Ci voleva l’assalto alle frontiere dell’altra Europa – quella ricca – per richiamare tutti ad un po’ di sano realismo: l’invasione dell’Europa è cominciata. Soltanto cominciata, si badi bene, perché il capo del Pentagono (mica un americano qualunque!) ci ha paternamente avvertito: l’emergenza immigrazione durerà almeno altri vent’anni. Naturalmente, cosa resterebbe fra vent’anni dell’Europa se i suoi governi dovessero continuare a favorire l’invasione, questo il generalone yankee non l’ha detto.
Certo, preoccupa che una dichiarazione del genere venga dal comandante di quell’esercito che ha destabilizzato (direttamente o per interposto “esercito di liberazione”) l’intero Medio Oriente e una bella fetta di Africa, abbattendo sistematicamente tutti i regimi che si opponevano al dilagare del fondamentalismo islamista; con ciò provocando – fra le altre cose – una marea di profughi che, dopo essersi abbattuta sui Paesi confinanti, comincia adesso a riversarsi in Europa. Poca cosa – comunque – a fronte di un miliardo di africani, la stragrande maggioranza dei quali non pensa ad altro che a trasferirsi qui da noi; non per sfuggire – come dicono i campioni d’ingenuità – a guerre o persecuzioni, ma semplicemente per intercettare un po’ di quel che resta (e ne resterà sempre meno) del mitico benessere europeo. E che questa incontenibile “voglia d’Europa” si sia prodotta in Africa del tutto improvvisamente (più o meno in coincidenza con la nascita dell’Unione Europea) è una cosa che lascia perplessi, fino a spingere qualche malizioso ad ipotizzare che dietro possa esserci lo zampino dei servizi segreti di qualche nazione “amica” dell’Europa.
Naturalmente, non appena in questi giorni la situazione ha assunto dimensioni allarmanti, si è sùbito messa in moto la macchina della propaganda immigrazionista: scomparsi – per fortuna – i luoghi comuni più idioti (gli immigrati fanno i lavori che gli europei non vogliono più fare, gli immigrati lavorano per consentire ai nostri figli di percepire una pensione, e così via scherzando) adesso si punta tutto sulla commozione indotta: si pescano le istantanee più scioccanti, magari con protagonisti donne o bambini, e le si ripropongono ossessivamente, su ogni prima pagina di quotidiano e in ogni prima serata televisiva, cercando di associarle – nelle menti di lettori e spettatori – all’argomento “immigrazione”. Il pubblico deve ricordare il bimbo siriano annegato o la neo-mamma nigeriana che ha partorito su una nave della Guardia Costiera; e non le colonne di profughi in marcia sulle autostrade, o i treni presi d’assalto, o le recinzioni divelte, o nessun’altra immagine che possa indurre paura, sconforto, preoccupazione.
Intanto, è tutta una gara a sdrammatizzare, talora ricorrendo anche a notizie false e a statistiche truccate, per suffragare in qualche modo un clima di normalizzazione e di rassegnazione, per indurre la gente a credere che anche questa catastrofe sia “inevitabile”, che ad essa non ci si possa opporre, così come non ci si potrebbe opporre ai mutamenti climatici, alla globalizzazione economica, alla fine dello Stato sociale, a tutte le porcherie che i poteri forti vogliono imporre ai popoli del mondo intero.
Nella gara al conformismo buonista c’è posto per tutti: ministri-bambini e ragazzi della via Pal, monsignori sconosciuti che insultano i politici dissenzienti, sociologi della domenica e multiculturalisti d’accatto.
C’è posto anche per qualche piccola furbata, come quella della cancelliera Merkel, che tenta di fare il minimo sforzo per ottenere il massimo beneficio propagandistico: ha aperto le porte a poche migliaia di profughi siriani, per aver poi modo di dire agli altri: la Germania ha fatto la sua parte, gli altri migranti accollateveli voi.
Perché parlo di furbata? Perché i siriani – provenienti dal tragitto Grecia-Serbia-Ungheria-Austria – sono relativamente pochi, anche se hanno fatto molto rumore; perché i siriani sono tra i pochissimi a poter essere considerati profughi sul serio; perché i siriani (laici, cristiani e musulmani delle varie confessioni) sono stati tutti vaccinati contro il fondamentalismo islamista dagli orrori dell’ISIS; perché la connotazione sociologica della loro emigrazione (in larga parte formata da famiglie in fuga e non da giovanotti in cerca d’avventure) è tale da non far temere grossi problemi d’ordine pubblico.
Dopo di che, il ragionamento della Kanzlerin è stato probabilmente questo: alla Germania ventimila siriani, agli altri il milione di africani in partenza dalla Libia; alla Germania i profughi autentici e senza grilli per la testa, agli altri i falsi rifugiati, i giovanotti che possono diventare pericolosi, e le aliquote inevitabili di delinquenti comuni e di terroristi attivi o potenziali. Così – potrebbe continuare il ragionamento di Angelona – il mio partito perderà certamente meno voti di quanti ne perderanno il ragazzotto italiano o il cavalier servente francese. E tutto, per di più, senza scontrarsi con i poteri forti che favoriscono l’immigrazione verso l’Europa, che aggrediscono la Siria, che teorizzano la distruzione degli attuali confini mediorientali e l’espansione nell’Africa nera di un islamismo dalle tinte forti.
Non c’è che dire: la cancelliera sa farsi i conti molto meglio della maggior parte dei suoi colleghi europei. Peccato, però, che anche i suoi conti siano sbagliati. E lo si vedrà nei prossimi mesi.