Nel suo nuovo libro di rivelazioni “I File di WikiLeaks”, presentato in questi giorni alla Tv RT, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange dedica un intero capitolo alla Siria con informazioni risalenti al 2006, quando ancora nessuno poteva immaginare che sarebbero esplose, di lì a poco, le Primavere Arabe.
Durante la trasmissione “Going Underground” di RT, Assange rivela il piano di Washington mirato a rovesciare il regime di Bashar al-Assad, programmato molto prima del 2011. Un piano contro il governo di Damasco che poco c’entra con l’apparente rivolta spontanea del popolo siriano.
La parte più compromettente di questo capitolo presenta un carteggio diplomatico dell’ambasciatore americano William Roebuck, all’epoca di stanza a Damasco, il quale discute apparentemente un piano per rovesciare il governo di Assad in Siria. Questo piano puntava a sfruttare tutta una serie di fattori allo scopo di creare paranoia all’interno del governo siriano fino a scatenare una reazione eccessiva.L’effetto più grave del piano sarebbe consistito nell’esacerbare le tensioni tra sciiti e sunniti diffondendo notizie false o esagerandole (come per es. la notizia sul tentativo da parte dell’Iran di convertire i sunniti, favorire questa percezione lavorando con Arabia ed Egitto per indebolire l’influenza dell’Iran e del governo stesso sulla popolazione). Questo rivela Julian Assange.
“Per comprendere ciò che sta succedendo all’interno e attorno alla Siria, bisogna guardare alle alleanze regionali”, secondo il fondatore di WikiLeaks.
La Siria è “circondata da alcuni alleati USA, soprattutto Arabia e Qatar, che continuano ad armare i gruppi” e questo rappresenta una parte del problema nel Paese. “Anche la Turchia è un attore da prendere molto seriamente”.
Ciascuno di questi Paesi ha le proprie ambizioni di egemonia nella regione siriana. Israele, in particolare, nel caso si verificasse una sufficiente destabilizzazione della Siria, potrebbe impossessarsi per sempre delle alture del Golan o avanzare in quel territorio. In sostanza, esiste un certo numero di attori che sta cercando di fare a pezzi la Siria.
Le ‘abitudini’ dell’Impero USA
Sintetizzando la dichiarazione di Assange, il modus operandi del governo statunitense resta quello di attivare vari rami del potere (da quello finanziario, commerciale, militare all’intelligence e al potere diplomatico e d’informazione) per fare pressioni più o meno lecite su un determinato Paese quando, da quel Paese, vuole e può ottenere qualcosa.
“Sfrutta questi meccanismi attraverso le sue ambasciate, le sue basi militari, la sua presenza in organizzazioni come l’ONU e FMI per assicurare vantaggi e strutture alle maggiori società americane”.
Queste ‘abitudini’ americane non attaccano facilmente in Sud America, secondo Assange. L’influenza USA qui è più difficile da realizzare perché quelle nazioni sono circondate da Stati di supporto relativo.
Nel libro, Assange ricorda quando gli USA si sono recati in Brasile dicendo che volevano regnare in Venezuela ma hanno ricevuto un categorico ‘no’ dal Brasile. Lo chiama “l’impero USA”, ma non nel senso classico e glorioso del termine. Il suo imperialismo è legato ad oltre 1.400 basi militari sparse in oltre 120 Paesi ed ai suoi accordi commerciali.
Assange ha rilasciato le sue dichiarazioni al canale Tv RT dall’ambasciata ecuadoriana, dove risiede da tre anni. Gli è stato accordato asilo politico nel paese latino-americano, ma se dovesse lasciare l’ambasciata e trasferirsi sul suolo britannico, dovrebbe subire l’estradizione in Svezia, dove è stato accusato di stupro.
Dalla Svezia, il fondatore di WikiLeaks teme che potrebbe essere estradato negli Stati Uniti per affrontare il processo riguardante la pubblicazione, risalente a cinque anni fa, di documenti diplomatici e militari USA riservati – che rappresenta una delle più grandi rivelazioni nella storia degli Stati Uniti. Se venisse dichiarato colpevole dalla corte USA dell’Espionage Act, Assange rischierebbe l’ergastolo o la pena di morte.
Il governo britannico ha speso finora 12 milioni di sterline (16.360.000 euro circa) per la sorveglianza costante della polizia fuori dell’ambasciata ecuadoriana, con ufficiali di guardia permanente per arrestare Assange nel caso avesse lasciato i locali dell’ambasciata.
La posizione russa in Siria: no al monopolio USA
Nel libro “I File di WikiLeaks”, Vladimir Putin è menzionato solo tre volte e mai in senso sfavorevole. Ricordiamo che Russia Today ha concesso ad Assange un suo show in Tv prima che si rifugiasse nell’ambasciata ecuadoriana a Londra per evitare l’estradizione in Svezia a causa dei presunti reati di stupro.
Il controverso (per la stampa occidentale ufficiale) intervento russo in Siria è, in realtà, un passo prevedibile e coerente.
L’insistenza giustificata della Russia è chiara e non si nasconde dietro a nessun giro di parole o particolari strategie; il suo intervento è la prova evidente che Mosca propone un mondo senza il monopolio degli Stati Uniti.
Dall’inizio della guerra siriana – pianificata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, come rivelano l’ex ministro degli Esteri francese e lo stesso Wikileaks – la Russia vuole difendere con forza il principio di ‘non intervento’ negli affari interni di altri Paesi, una posizione da sempre snobbata dai suddetti Stati Uniti, Francia e Regno Unito.
La Russia, rifornendo la Siria di armamenti, non viola nessuna risoluzione dell’UNSC. Oltretutto, non rifornisce l’esercito siriano gratis: i tempi in cui l’Unione Sovietica cedeva enormi quantità di armi agli alleati sono finiti da un pezzo. Oggi, Mosca si fa pagare per i suoi prodotti: la Siria ha ipotecato la base navale di Tartus, ha accettato crediti da Mosca e ulteriori aiuti dall’Iran, il suo alleato numero uno. Muovendosi in questo modo, il governo siriano riesce a sopportare i ‘crimini’ di guerra commessi da Washington.
L’economia della Siria migliora nonostante la distruzione delle infrastrutture da parte dei terroristi stranieri e di certi traditori siriani. La Russia si limita ad inviare le armi via mare ed esperti per l’addestramento che giungono nella base aerea di Maza (Damasco). Ha, oltretutto, fornito consigli tattici all’alto comando siriano, forte della sua esperienza nella lotta al terrorismo in Afghanistan e Cecenia. La Russia aveva interrotto questo rapporto ed ora è tornata. E’ tornata non per intervenire fisicamente in battaglia, ma per mettere in atto un nuovo piano: far salire i costi a Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, coinvolti nel terrorismo istituzionalizzato.
Un pesante indizio, che prova chiaramente la posizione di Putin, risale a qualche giorno fa, quando ha trascinato l’ambasciatore turco a Mosca mandando a dire al presidente turco Erdogan di “andare all’inferno”. Ha minacciato l’ambasciatore di rompere le relazioni diplomatiche con Ankara se Erdogan insiste ad appoggiare i terroristi in Siria e Iraq. Ha definito Erdogan un “Hitler”. Il Generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore della Russia, ha avvisato Erdogan che ci sono missili puntati sulla sua camera da letto. I russi avvertono, danno una chance, non colpiscono alle spalle né delegano la loro responsabilità ai droni armati.
Presumibilmente, la Russia ha consegnato una squadriglia di MiG-31B Foxhound alla Siria, depositati in hangar corazzati sotterranei in varie basi aeree. Mosca ha annunciato anche nuove esercitazioni per il 15 settembre, per la sua crescente impazienza davanti al temporeggiare di inglesi, statunitensi e francesi e contro l’ipocrisia della guerra al terrore.
La Bulgaria ha imposto alla Russia di ispezionare gli aerei russi, Putin si è rifiutato assicurandosi altre rotte per i suoi voli. La Grecia aveva permesso i sorvoli ma, per ora, la rotta sembra fuori discussione. Sono il Mar Caspio, Iran e Iraq i ‘cieli’ migliori per Putin, che non fanno storie per l’uso del loro spazio aereo.
Dalla Siria viene confermato quanto segue: le navi russe attraccano nei porti di Tartus e Lataqia, la Russia espande la base aerea nella pianura ad est di Lataqia, ben protetta da vari sistemi di difesa aerea (tra cui S-300 e Pantsir). Le piste, prolungate da ingegneri russi e siriani, sembrano destinate ad accogliere grossi aerei da trasporto come l’Antonov An-124. Inoltre, è presente nella città di Salinfah (situata sulla cima più alta della catena montuosa) un reggimento di truppe Speznaz.
Turchia ed ‘entità sionista’ sono sempre più coinvolte nel conflitto. Cameron e Abbot intensificano il loro ruolo. La cosiddetta guerra al SIIL è ritenuta da Mosca una campagna mal dissimulata per distruggere completamente la Siria e ridurla come la Libia, proprio come ha dichiarato al mondo Sergej Lavrov qualche giorno fa.
Fonti: Wikileaks, syrianperspective.com
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