11 Ottobre 2024
Solstizio

Solstizio d’Estate parte seconda ∼ La Luce sotto le ceneri

Non ricordo, non credo, di aver scritto qualcosa intorno allo scrittore francese Henry de Montherlant e ai suoi libri. Certamente non qui, su Ereticamente. Non me ne dolgo, non me ne rallegro. Ne feci un breve accenno, introducendo l’edizione italiana dell’opera teatrale Domrémy di Robert Brasillach, dove però e in poche righe facevo riferimento alla sua passione per la tauromachia, le corride in Spagna. ‘Anch’egli guarda alla Spagna per trovare l’assoluto, quell’assoluto che è il fondamento della sua scrittura, la purezza della vita, dell’uomo, di una nazione. L’autenticità di questa passione è ben illustrata nel 1926, ne Les bestiaires attraverso la descrizione del combattimento tra l’uomo e il toro. E’ assistendo ad una corrida a Bayonne in compagnia di sua nonna, all’età di 14 anni, che subì un indelebile fascino per la tauromachia. Simile quasi a una religione, essa esalta lo spirito di lotta, il coraggio, il sacrificio, la forza e la gioia dell’azione. (Aggiungo, ora, come in fondo si è in tacita attesa che sia ‘il vinto’ ad incornare l’usuale vincitore. Passione del sangue, in primo luogo, riscatto della natura contro l’arroganza dell’uomo nella sua pretesa di dominio. Come Moby Dick, del resto). Il dio Mitra è raffigurato con il cappello frigio mentre pugnala un toro. I suoi riti si diffusero a Roma nell’esclusivo ambiente militare. Religione guerriera ed elitaria venne soffocata dal cristianesimo egalitario e universale…’. (Il mio recente viaggio a Madrid, pur simile a toccata e fuga, ha ridestato emozioni sopite immagini apparentemente disperse ricordi tanti di militanza e affettivi. Oh, tu, ombra eternamente in me presente, anticipando la lettura de ‘La notte di Toledo’, percorrendo ‘le strade brulle e rosse’, demmo inizio a l’historia de nuestra vida e de tu muerte).

Cerco negli scaffali a parete, fra ‘i duri di Parigi’, gli scrittori della collaborazione (anche se per Montherlant il prezzo si risolse solamente molti anni dopo la fine della guerra in un tentativo di gogna mediatica da parte dei soliti intellettuali, stupidi infami e alla ricerca di notorietà a facile costo). Confesso che non trovo molto: un romanzo, Il caos e la notte (dovrò rileggerlo, nel suo intreccio satirico d’anarchia e Spagna), e il dramma La guerra civile, acquistato su un banchetto sotto i portici di Torino. Ovviamente Il solstizio di giugno, edito in Italia ormai nel lontano 1983 da Akropolis. Il solstizio d’estate appunto, in quel giugno del 1940. E la data si fa prossima… Sfoglio una raccolta di fotografie d’epoca, che mio padre mi comprava regolarmente e che volle rilegarmi a regalo per l’avvenuta promozione – l’anno non lo ricordo. Ecco le foto del Fuehrer che, il 23 giugno all’alba (si dice nel timore di un attentato la scelta di un’ora dove la città è ancora deserta), viene ripreso e nello sfondo la torre Eiffel, dove dal 14 giugno sventola la bandiera con la svastica. Soprattutto la fotografia più celebre – di una geometrica perfezione di forza – con l’ufficiale tedesco a cavallo un plotone di fanti e alle loro spalle l’Arco di Trionfo…

La rivincita tedesca sull’umiliazione subita al termine della Grande Guerra (non a caso Hitler volle che il 21 giugno del ‘40 venisse firmato l’armistizio nel medesimo vagone dove era avvenuta la resa delle truppe del Kaiser, foresta di Compiègne, l’11 novembre del ’18) e poi ancor più cocente a Versailles, certo, ma anche – premessa o illusione? – di un’Europa attraversata dal Fascismo ‘immenso e rosso’. Difficile a dirsi chè l’idea egemonica della Germania, della sua supremazia, si protrasse troppo vistosa e troppo a lungo prima che, tardiva nobile eroica, si levasse quella dell’Ordine Nuovo forgiato dalle divisioni delle Waffen-SS, volontari provenienti da tutto il Vecchio Continente e non solo… Gli stessi volontari, ormai ridotti ad un pugno di valorosi, che, a Berlino, tra macerie fuoco e ferro, nell’aprile di cinque anni dopo, difenderanno un bunker a simbolo dell’Europa. Inutile e ostinato il loro sacrificio? ‘E malgrado tutto non sarà che una notte di più sul mondo. Una notte per i più e pieno giorno per i pochi’.

Henry de Montherlant assiste, nei giorni di giugno, sotto la luce sfolgorante nell’approssimarsi del solstizio, alla disfatta della Francia, ma, pur avvertendo in sé lo spasmo acuto per la patria umiliata offesa e messa in ginocchio, non si lascia irretire dalle lamentazioni di un nazionalismo stantio e superato ma cerca valenze e richiami ed esiti cosmici, di storia assoluta, metafisica. Non può essere casuale che ‘la croce uncinata, che è la Ruota solare, trionfa in una delle feste del Sole’. E proprio in quegli stessi giorni del mese di giugno ecco la firma dell’armistizio, raccolta la notizia passeggiando lungo ‘questa costa livida’ del Mediterraneo. ‘E’ il mare sopra il quale passò una voce che diceva: – Il grande Pan è morto – … E sopra il quale, questa sera sento passare un’altra voce: – Sei vinto, o Galileo’. (Nella ruota del tempo, come appunto le onde del mare, che s’infrangono a riva per poi tornare a largo e riproporsi ancora ed ancora, l’imperatore Giuliano, dai cristiani dispregiato con l’accusa d’essere l’Apostata, restauratore sconfitto del paganesimo, sembra levarsi di nuovo dalle sabbie del deserto e prendersi la rivincita sul Nazareno).

Aveva scritto il poeta Goethe (dagli epigrammi, Xenien) : ‘E’ gloria degli uomini della Germania aver odiato il cristianesimo, fino al giorno in cui i bravi Sassoni dovettero soccombere sotto la spada fatale di Carlo’. E Montherlant, idealmente, ne commenta: ‘A lungo avevo desiderato di vedere in faccia quell’esercito e di sapere qual’era il suo comportamento; chi erano quegli uomini che – chiamano Dio il segreto dei boschi -; ai quali andava l’antica gloria d’aver odiato il cristianesimo, e che ora avevano la missione di distruggere la morale borghese e la morale ecclesiastica, dalle rive dell’Atlantico fino ai confini della Russia… Dietro di loro gomito a gomito, la patria tedesca avanza cantando, sotto invisibili stendardi solari’. Una guerra, dunque, che perde ogni connotato politico economico geografico; una guerra mascherata da ideologie contrapposte libertà totalitarismo democrazia comunismo razza, che in fondo sono solo i carnefici e le vittime del tempo e delle circostanze; una guerra che rappresenta, nella ciclicità stoica, nell’eterno divenire dell’uguale intuito da Nietzsche, inconciliabile visione del mondo. Costantino e Licinio, nell’anno 323, l’uno che prega e chiede sostegno ai riti e ai sacerdoti cristiani; l’altro che offre sacrifici agli dei – poi, nell’equinozio di settembre la seconda sconfitta del ‘pagano’, il suo cedere le armi… Ora, in questa primavera del ’40, con ruoli rovesciati, la Germania – la paganìa – ha battuto la Francia. Fino a quando? Alternanza…

Al liceo, nell’anno 1996, invitai Mario Castellacci a raccontare della sua esperienza di giovanissimo allievo della scuola AA.UU di Orvieto della Guardia Repubblicana; accompagnai a Montecitorio la medesima classe a incontrare Armando Cossutta, tetragono esponente del Partito Comunista. Il primo interpretava la guerra come lotta tra il liberismo capitalista e il totalitarismo corporativo, insomma, come Ezra Pound, il lavoro contro l’usura; il secondo s’inviperì chè, a suo dire, era stata una guerra di libertà. (Raccontò di carrette con i fascisti assassinati e accatastati l’uno sull’altro tanto, commentò, non erano da considerarsi ‘uomini’). Il Presidente Mao, con volto sornione e sorridente, avrebbe scosso la testa e aggiunto ‘c’è molta confusione sotto il cielo’… Gli uomini, strumenti del destino planetario, vincono e perdono, soggiacciono effimeri in entrambi i casi; le idee, no, possono solo essere confuse ottenebrate tradite.

Ogni combattimento richiede la capacità di discernere i giusti obbiettivi, conservare la distinzione tra il momento strategico (il fine) e quello tattico (la duttilità dei mezzi). Come nel salire per aspro sentiero in cerca del luogo più alto ed idoneo per festeggiare il Sole nella sua compiutezza. E la fatica il passo greve il sudore troveranno compensazione nell’osservare i confini lontani dell’orizzonte e avvertire in sé l’urgenza di travalicarli renderli rottami sparsi alle nostre spalle. Con gli dei o contro poco conta…‘Il sorriso e il silenzio… Il sorriso del pensiero più profondo’.

Adriano Romualdi ci indicò il solstizio d’inverno, morte e rinascita del sole; Peppe Dimitri ad amare le vette e il rito in attesa delle prime luci dell’alba. L’Europa, che sembrava essere stata annientata a Berlino, era (è?) pronta a ridestarsi dalla coltre mefitica in cui era ed è sommersa… Rutilio Sermonti ci ha lasciato a consegna quell’avverbio ‘niemals’ – comunque e nonostante tutto in armi, ideali e in stile di vita, per non tradire quel giovane granatiere dal polso rigato di sangue che, consapevole di morire, chiedeva a lui il diritto di credere nella Vittoria. E, se la vittoria ci appare lontana e distratta, nulla toglie a ciascuno di noi il dovere di non rinnegare idee e lotta. Anche oggi, prossimi al solstizio d’estate, per lasciare che emozioni e sentimenti e l’amore e la gioia di vivere e la comunione d’intenti e il comune sentire si esprimano in roghi e cataste nella radura, mano nella mano di giovani combattenti, ramoscelli e fiori fra i capelli, le vesti leggere, i corpi ardenti. Niemals!

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