Dovrei approfittare della disponibilità di un mio ex alunno, che da anni si è trasferito in una città d’Irlanda, per visitare quel paese che ha esercitato su molti di noi un duplice fascino.
Terra magica e leggendaria dove i cimiteri si adornano di croci celtiche; terra di rivolte e di lotta fino ai giorni nostri in cui gli uomini e le donne dell’IRA ci sono apparsi il segno vivo, con il marchio del rosso sangue, di combattenti per la sovranità nazionale contro il colonialismo inglese e strenui difensori dell’identità violata. Mi sono, però, invigliacchito e, nonostante il mio disprezzo per l’anagrafe, fatico a battagliare con i segni del quotidiano. E così rimarrà fra i tanti sogni in cui l’onda del tempo s’infrange irrisolta sulle scogliere e l’oceano Atlantico… simile ad ‘una barca che anela al mare eppure lo teme’.
Alla fine degli anni ’90, credo su suggerimento di Sabina, ho letto Strade di Belfast, storie di vita quotidiana sullo sfondo della lotta di liberazione irlandese quale sottotitolo (‘Nel 1971 gli inglesi uccisero Mickey. Uccisero tantissimi cani a Ballymurphy. Infatti questi avvisavano della presenza dei soldati nell’area: li facevano inferocire e, con le frequenti perquisizioni che subiva la nostra casa, Mickey impazziva ogni volta che vedeva o sentiva l’odore di un inglese…’. E così avviene per l’altro loro cane, Shane, che, essendo di bella taglia, viene portato via dagli inglesi ad Henry Taggart, base dell’esercito, mentre l’autore di queste storie si trovava ‘a Long Kesh, allora, rinchiuso nella cella n. 6’ oppure il ricordo del ‘Bloody Sunday’, la domenica 20 gennaio 1972 quando l’esercito britannico uccise quattordici persone a Derry durante una manifestazione pacifica per i diritti civili, che s’insinua nella vita ordinata e pacifica di due anziani fratelli. Insomma nel quotidiano, nel minimalismo d’ogni singolo episodio gli uomini e la storia sembrano ignorarsi eppure si guatano si alitano si riconoscono in quanto la seconda è l’ombra onnivora brutale iniqua).
L’autore di questi racconti è Gerry Adams, che da anni ricopre la carica di presidente del Sinn Féin (il partito cattolico dell’Irlanda del Nord, braccio politico per decenni dell’IRA, anche se non sempre in rigida sintonia nella necessità di doversi destreggiare tra la legalità pubblica e la clandestinità armata. Del resto la stessa IRA conobbe una scissione interna e l’esistenza di micro-organizzazioni incontrollabili). Egli stesso ha sempre negato la sua affiliazione all’Esercito di rivoluzione irlandese, nonostante le accuse a lui rivolte dalla polizia di Belfast e dalle autorità britanniche. Ultime per il caso della vedova Jean McConville, di anni 37, che l’IRA sequestrò nel lontano 1972, in casa, davanti ai suoi dieci figli, accusandola d’essere una spia della polizia nord-irlandese. Nell’agosto del 2003 il mare ne restituì il corpo con le ossa spezzate e le mani amputate. Da testimonianze raccolte negli Stati Uniti Gerry Adams viene tratto in ballo come colui che aveva dato ordine di eseguire la condanna. Arrestato, rimesso in libertà dopo quattro giorni, vaghe e confuse le accuse. Legittimo il sospetto che non si vuole mettere in crisi il fragile equilibrio raggiunto…
I numerosi arresti, gli anni di detenzione hanno rilevato la presenza di una personalità forte e decisa, sebbene sul suo capo e sui suoi comportamenti si sono addensate le ombre di accuse ignominiose. Eletto al Parlamento di Londra, dove non volle mai sedere rifiutando di riconoscere l’autorità britannica sulle Contee del Nord, è stato fra i massimi esponenti delle trattative di pace. Nel 1984, il 13 marzo, transitando in auto nel centro di Belfast, venne ferito da un attentato messo a segno da un commando dell’UDA, l’organizzazione a carattere militare protestante. La sua fama si fece evidente, sebbene anche qui c’è chi ne adombra la limpidezza, quando dall’ottobre del 1980 all’ottobre dell’anno successivo si protrasse quello sciopero della fame nel quale ben dieci detenuti si lasciarono morire. Fra costoro, il primo e il più noto, Bobby Sands.
E’ il 5 maggio del 1981 (da pochi giorni, dunque, sono trascorsi trentatre anni), Bobby Sands è avvolto in uno spesso simulacro di bende affinchè le ossa non si spezzino e lacerino la pelle, sono ormai sessantasei giorni di digiuno, quando il suo cuore ardimentoso cessa di battere. Irremovibile. Al delegato del Papa che ha cercato di dissuaderlo, con voce ormai flebile ma decisa ha risposto: ‘Sorry. I must dead’… Le hanno tentate tutte, egli e i suoi compagni di detenzione, all’interno dei famigerati H-Blocks, nella prigione di Long Kesh contro il regime carcerario a cui vengono sottoposti i detenuti politici. Rifiutandosi d’indossare la medesima uniforme dei detenuti comuni; rifiutandosi di lavarsi e, vista l’ostinazione del governo presieduto da Margaret Thatcher, lo sciopero della fame ad oltranza. Tutto inutile se non nella memoria di chi ritiene che ‘la guerra-non-è finita’… Vano il suo, il loro sacrificio? (Il 5 maggio cade anche l’anniversario di quell’esecuzione, mascherata da conflitto a fuoco, in cui venne assassinato Giorgio Vale. Il suo, quello di altri camerati, fu anch’esso vano?). La storia li condanna al superamento – altra cosa è la dimenticanza di comodo –, alla distanza; ma lo spirito inquieto, quell’essere contro no, non può…
Quando è uscito nelle sale cinematografiche il film Romanzo di una strage, mio figlio Emanuele mi ha chiesto se potevamo andare a vederlo insieme. Egli sa bene che vado raramente, quasi mai, al cinema ma capisco che, pur essendo ricostruzione arbitraria e faziosa della vicenda di piazza Fontana, diveniva l’occasione per chiedermi indirettamente cosa ne pensassi o gli dessi spiegazioni, magari del mio tanto discusso(?) ruolo. Poi si è finiti con comuni amici davanti a una pizza e si è parlato di altro dando fondo ad un boccale di birra. Per coincidenza temporale, negli stessi giorni, è uscito il film Hunger sulla vicenda di Bobby Sands. Dopo la proiezione ho risposto alla richiesta di Emanuele, la tacita richiesta di qualche giorno prima. Beh, Romanzo di una strage che pur ha segnato la mia vita da quel 12 dicembre 1969 – vi sono due spezzoni che mi ritraggono e in uno mi si fa dire parole da me mai dette – mi ha profondamente annoiato, non mi ha dato nulla… non così Hunger che mi ha coinvolto, amaro in bocca, simile a un pugno ricevuto nello stomaco perché mi sono chiesto – è venuta su la domanda come un rigurgito di acido – cosa avrei fatto, se lucidamente sarei stato in grado di negarmi, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, al richiamo del corpo, al suo grido silenzioso e tenace in nome della viva carne, delle ossa, del sangue. La mente al servizio dell’Idea; il corpo al servizio della Vita. Un contrasto, un conflitt
o, tutto giocato nella solitudine interiore, nella solitudine della cella, una scelta in cui è d’obbligo che si diventi nemico implacabile di una parte di se stessi… ‘Ricordati, Critone, di offrire un gallo ad Asclepiade’…
Mario M. Merlino
o, tutto giocato nella solitudine interiore, nella solitudine della cella, una scelta in cui è d’obbligo che si diventi nemico implacabile di una parte di se stessi… ‘Ricordati, Critone, di offrire un gallo ad Asclepiade’…
Mario M. Merlino