Risulta quasi dissonante, nella sensibilità comune dell’uomo contemporaneo, pensare che nello stesso tempo si possa far convivere, nello stesso uomo, il senso eroico della virilità e del coraggio e la sottomissione e perfino l’umiliazione per una donna. Sembra, di primo acchito, che i due poli si escludano a priori poiché, almeno all’apparenza, elevazione e sottomissione sono termini antitetici.
Eppure il più grande Eroe Greco, Eracle, dovette superare una prova molto difficile. Venne infatti fatto schiavo per tre anni da Onfale, regina della Lidia. Ed essa lo costringeva a vestirsi da donna e a essere preso in giro dalle sue ancelle. E questo avveniva nei giorni in cui doveva anche rimanere in castità per i rituali religiosi a Dionisio. È singolare che il più grande Eroe di tutti i tempi fosse sottomesso a una donna e in castità. Ma non è l’unico esempio. Anche i Coribanti, i discepoli della Dea Cibele, si umiliavano per Lei in lunghe processioni in cui si auto-fustigavano e si vestivano da donne, e a Sparta, nel Tempio di Artemide similmente. Abbiamo già trattato altrove (¹) quanto fosse utilizzata, per scopi rituali e religiosi, la pratica dell’umiliazione e della sottomissione in svariate culture ed epoche storiche. Ciò è la prova, perlomeno letteraria, che l’elevazione dello Spirito passa anche per la mortificazione, e, perché no, attraverso la sottomissione alla donna.
D’altra parte l’etimologia stessa della parola donna è, in latino, una contrazione di dòmina, (dom’na) ovvero colei che domina.
“Ella il saluto ha presto reso,
ché grande desiderio preso
lei di lui e lui di lei ha.
Di villania né di viltà
discorso alcuno o accordo fanno.
L’uno vicino all’altra vanno,
e le loro mani congiungono.
Che ad essere insieme non giungono
dispiace loro a dismisura,
e ne incolpan la ferratura.”
Lancillotto, o il cavaliere della caretta (vv. 4583-4701);
Chrétien de Troyes XII sec
La vicenda, narrata in uno dei più grandi capolavori della letteratura del ciclo bretone, racconta dell’adultero tra la regina Ginevra, moglie di re Artù, e Lancillotto del Lago, il più valoroso dei cavalieri della Tavola Rotonda e riassume molto bene il codice di quello che verrà chiamato amor cortese. In questa storia è ben presente l’umiliazione di Lancillotto che, pur di salvare la donna amata (si trova infatti rinchiusa in una torre) non esita a salire su una carretta destinata a portare i condannati al patibolo, gesto, questo, che lo avrebbe profondamente umiliato e disonorato. (ª) Il fatto stesso che la donna amata si trovi in cima a una torre e il cavaliere sia posto sotto di lei, e che quest’ultimo in tutti i modi cerchi di raggiungerla innalzandosi, è un chiaro elemento simbolico che colloca la donna su un livello inarrivabile, superiore. Questo tendere perpetuo all’innalzamento, verso la sede empirea del Principio femminile, è analogo allo stesso desiderio erotico che, non appagandosi immediatamente ma sublimandosi in una incessante attesa, si verticalizza. Il ferro che ostacola la congiunzione carnale dei due amanti, in questo caso l’armatura e le grate, assurgono qui a una vera e propria gabbia di castità che impedisce la piena congiunzione dei due amati.
“Ma non vedete», ella a lui fa,
«come son questi ferri qua
forti a infrangerli, duri a fletterli?
Non potrete tanto sconnetterli
né tirarli a voi né strapparli
abbastanza da sradicarli”
Gli storici ritengono oggi che l’uso di apparecchi meccanici per la castità in uso nel medioevo sia una credenza posteriore, prevalentemente dopo il XV secolo e che i diversi richiami a tal senso nella letteratura dell’epoca avessero più che altro una valenza simbolica. Non si vuole qui entrare nel merito di queste diatribe storiche ciononostante l’utilizzo di pratiche, anche fisiche, per la contenzione e l’astinenza sessuale è fuori dubbio come attestano allegorie e poemi ed esse, tutt’altro che esaurirsi nell’artificio letterario, nascondevano sapientemente delle tecniche mistiche ed erotiche di origine ben più lontana nel tempo e nello spazio.
“È l’amore puro che lega insieme i cuori dei due amanti con ogni sentimento di gioia. Questo tipo consiste nella contemplazione della mente e l’affetto del cuore, limitandosi al bacio e all’abbraccio e al modesto contatto con il corpo nudo dell’amante, omettendo la soddisfazione completa, poiché ciò non è permesso a coloro che desiderano amare in modo puro”
Andrea Cappellano. De Amore 1184 D.C
Andrea Cappellano fu uno scrittore francese vissuto tra XII e XIII sec., e fu appunto cappellano alla corte di Maria di Champagne, nipote di Guglielmo IX d’Aquitania e nella sua opera, che ebbe nel tempo la sua fama e la sua fortuna, formalizzò quelle che erano le “regole” relative all’amor cortese già diffuse nei diversi romanzi e poemi cavallereschi. In questo testo vengono elencate le virtù e i codici cavalleresti da adottare nei riguardi della donna e possono essere riassunti dicendo che nell’amor cortese vi era un vero e proprio culto della donna, vista dall’amante come un essere sublime, irraggiungibile e divino. Si noti il passo, sempre tratto dal capolavoro di Chrétien de Troyes in cui la donna viene paragonata a una reliquia, oggetto di assoluta devozione e sottomissione che suscita nel cavaliere lo spontaneo moto di genuflettersi a lei:
“e va al letto della regina,
e l’adora, ed a lei s’inchina,
perché non c’è reliquia a cui
creda più.”
L’uomo è sempre inferiore alla donna e il cavaliere si sottomette completamente a lei e obbedisce alla sua volontà. Tale rapporto fra i due è definito servitium amoris, “servizio d’amore”. L’amante presenta il suo omaggio alla donna e resta in umile adorazione di fronte a lei. Si tratta di un “amore-vassallaggio” in cui il rapporto tra l’uomo e la donna è simile a quello intercorrente tra il vassallo e il suo signore. Nella dama risiede ogni potere, “Potete farmi bene e male, questo resti in vostro potere” dice alla sua amata il poeta trovatore Bernart de Ventadorn nella Ges de chantar “perché io sono sempre pronto a fare ogni vostro piacere”. Il loro desiderio non è però puramente spirituale, platonico se così si vuol dire, anzi, esso è carnale, ma perpetuamente inappagato, mai completamente soddisfatto ma anzi assurge a rettificazione perpetua. La potenza di questa rettificazione la troviamo già in Omero nel Mito delle Sirene, che, con voce suadente e angelica, fanno leva sulle brame di Odisseo che ne viene sedotto, ammaliato, ma essendo legato al palo della nave vi resiste. Esso pertanto si bea e ne soffre, prova una gioia dolorosa tipica del sentimento del sublime, nel verticalizzare un desiderio che, se immediatamente realizzato, porterebbe all’annichilimento.
Nel capitolo -sull’effetto dell’amore- del De amore Cappellano scrive che “l’amore rende anche casti” e nel suo decalogo sull’amore come perfezionamento morale e spirituale insiste sul tema dicendo “Castità devi servare all’amante”. L’amore, dice, nobilita e migliora, ma al tempo stesso umilia e comporta un sacrificio.
“perciò che niuna cosa par che si dica più a l’amante ch’essere vestito d’umilitade e gnudo di superbia”.
L’amore puro è quello che “cresce sempre senza fine” ponendo in essere il “desiderio senza limiti di raggiungere l’amplesso dell’amato” (senza mai raggiungerlo) a differenza dell’amore impuro che invece “porta a compimento ogni piacere della carne e si esaurisce nell’estremo atto di Venere. (…) Questo infatti presto vien meno e dura per poco tempo, e spesso ci si pente di averlo fatto”. Questo genere di amore avveniva spesso fuori dal matrimonio ufficiale, da momento che poneva in essere un servizio d’amore non alla pari, essendo l’uomo sottomesso. Pertanto l’amore classico come parità qui non sussiste. L’amore poteva essere anche corrisposto nel sentimento ma mai nel desiderio e proprio questo faceva sì che esso fosse disinteressato e gratuito, puro. L’amante, accettando l’umiliazione che la donna amata avesse un altro uomo, il marito, mentre lui non la poteva avere, proprio attraverso questa umiliazione si innalzava e si raffinava interiormente.
La figura del cavaliere al servizio della donna Dea si sviluppò poi nei secoli, alterandosi e in un certo modo anche volgarizzandosi, fino all’età moderna nella figura del cicisbeo. Chiamato anche cavalier servente, il cicisbeo era il gentiluomo che nel Settecento accompagnava una nobildonna sposata in occasioni mondane, feste, ricevimenti, teatri e l’assisteva umilmente nelle sue incombenze personali, quali toeletta, compere, visite, giochi. Passava con lei gran parte della giornata ed era uso elogiarla, sedersi accanto a lei e servirla. Esso è, pur in modo ormai svilito e moderno, una specie di Paredro come lo furono i Paredri delle Dee nell’antica Grecia.
La stessa parola corteggiare ha origini remote e legate alla sottomissione alla donna. L’atto del corteggiare, etimologicamente, significa far corte, ossia accompagnare qualcuno per dimostrargli la propria riverenza, ossequio e rispetto e quindi prestargli onori e servizi. La corte infatti era l’insieme delle persone (i cortigiani) che circondavano un Sovrano o una persona di assoluta importanza. Si comprende molto bene che questa visione cavalleresca non ha nulla a che vedere con la concezione contemporanea delle relazioni uomo-donna così come vengono presentate nella società dei consumi e che si è imposta offrendo un modello di relazione affettiva come consumo, che ha un inizio, uno sviluppo e una fine, spogliata di qualsiasi contenuto interiore e sovra terreno.
Si tratta, nell’amor cortese medioevale, del fin’amor ovvero di un puro amore, che, dietro la caleidoscopica letteratura dell’epoca nascondeva invero delle tecniche mistiche già conosciute anche in oriente. Nello stesso periodo, infatti,° dall’altra parte del mondo, nel Kasmir, nel IX secolo, fiorisce la letteratura dei Tantra, con similari concezioni riguardo alla prospettiva religiosa del desiderio erotico. Il Vijñānabhairava Tantra, uno dei principali testi dello Shivaismo kashmiro, suggerisce allo Yogi tecniche analoghe per raggiungere la beatitudine: “in virtù dell’intenso ricordo del piacere che dà una donna con i suoi baci, movimenti e carezze, anche in assenza di Lei”. Si tratta anche qui del concetto dell’Amor lontano, che si affermerà anche nei cicli bretoni e carolingi e che traluce una tecnica spirituale per innalzare l’Eros e sublimarlo in voto alla sottomissione alla Deva, il Principio cosmico femminile. L’uomo dell’amore cortese è l’uomo universale, che è proteso al perpetuo raggiungimento dell’Assoluto senza mai raggiungerlo, l’amor lontano è quindi la tensione verso l’infinito che causa piacere, estasi e al tempo stesso frustrazione, egualmente la Donna Dea è irraggiungibile e sovrana. Questa esperienza del con-segnarsi alla volontà della Regina è una esperienza estatica. Egli: “Le promette senza esitazione né timore tutto quanto ella vorrà e si dispone interamente in suo potere”
“Il cavaliere è immerso nei proprio pensieri come colui che non ha la forza né la difesa di fronte ad Amore che gli è sovrano. Egli dimentica sé stesso, non sa più se esista o non esista né ricorda il suo stesso nome” Chrétien de Troyes; Lancillotto; Mondadori 1983 pg.14
La Shakti, la Dea, come afferma anche il Kulārṇava Tantra, si incarnava nella donna amata e vi era una tal identificazione fra il suo corpo e il principio divino che tutto in lei doveva essere oggetto di adorazione, perfino le sue secrezioni corporee, anche se tale adorazione comportava una umiliazione dell’uomo. Lo stesso accade per Lancillotto, che nutre una tale adorazione per Ginevra che arriva al punto di baciare i peli della regina rimasti incastrati nel suo pettine come se fossero sacri. Si capisce che, per quanto all’uomo contemporaneo, disabituato a pensare in termini trascendentali e simbolici, tutte queste pratiche possano apparire come una favola ridicola, frutto di un retaggio medioevale e ormai anacronistico, queste considerazioni, disvelatesi dall’oriente alla sensibilità cavalleresca medioevale, racchiudano un nocciolo mistico che va ad intessersi ad una Filosofia Perenne, un codice simbolico e intramontabile che vuole il Principio Femminile come la Potenza equilibratrice del Maschile attraverso la ridiscesa del Cielo sulla Terra.
Sotto-messo alla donna, in questo senso, è un Simbolo di una missione sotto il Cielo appunto, sulla terra e per la terra. La forza e il valore militare, infatti, rappresentato dalle armi e dal coraggio del cavaliere, sono sempre e solo al servizio di chi questa medesima forza non possiede. Il Cavaliere era tenuto moralmente a difendere donne e bambini, infermi e anziani, in altre parole i deboli e vana sarebbe risultata la sua forza se non al servizio dei deboli poiché ogni nobiltà smette di essere tale quando non è al Servizio di chi non può difendersi. Il processo psichico di raffinamento di questa Nobiltà avveniva attraverso la sottomissione e la umiliazione verso la donna, qui principio ctonio, terrestre e lunare nel grande teatro del cosmo che vuole l’equilibrio fra ciò che sale e ciò che scende. Se tutti oggi, soldati e contadini, mercanti e politici, tornassero d’un tratto all’epoca carolingia e a questi ideali cavallereschi avremmo purificato metà dell’umanità in un colpo solo.
Note:
1 https://www.ereticamente.net/2017/07/lumiliazione-come-pratica-religiosa-emanuele-franz.html
0 https://www.ereticamente.net/2018/04/lurinoterapia-secondo-i-tantra-emanuele-franz.html
ª Nella versione del Lancillotto edita da Mondadori del 1983 per cura di Gabriella Agrati troviamo che i profili psicologici di Ginevra e Lancillotto sono ben delineati. Ginevra è amorevole e crudele al tempo stesso con Lancillotto. Lo ama. Soffre per lui. In altri frangenti però lo maltratta. C’è una scena in cui lo umilia davanti alle damigelle e Lancillotto si mette a piangere davanti a tutti. Al torneo di Noauz, ad esempio, il cavaliere si copre di infamia per amore di Ginevra, anzi arriva perfino ad apparire ridicolo e ad essere insultato dalle sue damigelle. D’altra parte Ginevra abusa di lui e lo manovra come un burattino senza mostrare alcun senso di colpa.
-Occorre prestare la massima attenzione a non cadere nel fraintendimento di confondere l’ideale cavalleresco verso la donna con il moderno femminismo. Nell’amor cortese è la donna a dominare ma unicamente sul piano sentimentale ed erotico, sul piano militare e politico è sempre l’uomo ad avere la prerogativa e la virilità. L’ideale cavalleresco pertanto non ha nulla a che vedere con il femminismo ma dipinge un bilanciamento ed equilibrio fra il livello celeste e terrestre senza snaturare il ruolo classico dell’uomo e della donna.
Emanuele Franz
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