Green Pass è una locuzione curiosa, e non certo per l’uso dell’idioma che i nostri colonizzatori ci hanno imposto, al quale siamo ormai assuefatti. Solo, potremmo chiederci cosa c’entri il verde con un lasciapassare. Forse perché funziona come un semaforo verde. O forse allude al verde della selva, alla sua verginità. Attesta che chi lo possiede ha ripristinato un’intatta virtù naturale, viriditas non contaminata da virus.
Ma questa ennesima norma non favorisce certo la semplicità naturale. È anzi un ulteriore tassello del caos. Ormai, uscir di casa equivale a venir coinvolti in un gioco più ingarbugliato di una partita a bridge, vincolati a una pletora di regole astruse, contraddittorie e in perenne mutamento.
Beati gli abitanti di comunità arcaiche, che seguivano ritmi e armonie naturali, ignari dell’arruffamento di leggi, ordinanze e decreti che noi, nella nostra società iper-evoluta, siamo tenuti a rispettare. Siamo ormai vittime della complessità di un’organizzazione sociale, economica, politica, di cui subiamo gli effetti senza comprenderli.
Essere cittadini consapevoli richiederebbe una conoscenza di dati, fatti, nozioni, ormai utopica, inaccessibile all’uomo comune. La gente si informa, legge i giornali, guarda la tivù ma, paradossalmente, più si informa meno sa e meno capisce. La cultura moderna è segnata infatti da un grave conflitto tra informazione e conoscenza.
Conoscere è il risultato di un’indagine, di una riflessione sulla realtà. Informare, in teoria, è il processo mediante cui si trasmettono ad altri le conoscenze acquisite. Agenti di questo travaso di saperi sono sempre stati la famiglia, la scuola, i libri. Tuttavia, nella società attuale questo ruolo è svolto prevalentemente dai media. I vari apparati mediatici hanno assunto negli ultimi tempi un tale potere che non è esagerato definire la nostra una ‘società dell’informazione’.
Questo fatto ha una cruciale importanza all’interno di società ‘democratiche’, il cui governo si basa idealmente sul consenso del popolo. La ‘democrazia’ sarebbe solo un escamotage populista se gli elettori non fossero onestamente informati circa i programmi politici, i loro obiettivi e contenuti reali. E su tale conoscenza, sulla sincerità della politica, dovrebbero vigilare come cani da guardia i giornalisti coscienziosi.
Informare richiede preparazione, probità e coraggio intellettuale. Sappiamo che l’informazione che non denuncia gli abusi e gli inganni del Potere ne diventa la zelante cameriera. Purtroppo, oltre che da una diffusa incompetenza, il mondo dell’informazione è oggi afflitto da una generalizzata disonestà intellettuale che ne compromette l’obiettività e la credibilità.
Certo non possiamo eliminare dall’informazione quella tara di soggettività che sedimenta nelle passioni e nei pregiudizi di ogni persona, anche del più integerrimo giornalista. Non è questo il problema. Si tratta di capire se la nostra è veramente una società ‘aperta’, democratica, che difende la libertà di espressione o se inclina verso quell’informazione alienata, ridotta a slogan e propaganda, strangolata dalla censura, che è tipica di un un regime totalitario.
Un giornalismo ridotto a valletto e ruffiano di poteri politici, finanziari ed economici, non è che un mucchio di vermi sul cadavere della ‘democrazia’. Di fatto, benché i professionisti del settore proclamino il loro impegno per la verità e il “diritto di sapere” della gente, è palese ormai la prostituzione dell’informazione a interessi di parte. L’informazione non si preoccupa più di illuminare sui fatti, di fornirne interpretazioni oneste, ma solo di creare una finzione discorsiva che sia funzionale al potere per cui lavora.
Data la progressiva concentrazione di potere nelle mani di pochi, è prevedibile che un giorno l’opinione pubblica sarà decisa in tutto il mondo da due o tre persone! L’informazione diventa così un pragmatico culto del falso e dell’utile, incurante della verità. E se i media rappresentano la forza che più d’ogni altra è in grado di formare l’opinione pubblica, dobbiamo dedurne che oggi il mondo è dominato dalla menzogna.
I falsari della comunicazione sanno che è difficile nascondere per sempre la distanza tra informazione e verità. Per questo, affinché la falsità conservi la sua efficacia, sono obbligati ad aumentarne il dosaggio. Devono mantenere un tasso elevato di certezze subliminali nel cervello della gente, creare una cortina di stereotipi e pregiudizi che rendano l’opinione pubblica impermeabile alla realtà. La società moderna mostra così gli effetti di un’intossicazione di bugie, di un’umanità drogata dalle menzogne.
L’effetto allucinatorio dell’informazione è reso più facile dall’uso di immagini, che avvolgono la coscienza in una dimensione onirica, riducendone le già consunte facoltà critiche. A ciò si somma il flusso continuo e rapido dei messaggi, eccitazioni effimere del sistema nervoso che svaniscono rapidamente nell’oblio sotto strati di nuovi messaggi, senza la possibilità di articolarsi in un pensiero coerente. Obiettivo dell’informazione è così depositare un sedimento di tendenze subconscie che spingano la gente a pensare e ad agire secondo suggestioni assimilate passivamente, secondo i canoni della pubblicità.
Se consideriamo che oggi il potere mediatico è secondo solo a quello economico-finanziario che lo controlla, possiamo comprendere l’enorme minaccia rappresentata da un’informazione adulterata. Gli stessi poteri dello Stato sembrano venir scavalcati e posti in subordine dalla forza dei media. Nessuno può quindi arginare il dilagare di una plutocrazia di mercanti e banchieri svincolata da ogni principio democratico.
Anche la scienza sembra ormai rispondere a criteri non di verità ma di controllo sociale e di profitto economico. È in questo senso allarmante vedere la docilità con cui i politici ubbidiscono alle direttive di sedicenti ‘comitati tecnico-scientifici’, delegando a millantate ragioni scientifiche la gestione della cosa pubblica.
Tuttavia, sarebbe ingiusto scaricare ogni colpa su media corrotti e scienziati faccendieri. Non è solo il giornalista o l’esperto a falsificare la verità, lo stesso ‘uomo comune’ vuol essere illuso. Tutti partecipano a un gioco che serve a soddisfare aspettative psicologiche e ideologiche. Uniti dal bisogno comune d’essere indottrinati, di costruirsi ideologie recalcitranti a ogni esame di realtà. Esiste quindi una generale complicità tra le vittime e i carnefici della disinformazione. Vulgus vult decipi ergo decipiatur.
Se la menzogna si ramifica come per angiogenesi, favorendo l’insorgere di tumori maligni nella società, nella scuola, nella politica, nei media, nel senso comune, la colpa non è solo di una minoranza di bugiardi attivi ma anche di una maggioranza di persone che aderiscono passivamente al sistema, con vegetativa incoscienza.
Il buon esito di questa collusione tra chi trasmette messaggi falsi e chi li riceve dipende dal suo galleggiare in una zona grigia, dove la percezione della propria responsabilità personale scolora in una colpa collettiva. Il sistema non potrebbe reggere una tale sistematica distorsione del vero se ne diventasse consapevole. Il sentimento di innocenza generale è possibile solo perché la bugia del singolo si confonde in una sorta di armonia complessiva.
Questa forma di menzogna, ontologicamente superiore al semplice e occasionale mentire, travalica il semplice fenomeno della malafede consapevole. È una falsa coscienza collettiva, favorita per altro da sentimenti democratici. Siamo abituati a fondare i valori su banali rapporti numerici. Anche la verità diventa una questione di suffragio, di percentuali. Così, quando la gente si imbatte in informazioni che rappresentano una minoranza esigua di pensiero, le crede false, quasi pericolose forme di estremismo. Lo vediamo nel campo del sapere scientifico, dove la tesi avallata dalla maggioranza degli ‘esperti’ acquista valore apodittico e non opinabile.
Ovviamente la validità di una tesi scientifica non si può decretare per alzata di mano. Chi vuol avvicinarsi alla comprensione di un fenomeno deve analizzare spassionatamente i dati, cercando di astrarre per quanto possibile da pregiudizi, e trarne deduzioni logiche, confermate dalla realtà, senza deformare, nascondere, inventare, adattando le idee ai fatti e non viceversa.
Oggi circola a tal proposito uno stupido luogo comune. Pare non sia lecito esprimere un’opinione personale su un problema scientifico e tanto meno discutere il parere degli ‘esperti’ se non si ha la necessaria competenza in materia. Ma questa è banale inerzia intellettuale e, di fatto, dimostra un disinteresse per la conoscenza.
È ovvio che su questioni squisitamente tecniche il profano non può disquisire. Ma sulla coerenza logica di alcune teorie, sulla loro minore o maggior credibilità, una persona mediamente istruita e intelligente ha il diritto di farsi una propria idea. Senza entrare nei dettagli più tecnici, può comprendere gli elementi essenziali di un problema e tentarne un esame imparziale. Non giungerà così a una certezza assoluta (impossibile anche all’esperto) ma si potrà formare una ‘valida opinione’.
Del resto, mi chiedo quale sia il livello di competenza richiesto in una specifica disciplina prima di poter esprimere un’opinione, dato che vediamo trattare con disprezzo le argomentazioni di scienziati prestigiosi, persino premi Nobel, quando presentano posizioni incompatibili con le versioni ufficiali. Questo è evidente oggi nella vexata quaestio dei contagi e dei vaccini.
Chi si preoccupi di indagare la questione più a fondo di quanto facciano i monocordi media di regime, vedrà infatti che la scienza presenta al suo interno dissidi, incertezze e incoerenze. Autorevoli voci scientifiche sollevano dubbi, perplessità e allarme sulla natura del problema e sulla sua gestione politica. Ma se ci volgiamo ai grandi media – ovvero al cartello mediatico che potremmo definire ‘La Voce del Padrone’ – troviamo invece certezze unanimi e granitiche. Secondo loro, le critiche al dogma vengono solo da frange estremiste, formate da pazzoidi irresponsabili. Tuttavia, è chiaro che respingere le obiezioni degli altri definendole ‘deliranti’ o ‘irricevibili’ non ha alcun valore dimostrativo.
Forse si teme il rischio che, dopo un franco dibattito, le tesi di una minoranza di scienziati possano sembrare più logiche, coerenti e credibili di quelle propalate dal monopolio mediatico. Si cerca quindi di respingerle con la veemenza dell’offesa personale, della censura, dello scherno, dell’ostracismo e della minaccia. Come se, non potendo negare razionalmente le ragioni dell’avversario, si dovesse zittirlo a forza. Dubito che questo si possa definire ‘metodo scientifico’.
Il profano, preso tra i due fuochi di opinioni scientifiche divergenti, potrebbe chiedere: “perché dovrei credere all’uno piuttosto che all’altro?”. Non avendo certezze, vorrei rispondere con un’altra domanda: è moralmente più credibile il medico o lo scienziato che sostiene un’idea sapendo di esporsi in tal modo a insulti e minacce, a una perdita di prestigio, al rischio di venir sanzionato, radiato, rimosso dall’insegnamento, o quello che sa di trarre dalle sue dichiarazioni profitti personali in termini di carriera, fama, denaro?
Si tratta cioè di valutare un conflitto di interessi. La risposta a tale quesito, a mio parere, è importante in relazione a quel delicato processo psicologico che ci porta a dar fiducia a una persona o a diffidarne. Non dimostra scientificamente nulla, ma può ispirare un legittimo sospetto.
Inoltre, se i grandi media, sul tema della ‘pandemia’, sembrano fondersi tutti in un delirio conformista, se mostrano tutti la stessa realtà omogeneizzata, se ficcano ogni giorno identici pensieri e sentimenti in milioni di teste, se non danno voce a critiche e obiezioni, se procedono per ripetizione e non per argomentazione, se esprimono affermazioni perentorie, assumendo caratteri inquisitori e dogmatici, io temo che tale informazione non sia più né libera né affidabile.
È un’informazione che persegue strategie emotive, incantatorie e ideologiche, che cerca di rinchiudere le coscienze in un’identità collettiva, costruita intorno a un’identica percezione di valori. Al momento questi valori sembrano essere la paura del contagio e il controllo farmacologico della società.
Le stesse metodologie scientifiche non ci aiutano a comprendere la realtà, perché basate su criteri elusivi, nascosti dietro un’apparenza di rigore e obiettività. È sufficiente, per ingannare anche sé stessi, predisporre protocolli di verifica sufficientemente ambigui, che permettano di trovare quel che si vuol trovare, di non vedere quel che si preferisce ignorare.
Per altro, dobbiamo ricordare che il vaccinismo è un’ideologia, non una scienza. È quindi esentato dalla valutazione della sua reale efficacia. Ogni suo fallimento, ogni suo danno, va inserito in un disegno provvidenziale. Se anche le vittime del vaccino diventassero milioni, andrebbero viste come un necessario olocausto. Dietro l’apparente laicità della questione si nascondono infatti presupposti religiosi e metafisici.
Essendo il Vaccino fonte di ogni Bene, non può esser sottoposto a giudizio morale o intellettuale. È lui stesso a costituire il fondamento etico e scientifico su cui si regge ogni discorso. Metterlo in discussione sarebbe sacrilego. Sulla base di tale premessa, ossia di dogmi non dimostrabili, si chiede alla gente una fede cieca, l’ubbidienza incondizionata, la disponibilità a rischiare la vita. A questo punto, per la nostra stessa salute, più che la libertà dell’informazione dovremmo invocare la libertà dall’informazione.
Purtroppo, all’uomo medio poco importa d’esser libero e di vagliare criticamente i condizionamenti cui è sottoposto. È su questa massa di individui, dotati di una scarsa coscienza di sé, che ogni regime totalitario fa leva. A tal fine usa gli strumenti della comunicazione come pedagogia delle masse, fabbricando un consenso ideologico che lo legittima e lo pone come criterio incontestabile di eticità e razionalità. Se il suo impianto di menzogne fosse messo a nudo, tutto il sistema crollerebbe.
Ma mi sembra un eccesso di ottimismo sperare che ciò accada. L’effetto narcotico dei media ha una salda presa sulla gente, è un’infezione da cui sono immuni solo pochi spiriti liberi. Quelli che per la loro ostinazione nel negare la menzogna son chiamati ‘negazionisti’, o ‘complottisti’, teorici della cospirazione, per la loro pretesa di guardare in filigrana oltre l’informazione ufficiale. Quelli contro cui i media indirizzano l’indignazione e il disprezzo dei benpensanti.
Così, dopo aver fatto dell’autocritica e del relativismo una bandiera, oggi vediamo risorgere forme di assolutismo, di totale rifiuto delle critiche e delle obiezioni. Ogni pluralismo delle idee va bandito, i cervelli devono formare un’unica salda muraglia contro il nemico comune. Chi non combatte questa guerra secondo la retorica imperante viene trattato da traditore o disertore.
Ogni buon cittadino deve aderire al ‘nazional-vaccinismo’, sorta di Stato etico-sanitario che definisce i nuovi criteri del bene e del male. La capacità autonoma di giudizio morale va sospesa. Anche l’esercizio di libere facoltà intellettuali è malvisto e scoraggiato. Siamo intrappolati all’interno di un sistema ‘covideologico’ dalle cui maglie, strettissime, non si può sfuggire. Anche chi lo critica, ne viene assorbito e fagocitato.
Qualcuno potrebbe far presente che ci sono problemi più gravi dell’influenza. Ad esempio, ogni giorno nel mondo muoiono venticinquemila persone per fame, tra cui moltissimi bambini, e vi sono circa due miliardi di persone colpite da denutrizione, contagiate per così dire dalle fame, che è morbo assai peggiore dell’influenza. Ma obiezioni simili vanno ignorate perché distraggono dalla missione di arrivare alla ‘vaccinazione anti-influenzale universale’. Dovendo versare centinaia di miliardi alle case farmaceutiche, non si possono certo sprecare soldi per provvedere alla ‘nutrizione universale’.
Intorno al tema del vaccino si cristallizzano nuovi tabù, potenti interdizioni sociali. Ed è sorprendente che una società in cui fino a ieri razzismo e discriminazione erano le ipostasi del Male, i più sacri tabù, concepisca oggi nuove leggi razziali; che, dopo tanti edificanti prediche sulla necessità d’esser tolleranti, si prepari a partorire nuovi mostri di intolleranza. Dopo aver celebrato la mistica bellezza dell’‘inclusività’, eliminazione delle differenze e delle barriere, non si trova assurdo escludere dalla vita civile milioni di persone, privandole di diritti umani fondamentali.
I professionisti dell’informazione si fanno anzi un dovere di fomentare sentimenti di odio, razzismo e discriminazione verso chi difende i principi della libera scelta e del libero pensiero, seminare zizzania, mettere vaccinati contro non vaccinati, soffiare suo fuoco di una sorta di guerra civile. E la gente non vede in ciò alcuna contraddizione morale. La ferita logica viene sanata dal potere taumaturgico della nuova ideologia sanitaria.
Sublime ipocrisia, genio tartufesco della politica e dei media! Consegnano la società al nuovo totalitarismo, ma intanto chiamano le folle a raccolta in ammuffiti rituali di esecrazione delle dittature passate. Pantomime dove possono affrontare coraggiosamente nemici inesistenti, aggiudicarsi facili vittorie simboliche, evocare gli spettri del passato per poterli pomposamente esorcizzare, versare fiumi di retorica commozione sulle vittime di totalitarismi ormai morti, proclamarsi custodi di una libertà sacra e inviolabile. E mentre riesumano i cadaveri rinsecchiti del nazismo e del fascismo per esporli all’universale condanna, inneggiano al vaccinismo, alla nuova dittatura. Vezzeggiano il neonato tiranno, questo mostro dalle formidabili potenzialità, come una creatura ancora in fasce, da nutrire e proteggere.
Di fatto, procediamo a grandi passi verso una nuova metafisica della razza: ecco i nuovi ariani, resi puri dal battesimo vaccinale, ed ecco gli esseri immondi e subumani che corrompono il mondo, i ‘sorci’, bestie da stanare e sopprimere. Andiamo verso un nuovo catarismo in cui il grado di perfezione dell’individuo sarà proporzionato al numero di vaccini effettuati. Ci prepariamo a scrivere un nuovo capitolo nella storia delle minoranze perseguitate.
Certo, i nuovi crimini contro l’umanità saranno meno brutali all’apparenza, giustificati da ragioni ‘umanitarie’ e avvolti in ammiccanti eufemismi. Green Pass, ad esempio, è espressione graziosa, nessuno la assocerebbe a Stalin e alle sue carestie programmate. Si possono chiamare ‘vaccini’ delle schifezze micidiali. Trovando le parole giuste, si può spacciare un piano di sterminio come tutela della ‘salute pubblica’. Solo pochi penseranno al famigerato Comitato rivoluzionario e al suo disinvolto uso della ghigliottina.
Di fatto, è una rivoluzione, anche se dai modi sfumati, abile nel dosare la violenza. Rivolta non del popolo contro il potere, ma del potere contro il popolo. Del resto, si sa che le rivoluzioni non nascono dal popolo. Vi sono intellettuali che le pianificano e ne stabiliscono le ragioni teoretiche. Persino le atrocità dei Khmer rossi avevano alle spalle fior di filosofi. Così, anche la rivoluzione covidista ha i suoi ideologi, che l’hanno scrupolosamente programmata. La chiave di volta di tale rivoluzione -“satanica nella sua essenza” direbbe De Maistre – è l’applicazione dei principi hitleriani della propaganda.
« … l’arte della propaganda consiste nel riuscire a risvegliare l’immaginazione del pubblico … La grande maggioranza di una nazione è estremamente femminile nel suo carattere … il suo pensiero e la condotta sono governati dal sentimento piuttosto che dal ragionamento sobrio … Questo sentimento non è complesso … ma ha solo le nozioni negative e positive di amore e di odio, giusto e sbagliato, la verità e la menzogna. La propaganda non deve indagare la verità oggettiva … ma deve presentare solo un aspetto della verità, che è favorevole al proprio scopo. (…) il potere ricettivo delle masse è molto limitato e la loro comprensione è debole. D’altra parte, se ne dimenticano in fretta. Stando così le cose, ogni propaganda efficace deve limitarsi a poche cose essenziali e quelle devono essere espresse per quanto possibile in formule stereotipate. Questi slogan devono essere ripetuti con insistenza fino a che anche l’ultimo individuo venga a cogliere l’idea che gli è stata messa davanti. (…) Ogni modifica apportata nel soggetto di un messaggio propagandistico deve sottolineare sempre la stessa conclusione. Lo slogan principale deve naturalmente essere illustrato in molti modi e da diverse angolazioni, ma alla fine bisogna sempre ritornare all’affermazione della stessa formula».
Per raggiungere tale scopo era fondamentale subornare il mondo della scienza e dell’informazione. Il ‘tradimento dei chierici’ è oggi nella viltà dei media e della comunità scientifica, nella loro corruzione e abiura della verità. Il problema è che nessuna ideologia totalitaria si ferma al piano dell’astrazione. Il suo obiettivo è spingere le masse ad agire, a diventare strumento dei suoi fini, a combattere per essa. Non fa eccezione la fede vaccinista, pronta ad abbattersi sugli infedeli come un castigo di Dio. E se un tempo, per fuggire all’Inquisizione, o al nazismo, si poteva chiedere asilo a Paesi più tolleranti e liberali, oggi chi darebbe ricetto e protezione a degli esseri infetti, ripugnanti come lebbrosi? La vulgata, la propaganda covidista, vuole infatti che questo pianeta non sia più un posto sicuro finché vi resterà anche un solo non vaccinato.
Perciò, quando sento giornalisti infiammati dal sacro fuoco della rivoluzione sanitaria spingere la gente al fanatismo e all’intolleranza verso i renitenti al vaccino, penso alla Vandea. Mi par di sentire in loro gli echi di quegli igienici propositi: “purgare interamente il suolo della libertà da questa razza maledetta … neppure le persone semplicemente sospette devono essere risparmiate”. Forse leggeremo in prima pagina che nuove colonne infernali son state incaricate della disinfestazione.
La propaganda chiede che chi si oppone a obblighi vaccinali e segregazioni sanitarie venga travolto dal vento della rivoluzione. I reazionari verranno usati come capri espiatori, scovati nelle loro tane, fino a cancellarne ogni traccia. Ogni violenza nei loro confronti sarà benedetta. Infatti, tutto ciò che si compie per la causa vaccinista è ipso facto nobilitato. La corruzione diventa rettitudine, la ferocia bontà. Perseguire l’immunità dal virus renderà immuni da ogni altra colpa.
Ho sentito dire, con serafico cinismo, che “nessuno sarà obbligato. Solo, chi non vuole vaccinarsi dovrà pagarne le conseguenze”. Il che, si badi bene, non vuol dire che il non vaccinato dovrà accettare il rischio di beccarsi un’influenza – nessuna persona sana di mente se ne preoccuperebbe – ma che dovrà rassegnarsi a venir estromesso dal mondo del lavoro, condannato a un grave isolamento, a una fatale indigenza. Il che, ammettiamolo, non è diverso dal restar vittima di una carestia programmata.
Del resto, come diceva Lenin, per fare la frittata bisogna rompere le uova. Dunque anche la rivoluzione covidista lascerà dietro di sé una montagna di gusci rotti. Ma per loro, per i nuovi giacobini della salute, non v’è alcun pericolo di derive totalitarie, perché i diritti umani, la libertà, sono oggi sotto la protezione materna della Democrazia e tutto avviene nel rispetto di regole scientifiche.
Questa è infatti una rivoluzione che usa pretesti scientifici per privare l’uomo della sua libertà. È una rivoluzione subdola, come certi tumori, te ne accorgi quando è troppo tardi, quando il cancro è progredito, ha fatto metastasi. Si entra allora nella fase del dolore terminale. E forse assisteremo una volta ancora a quel processo biochimico innescato da guerre e rivoluzioni, che trasforma innocui cittadini, come cellule impazzite, in delatori, torturatori, assassini. Vedremo folle oceaniche marciare sotto il segno della Svaxtika, salutando orgogliose il nuovo emblema della razza pura.
Chi ci salverà da questa follia? Purtroppo questa neo-dittatura ha carattere planetario, non ha nemici esterni che la possano combattere. I liberatori dovrebbero venire da un altro pianeta. Quindi è difficile che i suoi piani possano fallire. Se crollerà sarà per le sue debolezze e contraddizioni interne, non per l’opposizione dei pochi spiriti liberi rimasti.
Certo, i media potrebbero farsi contro-potere, svegliare le coscienze e opporsi al Male. Purtroppo, con il loro infame servilismo, ne sono complici. Per il momento, dunque, l’informazione continuerà a non informare nessuno. Si limiterà a diffondere slogan, propagandare falsità, censurare la realtà, giustificare azioni ignominiose.
A loro, a questi media asserviti, è oggi affidato il compito di pastori dell’essere. E una massa di pecore belanti li segue, spingendosi, affannandosi verso un miraggio di salvezza dietro cui si nasconde invece un macello. Pronte a ogni bassezza, a calpestare ogni ostacolo, disposte a uccidere pur di realizzare il loro grande sogno: l’immunità di gregge.
Per il resto, il futuro è nel grembo di Giove e non riesco a immaginarlo. “A l’alta fantasia qui mancò possa”. So però che la realtà supera sempre la fantasia e le nostre previsioni. Se questo sia un motivo per essere ottimisti o pessimisti, non saprei. Ognuno decida secondo quel che gli detta il cuore.
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