10 Ottobre 2024
Julius Evola

Significato e funzione della monarchia

Significato e funzione della monarchia

di Julius Evola

(Saggio contenuto in: “La monarchia nello Stato moderno” di Karl Loewenstein, G. Volpe ed. – Roma, 1969) 


Il saggio di K. Loewenstein ha offerto al lettore una visione d’insieme delle varie forme della monarchia e delle possibilità che, secondo questo autore, restano ad un regime monarchico nell’epoca attuale. La monarchia, come si è visto, qui non è presa nel senso letterale del termine (governo di un solo, potere concentrato in un solo uomo) ma, giustamente, nel suo senso tradizionale e più corrente, ossia con riferimento ad un Re.
…Le conclusioni del Loewenstein sono piuttosto pessimistiche. Per poter esistere ai nostri giorni, la monarchia dovrebbe rassegnarsi ad essere un’ombra di ciò che era già stata. Essa potrebbe venire concepita solamente in un quadro democratico e, propriamente, nella forma di una monarchia costituzionale parlamentare. A parte l’Inghilterra, che costituirebbe un caso a sé, il modello offerto dalle monarchie dei piccoli Stati dell’Europa settentrionale e occidentale — Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo — è quello che eventualmente si dovrebbe tenere davanti agli occhi.


.. Nell’analisi della portata dei vari argomenti addotti a favore del regime monarchico il Loewenstein ha cercato di essere oggettivo, non riuscendo però sempre ad esserlo. In lui è abbastanza visibile la precisa avversione per ogni principio di vera autorità, mentre un insufficiente rilievo viene dato ai fattori di carattere etico e immateriale. Ora, crediamo che se si fosse costretti a concepire una monarchia solamente nell’accennata forma svuotata e democraticizzata, peraltro possibile unicamente perché si tratta di piccoli Stati marginali, non ancora coinvolti nel dinamismo delle grandi forze dell’epoca, tanto varrebbe chiudere senz’altro in negativo la partita.
..Si deve riconoscere, d’altra parte, che le conclusioni pessimistiche in ordine alla monarchia appaiono in larga misura giustificate ove si ipostatizzi la situazione del mondo attuale e si ritenga che essa sia irreversibile, destinata a protrarsi indefinitamente. Questa situazione è definita da un materialismo generale, della prevalenza di bassi interessi, dall’errore egualitario, dal regime delle masse, dalla tecnocrazia e dalla cosidetta « civiltà dei consumi ». Senonché cominciano a moltiplicarsi i segni di una profonda crisi di questo mondo di un benessere e di un ordine fittizi. Forme varie di rivolta sono già avvertibili, per cui non è escluso che si giunga ad uno stato di tensione e ad un punto di rottura, e che, specie di fronte a possibili situazioni liminali, domani si ridestino forme diverse di sensibilità, si verifichino reazioni simili a quelle di cui è capace un organismo quando è minacciato mortalmente nel suo più profondo essere.
.. Il subentrare, o meno, di questo nuovo clima è l’elemento decisivo anche pel problema della monarchia. Secondo noi, esso dovrebbe venir posto nei seguenti termini: Che significato potrebbe avere la monarchia nel caso che avvenga un simile cambiamento di clima, e in quale forma essa potrebbe costituire un centro per la ricostituzione di un ordine « normale » — normale in un senso superiore? Certo, in una nazione la presenza di una vera monarchia avrebbe un potere rettificatore; ma questo è un circolo vizioso: senza la premessa da noi accennata, ogni restaurazione avrebbe un carattere contingente, non organico e, in un certo senso, innaturale.
.. Il disordine attuale nel campo politico, tutto ciò che esso presenta di instabile, di pericolosamente aperto alla sovversione — a marxismo e a comunismo — deriva sostanzialmente dalla carenza di un superiore principio di autorità e da una insofferenza quasi isterica per un principio del genere, per il che certe esperienze politiche di tempi recenti servono ai più da comodi alibi. Parlando di un superiore principio di autorità, noi ci riferiamo ad una autorità che abbia una effettiva legittimazione e un carattere, in un certo modo, «trascendente», perché senza di ciò l’autorità sarebbe priva di base, sarebbe contingente e revocabile. Un centro veramente stabile mancherebbe.
..È importante fissare chiaramente questo punto essenziale, per differenziare la monarchia, sulla quale qui verte il discorso, dalla monarchia nel senso lato di potere o governo di un solo. In effetti, sono concepibili, e si sono anche realizzate, forme spurie, contraffatte di autorità. Anche i regimi comunisti poggiano di fatto su un autoritarismo che può rivestire le forme più crude e tiranniche quali pur siano le giustificazioni che gli si vorrebbero mendacemente dare. Sulla stessa linea si può mettere il fenomeno dittatoriale se lo si concepisce altrimenti che in relazione a casi di emergenza, come accadde, del resto, in origine, anche nell’antica Roma.
..D’altra parte, l’antitesi, così spesso avanzata, fra dittatura e democrazia è relativa, solo che si esamini il fondo esistenziale di questi due fenomeni politici, fondo che è uno « stato di massa ». Se la dittatura non ha caratteri puramente funzionali e tecnici (un esempio può essere quello offerto attualmente dal regime di Salazar in Portogallo), se essa poggia su un pathos come in alcune forme recenti plebiscitarie e populiste, galvanizzarla è lo stesso elemento attivato da ogni demagogia democratica. Il dittatore fa da cattivo surrogato al monarca con l’appellarsi a forze che cercano confusamente un punto di appoggio, un centro, qualunque esso sia, pur di venir a capo del caos, del disordine, di situazioni divenute insopportabili. Ciò spiega però anche il fenomeno di possibili, bruschi cambiamenti di polarità in sèguito a qualche trauma che ha sospeso la forza coesiva e animatrice del sistema, come quando in un campo magnetico la corrente viene a mancare. Il caso più perspicuo è forse offerto, a tale riguardo, dallo stupefacente cambiamento del clima politico collettivo verificatosi nella Germania attuale, dopo l’entusiasmo quasi frenetico di massa che aveva caratterizzato il precedente periodo dittatoriale. È significativo che invece un analogo fenomeno di inversione non si era prodotto in Germania dopo la prima guerra mondiale, perché l’antecedente non era stato una dittatura bensì una tradizione monarchica.
.. Per la « trascendenza » del principio di autorità proprio ad una regalità, il regime monarchico costituisce l’unica vera antitesi sia a dittatura, sia a democrazia assoluta. In ciò si deve indicare il fondamento del suo superiore diritto. Le varie forme che può rivestire e le idee o i simboli con cui può legittimarsi questa trascendenza a seconda dei tempi, non toccano l’essenziale: l’essenziale è il principio.
Ha ragione il Loewenstein quando dice che in un mondo desacralizzato dalle scienze naturali, nel quale la stessa religione è minata, non può più esser quistione di quella mistica della monarchia che in altri tempi si appoggiava a certe concezioni teologiche e a una certa liturgia. Ma se si dà uno sguardo al mondo dei portatori di corona in tutti i tempi e in tutti i luoghi, si può rilevare come motivo comune e costante il riconoscimento della necessità di un centro stabile, di un polo, di qualcosa che per essere veramente stabile deve avere, in un certo modo, il proprio principio in sé stesso o dall’alto, che non deve avere un carattere derivato. A tale riguardo si può scorrere, ad esempio, l’ottima opera di F. Wolff-Windegg, Die Gekrönten. A ragione qualcuno ha scritto: « Una regalità puramente politica — si può affermarlo senz’altro — non è mai esistita ». In tempi non lontani il «per grazia di Dio», la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva appunto al bisogno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il re è tale unicamente per « volontà della nazione » o « del popolo ». D’altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico, di cui diremo fra breve.
..Così non si può condividere il parere del Loewenstein, che l’argomento «ideale» a favore della monarchia sia ormai invalidato. È vero, certo, quel che egli dice, ossia che il declino della monarchia è dovuto non tanto alla democrazia quanto all’avvento delle macchine e degli aerei, dell’automobile, della televisione — si può dire, in genere, della civiltà industriale tecnologica. Ma qui è da domandarsi, appunto, se si è in diritto di ipostatizzare questa civiltà, ci si deve chiedere in che misura l’uomo vuole accordare a tutto ciò un valore diverso da quello di un insieme di semplici, banali mezzi, i quali nella «civiltà dei consumi » lasciano un assoluto vuoto interiore. Ripetiamolo: si tratta anzitutto della «dignità» della monarchia, di un prestigio e di un diritto che sempre e ovunque si trassero da una sfera sovraindividuale e spirituale: investiture sacre, diritto divino, filiazioni e genealogie mistiche o leggendarie, e così via, non sono state che forme figurate per esprimere un fatto sostanziale sempre riconosciuto, ossia che un ordine politico, una unità collettiva veramente organica e vivente si rende possibile solamente ove esistano uno stabile centro e un principio sopraelevato rispetto a qualsiasi interesse particolare e alla dimensione puramente « fisica » della società, principio avente in proprio una corrispondente intangibile e legittima autorità. Pertanto, in via di principio è assolutamente giusto quel che ha scritto Hans Bliiher: « Un re che lascia confermare dal popolo la sua funzione sovrana, ammettendo, con ciò, di essere responsabile di fronte al popolo — invece di essere re­ sponsabile per il popolo dinanzi a Dio — un tale re ha rinunciato alla sua regalità. Nessuna infamia commessa da un re — e Dio sa se essi non ne hanno commesse — distrugge la sanzione mistica oggettiva del sovrano. Ma una elezione democratica la distrugge immediatamente ».
..Se in altri tempi il legame di fedeltà che univa il suddito e il seguace col sovrano poté venire assimilato ad un sacramento — sacramentum fidelitatis —, qualcosa di ciò si è conservato anche più tardi come il fondo abbastanza percepibile di un’etica speciale, dell’etica, appunto, del lealismo e dell’onore, la quale poteva acquistare una particolare forza nel presupposto, or ora indicato, della presenza di un simbolo personalizzato. In tempi normali, il fatto che il sovrano come individuo non fosse sempre all’altezza del principio, poco importava; la sua funzione restava imprescrivibile e intangibile perché non era all’uomo ma al re che si obbediva e la sua persona valeva essenzialmente come un supporto affinché si destassero, o venissero propiziate, quella capacità di dedizione superindividuale, quell’orgoglio nel servire liberamente ed eventualmente perfino quella prontezza al sacrificio (come quando in momenti drammatici tutto un popolo si raccoglieva intorno al suo sovrano) che costituiscono una via di elevazione e di dignificazione per il singolo e, nel contempo, la forza più potente per tener insieme la compagine di un organismo politico e per ridurvi ciò che esso ha di anodino e di disanimato e che nei tempi ultimi ha preso una pericolosa estensione.
..Che tutto ciò non si possa realizzare nella stessa misura in un’altra forma di reggimento politico, è abbastanza evidente. Un presidente di repubblica può essere ossequiato, ma in lui non si potrà mai riconoscere altro che un «funzionario», un « borghese » come un altro, il quale solo estrinsecamente, non in base ad una intrinseca legittimità, è investito di un’autorità temporanea e condizionata. Chi conserva una certa sensibilità sottile percepisce che l’«essere al servizio del proprio re», il « combattere per il proprio re » (perfino il combattere « per la propria patria », malgrado la colorazione romantica, ha in confronto qualcosa di meno nobile, di più naturalistico e collettivistico), il «rappresentare il re» hanno una qualità specifica; tutto ciò presenta invece un carattere parodistico, per non dire grottesco, quando è «al proprio presidente» che ci si dovesse riferire. Soprattutto nel caso dell’esercito, dell’alta burocrazia e della diplomazia (a prescindere dalla nobiltà ), ciò appare ben evidente. Lo stesso giuramento, quando viene prestato non ad un sovrano ma alla repubblica o all’una o all’altra astrazione, ha qualcosa di stonato e di svuotato. Con una repubblica democratica qualcosa di immateriale, ma pur di essenziale e di insostituibile, va fatalmente perduto. L’anodino e il profano prevalgono. Una nazione già monarchica che diviene una repubblica è, in un certo modo, una nazione « declassata ».
.. Se abbiamo rilevato che quella specie di fluido che si forma intorno al simbolo della Corona è assai diverso da quanto può riferirsi a « stati di folla » esaltati, quali può suscitarli o favorirli la demagogia di un capo­popolo, la differenza esiste anche nei riguardi di ogni semplice mistica nazionalistica. Certo, il sovrano incarna anche la nazione, ne simboleggia l’unità su un piano superiore, stabilendo quasi, con essa, una « unità di destino ». Ma qui ci si trova all’opposto di ogni patriottismo giacobino; non si ha nessuno di quei confusi miti collettivizzanti che parlano al puro demos e che vanno quasi a divinificarlo. Si può dire che la monarchia modera, limita e purifica il semplice nazionalismo; che come essa previene ogni dittatura sostituendovisi con vantaggio, così previene anche ogni eccesso nazionalistico; che essa difende un ordine articolato, gerarchico e equilibrato. Si sa che i rivolgimenti più calamitosi dei tempi ultimi sono da attribuirsi essenzialmente a nazionalismi scatenati.
..Dopo quel che abbiamo detto, è evidente che noi non condividiamo affatto l’idea, che ormai la monarchia deve democraticizzarsi, che il monarca debba assumere quasi tratti borghesi — « deve scendere dalle auguste altezze di altri tempi e presentarsi ed agire in modo democratico », come pretende il Loewenstein. Ciò significherebbe semplicemente distruggerne la dignità e la ragion d’essere, indicata in quanto precede. Il re dei paesi nord-europei che si porta la valigia, che va a fare le compere nei negozi, che acconsente che la radio o la televisione presenti al popolo la sua brava vita familiare comprese le bambine che fanno le bizze, ovvero con la Casa Reale che si presta alla curiosità e ai pettegol
ezzi dei rotocalchi, e quanto altro si pensa possa rendere vicino al popolo il sovrano, includendovi, in fondo, un certo bonario aspetto paterno ( se il padre lo si concepisce in una blanda forma borghese), tutto ciò non può non ledere l’essenza stessa della monarchia. La « maestà » diviene allora davvero un vuoto epiteto del cerimoniale. A ragione è stato detto che « il potente che per un mal inteso senso di popolarità acconsente a lasciarsi avvicinare va a finire male ».
..È chiaro che tener per fermo tutto ciò, significa andare contro corrente. Ma, di nuovo, si pone una alternativa: si tratta di accettare, o meno, come irreversibile uno stato di fatto, sussistendo il quale della monarchia possono solo esistere inani vestigie. Uno degli elementi da considerare, a questo riguardo, è l’insofferenza, nel mondo attuale, per la distanza. Il successo delle dittature e di altre forme politiche spurie è dovuto, in parte, proprio a! fatto che nel capo viene visto « uno di noi », il « Grande Compagno »; solo in questi termini lo si accetta come guida e gli si obbedisce. Così stando le cose la preoccupazione per la «popolarità» e per i modi « democratici » è ben comprensibile. Ma ciò, in fondo, è tutt’altro che naturale; non si vede perché ci si debba subordinare quando il capo, alla fin fine, è semplicemente «uno come noi », quando non viene avvertita una distanza essenziale, come nel caso del vero sovrano. Così un « pathos della distanza » — per usare una espressione di Nietzsche — dovrebbe sostituirsi a quello della vicinanza, in rapporti che escludono ogni superba tracotanza da una parte, ogni servilismo dall’altra. Questo è un punto basilare, a carattere esistenziale, per una restaurazione monarchica. Senza riesumare forme anacronistiche, invece di una propaganda che «umanizzi» il sovrano per accattivare la massa, quasi sulla stessa linea della propaganda elettorale presidenziale americana, si dovrebbe vedere fino a che punto possano avere una azione profonda i tratti di una figura caratterizzata da una certa innata superiorità e dignità, in un quadro adeguato. Una specie di ascesi e di liturgia della potenza qui potrebbero avere una loro parte. Proprio questi tratti mentre rafforzeranno il prestigio di chi incarna un simbolo, dovrebbero poter esercitare sull’uomo non volgare una forza di attrazione, perfino un orgoglio nel suddito. Del resto, anche in tempi abbastanza recenti si è avuto l’esempio dell’imperatore Francesco Giuseppe che, pur frapponendo fra sé e i sudditi l’antico severo cerimoniale, pur non imitando per nulla i re « democratici » dei piccoli Stati nordici, godette di una particolare, non volgare popolarità.
..Riassumendo, il principale presupposto per una rinascita della monarchia secondo la dignità e la funzione di cui si è detto, resta, a nostro parere, il destarsi di una nuova sensibilità per un ordine che si stacchi dal piano più materiale ed anche semplicemente « sociale », e tenda a tutto ciò che è onore, fedeltà e responsabilità, perché simili valori hanno nella monarchia il loro naturale centro di gravità; mentre, a sua volta, la monarchia risulterà degradata, ridotta ad una semplice sopravvivenza formale e decorativa quando tali valori non siano vivi e operanti — innanzitutto in una élite, in una vera classe dirigente. Non sono le stesse corde che il difensore dell’idea monarchica e quello di un qualsiasi altro sistema debbono far risuonare nel singolo e nella collettività. Così è assurdo affidare i destini dell’idea monarchica ad una propaganda e ad una prassi partitica che ricopi, ad un dipresso, i metodi della parte opposta in clima democratico. Anche il poter constatare oggi l’affacciarsi di tendenze verso un centro autoritario, verso una «monarchia» nel senso letterale (= monocrazia) non basta, dopo quel che abbiamo detto sulle differenze profonde che possono presentare le varie estrinsecazioni del principio di unità e di autorità. Il senso di ciò che non si lascia né vendere né comprare né usurpare nelle dignità e nella partecipazione alla vita politica è un fattore decisivo e sfugge come acqua fra le dita a chi pensa soltanto in termini di materia, di vantaggio personale, di edonismo, di funzionalità e di razionalità. Se di quel senso non si dovesse più parlare per effetto del famoso « senso della storia » marxista, che si pretende irrevocabile, tanto vale accantonare definitivamente la causa monarchica. Ciò equivarrebbe, peraltro, anche a professare il più tetro pessimismo nei riguardi di ciò a cui si può fare ancora appello nell’uomo dei tempi ultimi.
II
..Dopo aver considerato l’aspetto spirituale del problema della monarchia, è necessario indicare gli aspetti che si riferiscono al piano positivo, istituzionale e costituzionale. Su tale piano bisognerà ora precisare la funzione specifica da attribuire alla monarchia e ciò che differenzia un sistema monarchico da altri sistemi. Stupisce che un simile problema non venga quasi affatto affrontato dalla propaganda dei monarchici. Nelle elezioni si sono avuti, anche in Italia, discorsi di monarchici i quali hanno accusato, più o meno sulla stessa linea di altri settori dell’opposizione, le disfunzioni dello Stato repubblicano democratico e partitocratico, e il pericolo del comunismo, guardandosi però dall’indicare, senza mezzi termini e senza paura, in quali termini la presenza della monarchia andrebbe ad eliminare positivamente le une e l’altro, o, per meglio dire, in virtù di quali particolari prerogative la monarchia sarebbe da tanto.
.. Se si è veramente monarchici, non si può ammettere che la monarchia si riduca ad una semplice istituzione decorativa e di rappresentanza, una specie di bel sovramobile o, secondo l’immagine ricordata dal Loewenstein, qualcosa come la figura dorata che si metteva sulla prua di un galeone; lo Stato, in concreto, resterebbe quello delle democrazie parlamentari repubblicane, al re spettando solamente di controfirmare, come farebbe un presidente di repubblica, tutto ci ò che governo e parlamento deliberano. La restaurazione dovrebbe invece comportare una specie di rivoluzione ( o di contro-rivoluzione) monarchica.
.. Alla nota formula « il re regna ma non governa », si dovrebbe contrapporre l’altra: « il re regna e governa » — governa, naturalmente, non nei termini delle monarchie assolute di altri tempi, bensì, in via normale, nei quadri di un diritto e di una costituzione stabiliti. A tale riguardo il migliore esempio è stato proprio quello offertoci dalle precedenti monarchie centro-europee, per le quali il Loewenstein non ha nascosto la sua decisa antipatia. Al sovrano dovrebbe essere riservato non soltanto un potere regolatore, moderatore e arbitrale rispetto alle varie forze politiche ma altresì quello di una suprema istanza. Della costituzione e del diritto non si debbono fare dei feticci. Costituzione e diritto non cadono belli e fatti dal cielo, sono formazioni storiche e la loro intangibilità è condizionata dal corso normale delle cose. Quando questo corso viene meno, quando ci si trova di fronte a situazioni di emergenza, deve farsi valere positivamente un superiore potere che per essere rimasto latente e inattivo nelle condizioni normali, non per questo cessa di costituire il centro del sistema. Il re è il soggetto legittimo di tale potere. Egli può e deve esercitarlo ogni volta che sia necessario, dicendo: «Fin qui, e non più oltre», prevenendo sia ogni movimento rivoluzionario eversivo (prevenendolo mediante una «rivoluzione dall’alto»), sia qualsiasi rivolgimento dittatoriale la cui unica giustificazione è la mancanza di un vero centro di autorità.
..Non è detto che un simile potere debba essere esercitato direttam
ente dal sovrano; esso può esserlo per mezzo di un Cancelliere o primo ministro capace e deciso che, forte dell’appoggio della Corona e responsabile essenzialmente di fronte ad essa, può far fronte alla situazione. Il caso di Bismarck nel « conflitto istituzionale » ricordato dal Loewenstein corrisponde a questa possibilità. Sicuro della fiducia del sovrano, Bismarck poté tener anche in nessun conto l’opposizione del parlamento e seguendo la sua via fece la grandezza della Germania, ricevendo successivamente, in una nuova costituzione, la sanzione del suo operato.
.. Ci si potrebbe arrischiare a dire che, in parte, una situazione analoga a tutta prima si ebbe quando il re d’Italia appoggiò Mussolini concedendogli poteri che però lui stesso, Vittorio Emanuele, se non si fosse sentito così vincolato costituzionalmente, avrebbe potuto esercitare, tanto da imporre un ordine all’Italia sconvolta dalla sovversione e dalla crisi sociale mediante nuove strutture, senza aver bisogno del fascismo, e prevenendo quegli sviluppi — da alcuni definiti nei termini di una « diarchia » — che alla fine minarono in una certa misura la sua posizione per la presenza, quasi, di uno Stato entro lo Stato. Nelle ore decisive un sovrano non dovrebbe mai dimenticare il detto di un’antica sapienza: Rex est qui nihil metuit (È re chi nulla teme). Per un male inteso umanitarismo, in casi estremi perfino il pericolo di lotte nelle quali possa scorrere il sangue non deve impaurire perché qui non si tratta delle persone, ma di far regnare, al disopra di tutto, l’autorità, l’ordine e la giustizia contro le eventuali agitazioni di parte. La formula, l’abbiamo già indicata: « Fin qui, e non oltre ». In situazioni non eccezionali la concezione di Benjamin Constant della Corona come « quarto potere », come una funzione arbitrale e equilibratrice può essere accettata. Anche i diritti riconosciuti dal Bagehot alla Corona: diritto di essere interpellata, diritto di incitare, diritto di dare orientamenti, sono ineccepibili.
.. Pertanto, con una restaurazione monarchica dovrebbe venire effettuato uno spostamento del centro di gravità. Una rappresentanza nazionale può anche essere eletta dal « popolo », secondo l’una o l’altra modalità (su ciò torneremo), ma essa dovrebbe essere responsabile, in primis et ante omnia , di fronte al sovrano, secondo rapporti di una responsabilità personalizzata che già da sé chiuderebbe la via a tante forme di corruzione democratica. Il re dovrebbe essere, dunque, il supremo punto di riferimento, e dovrebbero essere sentiti gli accennati valori di lealismo e di onore, anziché essere, i rappresentanti, gli strumenti dei partiti e della misteriosa, labile entità «popolo» da essi strumentalizzata, ed a cui sola spetta il potere di conferma o di revoca secondo il sistema della democrazia assoluta, ossia del suffragio universale parificato.
..D’altra parte, per un vero rinnovamento monarchico bisognerebbe aver presente l’ideale di uno Stato organico, per cui non può essere evitato il problema della compatibilità, in genere, della monarchia col sistema, appunto, della democrazia assoluta parlamentare. La sovrapposizione dell’una all’altro può dar luogo solamente a qualcosa di ibrido. E’ da ritenersi che se l’auspicato mutamento di mentalità si realizzerà, si verrà a poco a poco a riconoscere anche l’assurdità del sistema delle rappresentanze basato sul suffragio universale indiscriminato, cioè sulla legge del puro numero, avente per ovvio presupposto non la concezione del cittadino come una « persona » bensì la sua riduzione degradante ad un atomo indifferenziato intercambiabile.
.. A tale riguardo bisogna tener presente che una cosa è la democrazia nella sua forma assoluta moderna, un’altra è un sistema di rappresentanze, il secondo non coincidendo necessariamente con la prima. Si sa che un sistema di rappresentanze esistette anche negli Stati monarchici tradizionali, ma in genere come rappresentanze organiche, ossia di corpi, di ordini, di Stände, non di partiti ideologici. A voler considerare i partiti, il sistema migliore sarebbe quello bipartitico, ammettente una opposizione che agisca costruttivamente e dinamicamente entro il sistema, non al difuori di esso o contro di esso. (Ad esempio, che un partito comunista o rivoluzionario, sempreché osservi certe norme statuarie puramente formali, possa venire considerato « legale » ed essere ammesso in una assemblea nazionale benché il suo programma, dichiarato o tacito, sia il rovesciamento dell’ordine esistente, ciò è un vero assurdo). A parte la soluzione bipartitica, già adottata con vantaggio nell’Inghilterra monarchica, il sistema rappresentativo che pel suo carattere organico più si armonizzerebbe con la monarchia sarebbe quello corporativo, nel senso più vasto, tradizionale, senza riferimenti al tentativo, che fu fatto dal fascismo con la creazione di una Camera corporativa anziché partitocratica. Forse l’attuale sistema portoghese — meno quello spagnolo — si avvicina all’ordinamento auspicabile. Il Loewenstein ha messo in luce l’alternativa che si presenterebbe nel caso di una restaurazione, perché o il sovrano si appoggia alle classi superiori, più inclini a sostenere la monarchia, e allora farebbe il giuoco di coloro che sono pronti ad accusarlo di reazionarismo conservatore; ovvero va incontro alle classi lavoratrici e, in genere, si mette a fare il « re del popolo », e allora si alienerebbe pericolosamente quell’appoggio dell ‘altra parte della nazione.
.. Ora, un simile bivio presuppone ovviamente il mantenimento, la perpetuazione dello stato di lotta di classe, nei termini dell’ideologia marxista. Ma noi riteniamo che uno dei presupposti per un ordine nuovo, organico e monarchico vada veduto proprio nel superamento di questa divisione antagonistica delle forze nazionali. A tanto dovrebbe mirare appunto la riforma corporativa, attuata la quale l’accennata alternativa di fronte a cui si troverebbe la monarchia restaurata verrebbe in gran parte meno. Anche se all’interno delle corporazioni, o come altro si voglia designare l’organo rappresentativo primario, si facessero valere opposte tendenze, vi è da pensare che la preminenza da dare al principio delle competenze ridurrebbe ampiamente, in tali divergenze, il fattore ideologico.
.. In un settore divenuto ormai sempre più importante il sistema delle rappresentanze corporative secondo competenze potrebbe presentare un carattere attuale per via dello sviluppo quasi teratologico presentato dall’elemento tecnocratico e, in genere, dall’economia. Si sa delle critiche mosse contro la civiltà tecnologica dei consumi nella società industriale più avanzata; gli aspetti distruttivi che le sono propri sono stati indicati, è stata espressa l’esigenza di porre un freno a processi economici divenuti pressoché indipendenti, come secondo l’imagine del « gigante scatenato » usata da W. Sombart. Ora non è concepibile un freno al sistema, un contenimento, senza l’intervento di un potere superiore, politico. Il compito di frenare e ordinare adeguatamente in base ad una gerarchia più completa di interessi e di valori le forze in movimento nell’anzidetta società, ovviando anche una situazione paradossale verificatasi nei tempi ultimi, quella di uno Stato sempre più forte con una testa sempre più debole, troverebbe evidentemente l’ambiente più favorevole per la sua realizzazione in un vero Stato monarchico. Istituzionalmente, l’organo potrebbe venire fornito o da un’assemblea unica, che però, a fianco dei rappresentanti delle forze economiche e produttive, comprenda anche rappresentanze della vita spirituale e culturale (come si ebbe, appunto, negli « Stati Generali » e in analoghe assemblee o Diete degli antichi regimi tradizionali monarchici), oppure dal sistema della doppia Camera, di una Camera Alta
e di una Camera Bassa, la seconda essendo quella propriamente corporativa, nella prima facendosi valere invece istanze sovraordinate. Si sa che l’ultima « conquista » della democrazia assoluta è stata l’aver ridotto la Camera Alta, ossia il Senato, ad un inutile doppione dell’altra Camera perché anche per essa è stato fatto valere il principio dell’elezione di massa e delle nomine temporanee (almeno per la maggior parte dei componenti di essa). Come ancor nell’Italia di ieri, la definizione della Camera Alta dovrebbe essere, invece, uno dei compiti essenziali della monarchia, sia pure convenientemente assistita, permanendo il carattere formale della nomina dall’alto.
..Per tal via la Camera Alta resterebbe il corpo politico più vicino alla Corona e sarebbe naturale che in esso il lealismo, la fedeltà e l’impersonalità attiva fossero presenti al più alto grado. Essa dovrebbe avere un potere, una autorità, un prestigio e un significato diversi da quanto è proprio alla Camera Bassa. Custode di valori e di interessi superiori, essa costituirebbe il vero nucleo centrale dello Stato, la « testa » di esso. Andrebbe, pertanto, messo ben in rilievo il suo carattere funzionale attivo in sede di condeterminazione della linea politica, carattere che la differenzierà profondamente da quel che era stato, nell’Italia monarchica post-risorgimentale, il Senato: una assemblea di degne persone, di « alti ingegni », di notabili secondo il censo, però in veste essenzialmente decorativa, senza nessuna vera, vigorosa funzione organica.
.. Senza fermarsi sui dettagli, è chiaro che un sistema di tal genere supererebbe le aberrazioni della democrazia assoluta e della partitocrazia repubblicana e nella monarchia esso avrebbe la sua naturale integrazione. Qui la monarchia non sarebbe qualcosa di eterogeneo, quasi residuo di un altro mondo, sovrapposto al sistema parlamentare corrente. Pertanto, di rigore, il problema della monarchia rientra in un problema più vasto, quello del ridimensionamento « ri voluzionario » dell’intero Stato moderno.
.. Ma per le funzioni della monarchia che abbiamo cercato di tratteggiare, per potere, essa, non soltanto « regnare » ma aver anche una parte attiva — più o meno determinante a seconda delle circostanze — nel « governo », è chiaro che sarebbe necessaria una particolare qualificazione del sovrano non solamente sul piano del carattere, secondo la severa educazione tradizionale dei prìncipi, ma anche in fatto di competenza, di conoscenze e di esperienza. Ciò è reso necessario dal carattere sia dell’epoca che dello Stato moderno. Suggestiva è l’antica concezione estremo-orientale del wei-wu-wei, dell’«agire senza agire» regale, alludente non ad un’azione materiale diretta ma ad una azione « per presenza », come centro e potere quintessenziato. Questo aspetto, pur mantenendo la sua intrinseca validità nei termini dianzi accennati, quando, come nei tempi attuali e probabilmente, ancor più, come in quelli che si preannunciano, tutto è in moto e le forze tendono ad uscire dalla loro òrbita normale, ha bisogno di venire integrato, pur badando bene che per tal via esso non sia menomato. Come abbiamo detto, in altri tempi nel monarca il simbolo poteva anche avere la preminenza sulla persona; dato il clima generale e data la forza di una lunga tradizione e di una legittimità, esso poteva non venire pregiudicato dagli aspetti soltanto umani della persona che nell’uno o nell’altro caso lo incarnava. Se oggi o domani si dovesse venire ad una restaurazione monarchica, ciò non sarebbe più possibile: il rappresentante dovrebbe essere al massimo all’altezza del principio, non per una ostentazione della persona, anzi pel contrario. Dovrebbe avere le qualità anche di un vero capo, di un uomo capace di reggere lo scettro altrimenti che simbolicamente e ritualmente. Una tale qualificazione ai nostri giorni non può essere solamente quella delle epoche delle dinastie guerriere. Le doti di carattere, di coraggio e di energia, pur restando la base essenziale, dovrebbero unirsi a quelle di una mente illuminata e di conoscenze politiche essenziali, adeguate alla struttura complessa di uno Stato moderno e delle forze in atto nella civiltà contemporanea.
.. Il declino dei regimi tradizionali ha avuto due cause le quali hanno agito solidarmente ancor prima che vi si aggiungesse il clima materialistico della civiltà moderna e della società industriale. Da una parte, in alto vi è stata appunto la crescente incapacità di incarnare completamente il principio specie quando le strutture generali cominciavano a scricchiolare; dall’altra, in basso, si è avuto il venir meno, nei popoli divenuti più o meno « masse », di una determinata sensibilità, di certe capacità di riconoscimento. Pertanto la possibilità di una restaurazione monarchica subisce una duplice ipoteca, ed appare condizionata dalla rimozione di entrambi i fattori negativi. Sarebbero richiesti, da una parte, sovrani che non debbano il loro prestigio soltanto alla loro sopraelevata posizione, al simbolo che li adombra, ma che siano anche capaci di far fronte ad ogni situazione come esponenti di una idea e di un potere superiore. Dall’altra parte, occorrerebbe quel mutamento del livello mentale e morale generale delle masse, di cui non ci siamo stancati di sottolineare la necessità.
.. Al giorno d’oggi, l’una e l’altra condizione appaiono ipotetiche. Ma se non si deve venire alle conclusioni, essenzialmente negative, da trarre da studi sulla monarchia nello Stato moderno, come quello intrapreso dal Loewenstein; se essa non deve essere considerata unicamente come un istituto che, pallida ombra di quel che la monarchia è stata, è ora quasi interamente privo del suo significato e della sua essenziale ragion d’essere, non vi è altro modo di impostare il problema. Conviene dunque ripetere che il destino della monarchia appare essere, in un certo modo, solidale con quello dell’intera civiltà moderna e più propriamente dipende da quella che potrà essere la soluzione di una crisi la quale, come appare da indizi molteplici, di quella civiltà sta investendo le stesse fondamenta.

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