Che cosa sta succedendo in Iraq? Semplice: con poche varianti, la stessa cosa che sta avvenendo in Siria. Continua, cioè, la sanguinosa manovra per eliminare fisicamente gli arabi laici e, con essi, le due comunità religiose ostili al fondamentalismo jihadista: i musulmani sciiti ed i cristiani orientali. È una guerra sporca, sporchissima, lorda di sangue, di petrolio e dell’inchiostro bugiardo della stampa occidentale, che uccide quotidianamente la verità facendo passare quelle nefande guerre d’aggressione per benemerite “rivolte democratiche” contro regimi impopolari perché dittatoriali. Ma, di grazia, qualcuno vuole citarmi un solo Paese arabo che sia retto da un sistema autenticamente democratico?
Sono due guerre — quella dell’Iraq e soprattutto quella della Siria — che tanti punti in comune hanno con quella che, tre anni or sono, fu mossa contro la Libia di Gheddafi, armando — a spese delle monarchie petrolifere del Golfo e dei servizi occidentali — un esercito mercenario di sedicenti “ribelli” (peraltro in larga parte formato da fanatici fondamentalisti) che in poche settimane distrusse completamente la vita civile e l’economia di una delle nazioni più floride del mondo arabo.
Le prove generali — a onor del vero — erano già state fatte, otto anni prima, contro la prospera repubblica laico-nazionalista dell’Iraq. Il suo Presidente-dittatore Saddam Hussein era stato accusato di essere il protettore dei terroristi sunniti di al-Qaeda e di detenere grandi arsenali di “armi di distruzione di massa”. Tutti sanno che le armi di distruzione di massa non furono trovate, per il semplice fatto di essere state soltanto un’invenzione dei servizi segreti americani. Quel che molti ignorano, invece, è che Saddam Hussein contrastasse i fondamentalisti religiosi di al-Qaeda, e che addirittura fosse un elemento essenziale di quella “cintura sanita
span>ria” che impediva al terrorismo jihadista di penetrare nelle società arabe progredite, ivi comprese quelle dei Paesi nostri dirimpettai nel Mediterraneo. Queste cose, però, erano perfettamente note a tutti gli “addetti ai lavori”, ivi compresi — naturalmente — gli eccelsi strateghi americani; anche se questi, ufficialmente, si affannavano a proclamare che quella di Bush era una benemerita guerra “contro il terrore”. Non era vero niente, anzi era vero l’esatto opposto: era — volontariamente o involontariamente — una guerra “per il terrore”, per consentire ai qaedisti di dilagare in tutto il mondo arabo e, come conseguenza diretta, di tenere sotto scacco l’Europa. Perché tutto ciò? Perché — è la mia personalissima opinione “eretica” — perché solamente un’Europa che si sentisse minacciata dal fondamentalismo islamico sarebbe stata disposta a sbracarsi ancor di più di fronte ai padroni americani, accettando non soltanto il vassallaggio militare di una NATO ormai senza più ragion d’essere, ma anche quello economico (che sta materializzandosi proprio in queste settimane) di una zona atlantica di libero scambio che è utile solo agli statunitensi.
Certo — è sempre l’eretico che parla — non posso credere che gli spioni della CIA abbiano potuto pensare, anche soltanto per un attimo, che il laicissimo Saddam Hussein fosse alleato del fondamentalista Bin Laden. Così come non posso credere che gli spioni di cui sopra non avessero previsto la dissoluzione dell’Iraq, una volta abbattuto il regime laicista che era faticosamente riuscito a tenere unito il Paese. L’Iraq — sia detto per inciso — uno Stato artificiale, creato a suo tempo dagli inglesi per motivi eminentemente petroliferi; creato — si badi bene — costringendo ad una convivenza forzata la regione arabo-sunnita di Baghdad, quella sciita di Bassora e quella kurda di Mosul, per tacere della (un tempo) numerosa comunità arabo-cristiana.
Gli strateghi americani — dicevo — dovevano ben sapere che l’Iraq sarebbe andato in frantumi e sarebbe stato preda delle bande fondamentaliste. Esattamente come la Libia, otto anni appresso. Esattamente come si è tentato di fare in Siria, poco dopo. Esattamente come si tenta di fare in questi giorni nuovamente in Iraq. Lì, come in Siria, la barbarie avanza. Ed a farne le spese sono in primo luogo i cristiani: uccisi, torturati, bruciati vivi nelle chiese e — i più fortunati — espulsi dai loro paesi e costretti all’emigrazione forzata.
Un’Europa imbecille, intanto, fa il tifo per gli “eserciti dei ribelli” e lancia gridolini di gioia per ogni arretramento delle “milizie del regime”, obbedendo ai fogli d’ordine americano-saudito-israeliani. Al contempo, gli Stati Uniti — che nel 2003 rasero al suolo l’intero Iraq — hanno fatto sapere che questa volta non invieranno soldati e non bombarderanno nessuno; tutt’al più, interverranno con i droni, gli aerei senza pilota. E che il governo sciita dell’Iraq (alleato di quello dell’Iran) si arrangi come può per difendersi dai terroristi. Le guerre “contro il terrore” non si fanno più, le bombe “intelligenti” sono finite; e verrebbe da dire che oggi si usano soltanto le bombe cretine, quelle tanto care agli americani e a chi dà loro credito.
Il Premio Nobel per la Pace Barack Obama è stato chiaro, come si conviene ad un perfetto pacifista a stelle e strisce. Le guerre si fanno sol tanto contro i cattivi: il Presidente siriano Assad è certamente un cattivo, perché rifiuta di consegnare il suo Paese agli sceicchi sunniti; gli iraniani sono cattivi per antonomasia, perché stanno antipatici a Israele; e il più cattivo di tutti è certamente Putin, che non vuole vendere il gas a metà prezzo all’Ukraina che gli americani gli hanno strappato giocando sporco. Certo, tutto sarebbe stato più facile se, qualche mese fa, i russi avessero consentito al Presidente abbronzato di radere al suolo la Siria di Assad, ma quel dittatoraccio di Putin ha avuto il cattivo gusto di mettersi di traverso. Pazienza, adesso gli americani dovranno far finta di avversare i terroristi del fantomatico ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), e i loro amici europei dovranno far finta di crederci.
Il tutto — a modesto parere dello scrivente — stando bene attenti a non intralciare il disegno del “Grande Medio Oriente”, teorizzato da circoli sauditi e israeliani, le cui spire dovrebbero allargarsi a nord, fino al Caucaso ed al Mar Nero. Un Grande Medio Oriente con la Russia e l’Iran fuori gioco e, comunque, non in grado di fare concorrenza al petrolio saudita, né al gas “di scisto” americano e, dopo l’entrata in produzione del nuovissimo giacimento Leviathan, neanche al gas israeliano che — ci scommetto — prenderà il posto di quello libico diretto in Europa.
Intanto, siamo tutti seduti su una polveriera. Anzi su due polveriere. Una è l’Iraq, l’altra è l’Ukraina. Speriamo che non ci siano scintille.