadre fu la rivendicazione dei diritti dei combattenti, contro la tendenza colpevolizzante socialista ed anarchica; i combattenti si mossero in quanto convinti di appartenere ad un sopramondo, lontano dalle meschinerie della vita quotidiana; successivamente emersero l’insofferenza e il desiderio di vendetta maturato per le violenze e le paure subite nel biennio rosso.
Esatto quindi dire che nel 21 “il comune denominatore del fascismo era diventato la somma di infinite negazioni, cioè un’aggregazione negativa”
6. fattori psicologici e morali: lo spirito di sacrificio, spesso supportato dallo stato d’animo quasi mistico da cui erano animati molti, in particolarmente giovani, è alla base della vittoria: isolati nei loro ambienti, spesso nelle stesse famiglie, avversati da destra e da sinistra, talora anche dai benpensanti presenti all’interno del movimento fascista stesso, gli squadristi formarono un modo a parte, compatto e temuto, esaltarono i vincoli di comunità al loro interno, ripudiarono gli svaghi e le avventure liceali, per un vita fatta di rischio e pericolo veri.
Naturalmente, altro ancora ci sarebbe da dire, per esempio in merito alla inadeguatezza dimostrata sul piano umano e politico dagli avversari che pure invocavano ad ogni piè sospinto il bagno di sangue “stile bolscevico”, sui limiti proprio della classe dirigente borghese, sulle capacità tattiche e politiche di Mussolini
Ma questo, a ben vedere, riguarda il “quadro generale” e, magari, ne parlerò un’altra volta
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